Nel ’18 fondo l’A.ri.co.tu.ge.in, associazione culturale. Alla fine del ’19 grazie a una snella politica d’affiliazione contiamo più di diecimila soci.

Nel ’20 l’Europa ci bacia le chiappe. A metà del ’22, ultimati i quarantotto mesi di progetto, siamo abbastanza solidi da trasformarci in una società editoriale di persone e capitale, che sarebbe esattamente l’obiettivo che mi ero preposto fin dall’inizio, nel ‘09.

L’Associazione per il Riconoscimento la Coltura e la Tutela del Genio Incompreso nasce come un laboratorio artistico in cui s’agevolano creativi di talento e disadattati nel percorso di sviluppo delle proprie attitudini artistiche. Disponiamo d’un servizio prestito di strumenti musicali e poniamo in contatto giovani maestri e giovanissimi allievi. Organizziamo serate di lettura poetica e proiezioni seguite da cineforum. La sede è frequentata da aspiranti pittori che si scambiano consigli, acquisizioni tecniche e stimoli nel contesto d’una partecipazione universale. Talvolta riusciamo a omaggiare i nostri soci della presenza d’un professionista, gli artisti dell’atelier risultano sempre grati ed estasiati dai workshop proposti.

L’associazione ha impiegato meno di un anno a trasformarsi nel cuore pulsante della cultura ventimigliese e non è stato semplice convincere i più giovani che fosse preferibile accompagnare la birra all’arte, piuttosto che allo sport.

La sede dell’associazione è casa mia. Dormo vivo e mangio nello studio in cui custodisco i miei pochi averi e il prezioso laptop, un paio di hard disk di backup.

Se sto lavorando chiudo a chiave la stanza e sfrutto la musica per incoraggiare la concentrazione ed estraniarmi dai suoni vitali prodotti dai soci.

La casa è un pianterreno circondato da un piccolo giardino. Una casa indipendente affacciata sul mare. Le stanze sono poche ma spaziose e salvata la mia tana dall’orda dei creativi ho lasciato le altre due a loro completa disposizione. L’A.ri.co.tu.ge.in. è attiva in sinergie con la biblioteca comunale, che ci presta la propria sala conferenze per le letture aperte al pubblico e con il locale centro per la salute mentale. Organizziamo sedute d’arteterapia, tenute da specialisti certificati, rivolte esclusivamente ai nuovi giovani pazienti. L’intento sarebbe quello di effettuare un tentativo di aiutarli a rialzarsi da una caduta scongiurando il pericolo d’una vita disastrata dalla dipendenza psicofarmacologica, dall’emarginazione psichiatrica.

Mi convinsi a fondare l’associazione dopo aver valutato i finanziamenti europei alla cultura. Li esplorai per scoprire se esistessero fondi dedicati alle nuove imprese del settore editoriale. In definitiva misi in atto un piano machiavellico per creare un pubblico che gravitasse intorno a quella che sapevo sarebbe diventata la realtà indipendente della qualità assoluta.

Il progetto di taglia inferiore richiedeva un paese a capo del progetto e due che svolgessero il ruolo di satelliti.

Valutai i miei contatti olandesi e considerai che avevo ottimi agganci in Spagna, passibili d’implementazione. Pensai d’improntare il progetto allo scambio e alla traduzione. Spinsi fortissimo per avvalermi d’un CEO esperto, che fosse in grado di curare la parte dedicata alla pubblicazione online, oltre che la comunicazione.

Il programma incontrò un discreto successo e l’approvazione incondizionata dei controllori. Tutto era filato liscio sia dal punto di vista della qualità dei contenuti che da quello essenziale della gestione delle finanze. Il bilancio fu l’unico elemento del nostro lavoro scevro di creatività. Un capolavoro.

Trovai che l’esperienza dell’associazione e del progetto fosse stata indiscutibilmente incoraggiante. Il piano era proprio quello di valutare se fossimo in grado di gestire al meglio i fondi degli eurocontribuenti, prima di investire i finanziamenti privati d’un illuminato mecenate.

Quando Flavio, Carlo, Dario, Silvia, Laura, Ilaria e io ci ritrovammo finalmente intorno alla classica tavolata dell’antivigilia, mi accorsi ch’ero l’unico a rendermi conto d’esser passato, nel giro di cinque anni ch’erano volati, dall’amministrare condomini, al presiedere l’associazione culturale che avevo sognato per tredici anni, al dirigere un progetto europeo transnazionale, al momento presente: in cui discutevo coi miei più cari amici della fondazione della nostra casa editrice.

Sapevo che le nostri sorti potevano mutare ancora e anche più rapidamente, mentre loro erano tutti euforici e completamente ubriachi di Rossese di Dolceacqua.

Fu stabilito che la Cat2peel sarebbe stata una società di persone e capitale con due soci d’opera, Laura e io.

Gli altri sarebbero stati soci in capitale e membri a vita del comitato direttivo, l’unico organo che potesse esprimere la volontà di pubblicare fosse anche il bilancio dell’impresa, rigorosamente all’unanimità.

Ora la GattaDaPelare avrebbe affrontato una teoria d’altre gatte pelosissime e insidiose.

Il giorno dopo mi recai a casa di Beppe, sempre perso nella fobia sociale, viveva ancora coi genitori.

Parlai con loro. Gli proposi d’investire sull’ingresso di Beppe nella Cat2peel.

Lo avevo proposto ai miei soci e avevamo convenuto che considerate le sorti precarie degli attori del nostro settore, sarebbe stato di buon auspicio: una sorta di jolly karmico. Fu così che Beppe il Russo cominciò il suo percorso da mascotte, per giungere presto a mutarsi in consigliere imprescindibile.