Rovesciare colorante nel colon dell’anima, individuare il guasto, depurare. Mezzi chili di verdure crude, tossine, pesce azzurro. Uova e legumi, qualcuno con cui alternarsi ai fornelli. Un quadratino di fondente all’ottantacinque percento con le fave tostate. Dimenticare formaggi e insaccati, lumare lo sgombro arrostito sottolio come fosse lei. Fettina di pollo, asparagi saltati e bietoline.

Assumere i carboidrati dalla birra di malto, dopo la ginnastica. Fumare solo le sigarette indispensabili a rendere la vita sopportabile. Nuotare in piscina e al mare. Tener fede alla promessa di tornare giovane sulla soglia dei quaranta. Comprendere che le uniche donne di cui innamorarsi non hanno trent’anni, fretta di crescere, grandi responsabilità. Rifuggire bisogni, vizi e dipendenze salvo i necessari, come il fumo. Ignorare i media, sbeffeggiare il Circo dei Clan che li possiede, stare alla larga dai Tutori della Loggia. Celebrare ogni emozione come il più raro dei panorami, sorvolare sulla fenomenologia. Uno yogurt magro a colazione, un frutto di stagione, pranzo equilibrato: mezzo chilo di verdura, bresaola, olio d’oliva e limone. Due caffè, di mattina. Orzo. Una sigaretta. Addominali, gambe, braccia. Doccia bollente a sera, fino a fine maggio, poi ghiacciata.

Per cena zuppa di legumi e cereali, sebbene surgelata, abbondante, olio buono a crudo, poco grana padano.

Noci a volontà, non meno di dieci al giorno, per il bene del cuore. Se durasse abbastanza a lungo, sbatterei solo io.

Un pesce all’acqua pazza, ma non di venerdì, per evitare quid pro quo. Yogurt magro, caffè, sigaretta, venti minuti di svago, lettura dei nuovi articoli delle riviste letterarie, lavarsi, vestirsi. Espresso aziendale al bar, entrare in ufficio prima del tempo. Produrre, mangiare un kiwi, produrre. Scrivere versi ispirati dai frammenti di seme che spingono sulla gengiva, rima con ogiva.

Braccia e addominali in pausa pranzo e una birra accompagnata da verdure in pinzimonio e noci.

Dedicare almeno un’ora e mezza alla narrativa, sognare il giorno in cui saranno otto. Tornare in studio e produrre, pianificare, intrattenere.

Un’arancia a metà pomeriggio. Nessuna email escluse le newsletter, pochissimi sms. Assaporare la libertà ritrovata dopo aver smesso di presenziare sul social e aver depotenziato il servizio di chat. Sentire con certezza che contrastare la spinta alienante dello spirito del tempo è possibile.

Uscire dallo studio, cercare di rilassarsi. Buttarsi a capofitto nella prima lettura delle sillogi di Esenin, appena ricevute, il più bravo e giovane fra noi. Uscire e citofonarle senza preavviso, mentre è ancora in ansia per aver perduto la giornata di lavoro.

Darle appena il tempo di aprire la porta, chiuderla con lo stivale e spingerla fino al letto. Bloccare le parole coi baci e sentire la temperatura della sua pelle salire, descriverle perché accade mentre lacrime di gioia le colano dal naso alle gote. Sbatterla, se capita.

Uscire, trascorrere la migliore, rimuovere l’ora oscura del suo capriccio, lasciare che finga di adescare un ragazzino, sorridere mentre balla con un bambino di appena dieci anni. Tornare a casa sorreggendola e spogliarla, metterla sotto le coperte, sbatterla, se capita.

Immaginare l’impensabile e produrre l’indicibile: gratitudine per la fine dell’età selvaggia delle passioni incontenibili e dell’incessante lotta al vecchio Circo.

Percepire la perfezione estetica della propria vita ritagliata a completa immagine d’uno spazio utopico sovrapposto allo squallore ma privo di compromesso.

Anelare a tre lustri che siano il distillato del senso intero della missione. Quindici anni in cui produrre inarrivabili accostamenti di lemmi sublimati dall’amore e dalla pace traspirati dagli amplessi.

Togliermi un lungo capello rosso dalla bocca mentre mi cavalca distratta o completamente presente al proprio piacere. Giacere stremato dopo averle offerto il petto come cuscino e stringerla per dirle che non può desiderare qualcosa di diverso.

Aprire gli occhi, accontentarla, yogurt magro, un cappuccino e un caffè, due sigarette. Rinunciare al lavoro letterario del sabato mattina, fare colazione in riva al mare, separarsi per un poco.

Finocchio crudo con filetti d’acciughe sottolio, dieci noci, sgombro arrostito sottolio che chiaramente non è lei.

Sorridere elaborando il verso in cui alludere all’assenza di significato della Teoria del Big Bang o di quella dei Buchi Neri. Stephen Hawking non me ne vorrà. Più.