E ancora: tre ricariche, una prolunga, un numero imprecisato di Sony HF e dischi contenenti miei lavori misteriosi - senza scritte indicatrici. È la volta delle scatole. Anche queste un po' ovunque in casa, tutte avvolte nel mistero. Anni fa vi ho messo dentro "delle cose" e non le ho più riaperte. Qui, nel tavolo sono accostate al muro in equilibrio instabile. E sopra ai loro coperchi altre scatole più piccole e un registratore minuscolo. Una scatola, acquistata di recente all'IKEA contiene cataloghi e articoli delle mie rarissime mostre e di altri eventi con sopra mezzo metro di blocchetti, fogli, libri. Vedo ora una busta di plastica che conteneva una canottiera bianca, c'è ancora l'immagine, ora invece ci sono ricevute: la prima è quella di un negozio ortopedico, le altre riguardano una visita odontoiatrica e la garanzia della cyclette che fa un rumore fastidiosissimo. L'ho cercata per molto tempo: infatti è scaduta. La cyclette è l'attrezzo più noioso che esista. In più sta a testimoniare qualche impedimento dovuto, nel mio caso, a post interventi, a giornate di pioggia e alla vecchiaia. È l'esempio vivente dell'andare stando fermi. C'è una cosa più stupida e priva di senso? Pedalo, pedalo e sono sempre lì, magari davanti alla televisione dove ci sono cuochi che preparano e sfornano piatti deliziosi. E così riesco ad aumentare di peso pur pedalando perché ho la certezza d'ingrassare anche con lo sguardo. Ci sono le predestinate. Sono tra queste. Anche quando frequentavo la palestra e dovevo camminare sul tapis roulant venivo presa da una noia mortale. Sono finzioni. Il movimento c'è ma è assente la bellezza del viaggio.

Il mio albero è sempre lì talmente vigile e attento che mi viene voglia di aprire, con lui, una conversazione. Per fortuna possiede un'intelligenza diversa dalla mia e questo è proprio un bene. Lo lascio alla sua vita che è molto più lunga e ben organizzata e mi verso il tè che ormai sarà freddo. Lo faccio con troppo impeto e lo rovescio sul tavolo così affollato. Alcuni foglietti bianchi stanno acquistando un tono antico.

E continua la mattanza. A volte mi capitano periodi bui come queste giornate cupe. Ho la presunzione che a me accadano più spesso che ad altri. Un'eccedenza di sfortune, costruite con determinazione e puntiglio da me stessa. Io rimando. Come dico spesso, se partorire fosse una decisione di noi donne e non della natura io sarei ancora "in attesa" di mia figlia Marcella che ora ha 58 anni. Non esagero. Così l'amico dentista che deve aver compreso il mio terrore ossessivo compulsivo per qualsiasi intervento, alle12 e 30, fuori tempo massimo, ha preso nelle sue mani sicure le mie paure e mi ha tolto il dente. Con calma, senza nessun dolore, fischiettando. E dire che attorno a lui si muovevano segretarie e infermiere in crisi d'identità che hanno innervosito più me di lui. Ora sono in attesa che mi si gonfi la guancia e che questa notte, mi venga una emorragia. Invece niente. Essendo così terrorizzata da tutto quello che riguarda interventi e controlli, ho costruito, nel mio mondo relazionale, una barriera difensiva formata da amici e parenti stretti, medici e chirurghi. Tutti bravissimi. Nonostante ciò a volte accade che, mentre mi operano, o mi visitano vengano disturbati da qualche accadimento esterno negativo. Devo essere io che, avvolta dalla paura, richiamo ire funeste.

Per non parlare delle analisi del sangue. Ho abbandonato le lunghe file dell'ospedale, ho scelto un centro privato super protetto, ma la volta scorsa come ho messo piede nell'ambulatorio è scattato l'allarme. Sono arrivati anche due pompieri e mentre l'infermiera preparava fiale e aghi si è creato un certo caos; le ho chiesto se potevamo rimandare, ma lei mi ha detto "tranquilla!" Io tranquilla non lo ero per niente, ma siccome sono timida ed educata le ho offerto il braccio. Sono una paziente eccessivamente scrupolosa. Il dentista mi ha detto di tenere sulla guancia una busta di ghiaccio - un quarto d'ora sì e uno no - per un'ora e mezza e mangiare cibi liquidi e freddi per due giorni. Mi sono ritrovata tre ore dopo a pedalare sulla cyclette e contemporaneamente tenere il sacchetto del ghiaccio, non solo, continuo imperterrita a bere liquidi freddi e pappine congelate. Uno schifo indicibile. Sogno panini con la mortadella e fritti di paranza. In questo periodo nero sento forze avverse che premono alla mia porta. In realtà è solo la vecchiaia che avanza e si sta allargando troppo.
Sconfina.
Anche ora, che per superare l'assalto della paura, ho deciso di scrivere è arrivato il giardiniere e sta tagliando l'erba del prato con un attrezzo "strizza cervelli" che fa un rumore assordante. I bambini del piano di sopra suonano batteria e tamburelli. Potevo fermarmi in studio che è il luogo del silenzio, ma sto diventando sempre più pigra. Per uscire ho bisogno di garanzie. E soprattutto non deve piovere. Per fortuna che in questo tavolo bianco c'è anche un piccolo iPad e al limite del tavolo, scrivo.
E ancora.
Un'altra scatola di legno più alta delle altre e senza coperchio conserva tentativi di scene teatrali, un paio di occhiali, un termometro, che ha la funzione di un talismano perché quando mi sento la febbre segna sempre 35 e 4. Forse è rotto.

Al mio fianco: bottiglia d'acqua, balsamo di essenze, profumo per tessuti, piccola scatola nera. Buste formato A4 vuote. Altre piene. Un piccolissimo porta fotografie con la foto di mia nipote Natalia. Busta di plastica con ritagli di giornale che dovrebbero essere divisi per argomento, parto bene poi mi stanco e infilo tutto nella stessa busta. Un caos non più ricomponibile. Quando cerco un articolo li tiro fuori tutti. Mai che mi venga voglia di dividerli. Quotidiani interi, una cartellina del Dis/ORDINE, biglietti da visita con disegni di Allegra, barchette e lune bizantine.

Oggi è il 27 maggio.
Piove.