Per strada sembrava Halloween o Carnevale. Ogni passante indossava una maschera di gomma. Ecco un signore alto, di corporatura piuttosto imponente, con un cappotto Frascati, nero, camminare di gran fretta producendosi in slalom, zigzagando o tirando dritto come un fuso: indossava una maschera di Frankenstein, di quelle verdastre, con gli occhi dai bulbi sporgenti, costellati di vene vermiglie. Il cappotto lo copriva tutto, almeno nella parte superiore, tanto che da quel che si riusciva a intuire, sotto poteva anche essere nudo: un Frankenstein esibizionista. Ovviamente, sopra la maschera di gomma, l’uomo portava una mascherina antibatterica. La maschera di gomma serviva solo a che non si toccasse la pelle del viso o gli occhi con le sue manacce. Con quelle maschere ci si poteva toccare il viso senza infettarsi da soli. Una famigliola scendeva per la via. Lei indossava una maschera di Peppa-Pig, bella rosa, con il naso da maialotto dalle narici grosse come due monete a spuntare da sotto la mascherina antibatterica, candida, luminosa in mezzo a quei colori così vividi. Camminava vicino al figliolo, il quale indossava una maschera di gomma di Ironman, di quelle gialle e rosse, e indossava sotto il giubbotto slacciato, una felpa della Roma, la squadra di calcio, che peraltro, come tutte le altre squadre di calcio, da mesi non giocava più in seguito all’uscita del dpcm. Vicino al bambino c’era il padre. Con una maschera di gomma di Dracula, particolarmente truculenta, dato che un sangue scarlatto scendeva da una bocca caratterizzata da una dentatura bianchissima. Quei colori rendevano quella maschera di Dracula simile a quella di Joker. La mascherina antibatterica era finita sotto il mento dell’uomo che forse non se n’era ancora accorto o chissà cosa. E così era per tutti quelli che passeggiavano per il corso a quell’ora in città. Ognuno indossava una maschera di gomma e una mascherina antibatterica. Poi, c’erano, ovviamente, quelli meno bontemponi e che trovavano ridicole certe mode, e per le quali anzi s’indignavano probabilmente vomitando il loro malcontento sui video nei social network. Questi indossavano maschere antigas, che erano quelle più spaventose, peraltro. Mia sorella e io cercavamo di non guardarli.

L’ora della passeggiata era fissata tra le 18.30 e le 19.30. Alle 11 passavano i camion per la distribuzione di colazione, pranzo e cena. Oggi ci sono toccati i cannelloni. A noi ne vengono due scatole, perché in famiglia siamo in quattro e c’è Fresbee. Ovviamente, mia sorella e io, ma anche mamma e papà, abbiamo fatto molti video di protesta perché inizialmente le autobotti non approvvigionavano gli animali domestici. Alla fine, la soluzione attuata dal governo è stata quella di considerare, per ragioni di economia, gli animali domestici come esseri umani. Perciò, a Fresbee spettava una parte dei cannelloni e una parte del polpettone e delle patate arrosto per contorno. Se quello che distribuivano le autobotti non ti piaceva, ti attaccavi. Non si poteva scegliere. Non è che i supermercati fossero chiusi. Ma i soldi del babbo erano diventati carta straccia e non potevamo permetterci di comprare pranzo e cena al supermercato. In più, dovevi rispettare norme igieniche tali da farti passare la voglia. Intanto, dieci per volta (a seconda della capienza dei locali; si poteva arrivare anche ai venticinque, sai che festa…). Poi, all’entrata un addetto con la tuta bianca e la maschera ti sterilizzava gli indumenti con uno di quei fucili di metallo da film di fantascienza. Ti spruzzava come un DDT. Poi, prima di entrare, dovevi metterti sul dispenser copri-scarpe, come quelli in certi ambulatori dentistici. Infine, non potevi acquistare più di dieci pezzi. Il tutto ti portava via mezz’ora. Anche perché non potevi stare all’interno del supermercato più di quindici minuti. Dovevi spicciarti. Altrimenti, multa, carceri, in alcune situazioni manganellate.

Mentre passeggiavamo, più che altro per sgranchirci, e perché era una delle poche cose che potevamo fare, a parte stare in casa e seguire le lezioni a scuola, mia sorella stava parlando tramite video Skype o WhatsApp con un suo compagno di classe (adesso si chiama tele-classe della telescuola) che se s’era beccato il virus ed era in quarantena. L’avevano piazzato nel vagone di un treno-ospedale. All’inizio i treni-ospedale stavano fermi in stazione o poco più in là. Venivano solo utilizzati perché non si sapeva più dove mettere i malati. Adesso i treni si muovevano, viaggiavano. Se c’erano tanti malati in una città poteva essere che un treno-ospedale con il numero necessario di letti vuoti potesse venire chiamato in causa. Adesso il compagno di mia sorella stava andando a Sondrio. Da Voghera a Sondrio. E una volta là, ti saluto Marianna. Chissà quel treno dove sarebbe finito per dare assistenza. L’amico di mia sorella era destinato a schiattare a Canicattì o a salvarsi a Canicattì, rimanendo là, in qualche specioso ricovero, per chissà quanto. I guariti li trattavano tamquam gli appestati. Ma tanto, l’unica cosa permessa era il collegamento via video con gli smart. Con la teleconferenza si poteva radunare un bel gruppo di persone oltre ad amici e parenti.

L’orrore della realtà supera sempre quello della finzione.

Quando finì di chiacchierare con il suo amico, mia sorella attaccò l’organetto con me. “Ma ti rendi conto? La profia non voleva che tenessi il mio orsacchiotto portafortuna in braccio durante l’interrogazione… Tanto, che differenza fa… Sono in casa, nella mia cameretta, che cippa le cambia, alla profia…? Ma capisci, la stronza?!”
“A dodici anni hai ancora bisogno di un oggetto transizionale?” dissi io.
“Be’, perché? Ho letto che si può… Anzi, è indice di intelligenza. I superdotati spesso hanno comportamenti da ipodotati per camuffarsi, stare con gli altri. E noi siamo certo più superdotati della profia di 2+2 uguale banana-schiacciata-in-fronte o del profio di Italattice decamerotico. Ma sai quanto è fissato col Boccaccio? Un cavolo di maiale che s’era accorto che Dante era un porcello tanto quanto. Dante…! Ma la Gemma Donati non poteva spiegare al maritino che le persone che peccano in vita lo fanno proprio perché non credono in Inferno, Cacatorio e Paradiso? È per quello che peccano, i peccatori. Quindi, le interviste di Dante si fondano su presupposti sciocchi. Cosa vuoi che ti dica un peccatore? Due parole: ‘Non pensavo di finire qui una volta fritto’. Si schiacciasse una banana in fronte, quel naso nasone!”
“Be’, porcaccia burromarmellata, guardati intorno. La Divina non è certo la cosa più scema che sia stata fatta a questo mondo… No, dico, guardati intorno… Prima ti cacciano in una situazione di cioccolata marrone, e poi dettano le regole. E tu non sai se l’assurdo, a quel punto, è la regola o la situazione”.
“Applausi, caro fratello. Applausi.”
“L’Italia è la più impestata dal virus”.
“Ragioni geografiche. Inutile sbraitare. Ragioni geografiche. La peste del Trecento fu portata da navi genovesi provenienti dal Medio Oriente. Fu la più colpita. Eccessivo addensamento. L’Italia è una fettuccia di terra, un corridoietto che collega il continente euroasiatico all’Africa. Un luogo di passaggio per eccellenza. Inutile sbraitare. La geografia fa tutto. La storia è una disciplina schiava della geografia. La storia si ripete perché la geografia dei territori è immutabile. Sai, stavo leggendo una poesia del Trilussa. E il cervello mi si è accesso come le lucette dei funghetti di un pinball. La brutta colpa l’abbiamo noi. Noi, che abbiamo avuto pesti di ogni genere, e siamo sempre stati divisi in Comuni, Signorie… abbiamo dimenticato che tutte quelle divisioni erano figlie, anche e soprattutto, delle condizioni igieniche scandalose in cui si viveva e del tentativo disperato di prevenire le malattie. Abbiamo azzerato tutto questo proprio perché abbiamo considerato la medicina pressoché onnipotente. Ci siamo dimenticati. Ecco tutto. E adesso paghiamo. Ci davamo la mano. Ci abbracciavamo. Fino a qualche mese fa ancora la gente credeva di poter fare l’amore indossando semplici mascherine e il preservativo…”
“Sorellina, ferma lì. Non voglio che mi diventi a luci rosse. Recitami piuttosto la poe. La sai?”
“Sì, certo – fece lei, come se fosse la cosa più naturale del mappamondo - L’ho letta tre volte. Vuoi che non l’abbia memorizzata?”

La recitò.

Quela de da’ la mano a chissesia
nun è certo un’usanza troppo bella:
te po succede ch’hai da strigne quella
d’un ladro, d’un ruffiano o d’una spia.

Deppiù la mano, asciutta o sudarella,
quanno ha toccato quarche porcheria,
contiè er bacillo d’una malatia
che t’entra in bocca e va nelle budella.

Invece, a salutà romanamente,
ce se guadagna un tanto co’ l’iggene
eppoi nun c’è pericolo de gnente.

Perché la mossa te viè a dì in sostanza:
Semo amiconi… se volemo bene…
ma restamo a una debbita distanza.”

“La conosci quella barzelletta di quel prete che a Messa anziché dire “Scambiatevi il segno di pace” dice “Scambiatevi il segno di antrace”?” feci io.
“Blasfemia!”
“Comunque, se il resto del mondo ce l’ha con noi, cavoli loro. Sono loro che perderanno l’unica civiltà terrestre in grado di cucinare cose buone. Come se fosse poco, in questo sporco e rotto mappamondo…”
“Applausino, fratellino. Ma basta con il chiacchiericcio. Come va la ricerca dell’antidoto al virus?”
“Il gruppo social a cui appartengo sta a un passo dal realizzarlo. Ma devo studiare per il compito in classe di How-are-you-Very-well-thank-you. Sennò quei casi sociali della scuola come fanno a sopravvivere? Perciò, ho interrotto…”
“Ti capisco”.

Al tempo del Grande Virus se non studiavi, se facevi altro, se il rendimento scolastico era basso, il governo ti poteva multare. Il governo non voleva gruppi di ricerca fai-da-te, tra l’altro. C’era stato quel caso di quell’antidoto al virus sparandosi tre grammi di vitamina A, B, C, D, E, e praticamente tutto il resto dell’alfabeto, e sembrava funzionare. Peccato che aveva come controindicazione di bucherellare di cancri come gruviere chi lo assumeva. Così, il governo con un altro decreto speciale aveva vietato ogni attivismo fai-da-te. Anche se, con tutto il tempo che passavamo in casa a leggere, e a consultare librerie on-line for free, stavamo diventando tutti mega-cervelloni. I più giovani, quantomeno. Agli altri potevi farci la puccia col pane nelle loro scatolette craniche: ci trovavi vari tipi di pappa. I miei, per dire, giocavano a freccette tutto il giorno. Si mettevano in corridoio, si mettevano.

“Spassatevela, ragazzi! Spassatevela! Vivete! Vivete! Ascoltate chi più è anziano di voi e saggio! Il divertimento è il sale della vita”.
“Mi continuano a chiedere consigli di lettura, romanzi sui virus. Alla fine, sai cosa dico, ormai?” dissi io.
“Il Vangelo?” fece mia sorella.

Mi chiesi se mia sorella stesse sviluppando anche poteri di lettura della mente. Aveva un Q.I. altissimo. Stando in casa le era schizzato alle stelle come… be’, come un applausometro dei telequizzoni quando applaudi proprio alla grande.
“Sì, ma come fai a…”
“Be’, il Vangelo è la storia di un medico che guarisce la gente limitandosi ad anteporre le mani sui pazienti. Cure miracolose. Guarigioni impossibili. Il Vangelo risponde innanzitutto alla domanda: ‘Perché soffriamo?’ Va bene, il male nel mondo. Quello è accettabile. Se mi fai le scarpe sul lavoro, posso sempre cercare un altro impiego. Va bene il male dell’uomo sull’uomo. Ma… perché la sofferenza della carne? La Bibbia si occupa del mondo. Il Vangelo della carne. Vincere le atroci sofferenze. Infine, schiacciare sotto i piedi la morte. Non si tratta più solo di lavorare come schiavi perché si è mangiato il frutto proibito nel giardino dell’Eden. Nel Vangelo, si va più a fondo. Si parla di sangue e carne. Si affronta una questione ancora peggiore. Altro che il Manzoni o La peste di Camus. Nel Vangelo c’è giù tutto”.
“Eh, sorellina, troppo studio ti fa male alla mela”.
“Zitto zucca!”

Sentimmo le sirene che annunciavano l’ora del rientro a casa. Anche gli smart nelle nostre tasche vibravano e suonicchiavano.

“Pensi mai a una cosa?” le dissi mentre silenziavo lo smart.
“Cosa?”
Sorrisi. “Era una domanda trabocchetto… Per capire se sai leggere nel pensiero”.

Mia sorella rise. Passò vicino un signore con la maschera di Dart Fener.

“Vuoi sapere se non è strano che studiamo medicina e le scienze e facciamo di tutto, tranne che chiederci se tutto questo per caso non è stata una punizione?”
“Sì, ma come arcipistacchio…”
“Sai, riflettevo. Filosofia in greco vuol dire amore per la sapienza. Ma questa mi sembra una definizione sballa. La filosofia si deve tradurre, invece, come amore per la scienza. Per tutto ciò che è incontrovertibile. Ma anche questo non è ancora giusto giusto. Già, perché l’amore per la scienza, ma quale scienza? Quale scienza è fos, luce? Non tutte lo sono. Credo che la definizione più precisa di filosofia sia ‘amore per la scienza medica’. Cioè la scienza curativa. Tutto ciò che è cura è scienza da amare, cercare, abbracciare…”
“Ehi! parla piano! Lo sai che quella è una delle parole proibite”.
“Va bene, va bene. Non dico più abbracc… Non la dico più. Ma mi segui? Hai capito, bananottero?”
“Sì, sorella, sì. Chiudiamo con ottimismo questa passeggiata. Certo. La scienza medica salverà chi ha bisogno. E dominerà chi ha bisogno”.
“Questa maschera di Clarabella mi fa sudore” disse mia sorella, forse a chiosa.

Pippo e Clarabella si avviarono verso casa.
Stasera gli sarebbe toccato un torneo di ballo rockabilly in famiglia.