Si chiama Greg, come mio figlio. Ma è un pesce.
No, non sono impazzito, chi ha avuto la fortuna di incontrare Greg sa di cosa parlo, il resto non mi interessa. Lascio agli altri incredulità e gelosia.
La mia vita dopo l’incontro con Greg non è stata più la stessa.

La passione della pesca l’ho ereditata da mio padre. Lui in realtà, essendo nato in un piccolo villaggio sulla costa, amava più il mare e la pesca libera sulle spiagge dell’Atlantico. Quando però tutta la famiglia si era spostata a Saint Edmond aveva cominciato ad apprezzare i canali e i laghi della nostra zona. Per lungo tempo abbiamo pescato insieme, condividendo gioie e attrezzature. Raggiunta la maggiore età, a queste si è aggiunto anche il piacere di un paio di pinte al pub, a fine giornata.

In quegli anni vivevo ignaro dell’esistenza di Greg.

Ne sentii parlare per la prima volta due anni fa, ricordo era estate. Storie di pesci leggendari e di catture strabilianti ne erano sempre girate molte nel nostro villaggio, specialmente al pub al sabato sera. Se proprio avessi voluto guardare all’attendibilità delle fonti, quell’ubriacone di Gerald Benbow non sarebbe stato tra le persone più affidabili. Ma lui mi raccontò una storia incredibile che lasciò il segno dentro di me; disse che qualche giorno prima, in un laghetto chiamato Layer Pit, vicino a Compon Forest, aveva pescato una grossa carpa, un esemplare del ragguardevole peso di 80 libbre. Poiché dalle nostre parti capitava sovente di sentire di simili catture, la notizia non destò particolare interesse se non fosse che il pescione in questione, una volta tirato fuori dall’acqua, aveva iniziato a vibrare producendo un suono simile a una voce umana. Potete immaginare lo sconcerto del povero vecchio! Il protagonista di quell’avventura mi raccontò anche di altre sensazioni provate, tra le quali uno stato di profonda nostalgia, quasi si trattasse di un incantesimo. Com’era stato difficile ributtare in acqua quella creatura delicata e misteriosa, per lunghi interminabili minuti Gerald era rimasto abbracciato all’animale mentre questi faceva le fusa come un gattone. Alla fine il pescatore aveva capito che stava mettendo in pericolo la vita dell’animale e si decise a liberarlo. La notizia presto si diffuse. Io stesso, appena iniziai ad informarmi, potei raccogliere altre testimonianze, articoli di giornali locali, addirittura qualche foto. La carpa parlante era da tempo una star e io non ne sapevo nulla.

Quando scoprii che il luogo della cattura distava meno di 20 miglia da casa nostra cominciai a pensare concretamente alla possibilità di andare a pescare laggiù. Per giorni e giorni preparai con cura le mie canne migliori e insieme ai miei amici fidati studiai le esche più infallibili, per lo più mais per pasturare e “balls”, esche odorose e micidiali, a detta del manuale di Carpfishing.

Smanioso di catturare anch’io Greg, partii una domenica di agosto, da solo. Pioveva a dirotto ma la pioggia non bastò a fermarmi.
Il lago di Layer Pit era molto piccolo e le rive apparivano irraggiungibili ad una prima occhiata a causa di un fitto canneto. Qualcuno fortunatamente aveva costruito un rudimentale pontile e là mi unii ad altri pescatori che, come me, con indosso le loro fidate giacche oleate, attendevano immobili il loro momento di grazia. La concentrazione era palpabile, parevamo un gruppo di monaci zen in attesa di essere chiamati a partecipare a un rito iniziatico.
Non successe niente.
Tenni duro per alcune ore e fui l’ultimo ad andare via, ma non servì a nulla.

Quando rientrai a casa, felice di aver rotto gli indugi ma anche frustrato per il tentativo fallito, tornai a rileggere tutta la letteratura sull’argomento e scoprii che la carpa di Layer Pit si chiamava Greg in onore del primo uomo che era riuscito a pescarla, Gregory Hudson.
Fu naturale voler condividere quell’avventura con mio figlio Greg – che all’epoca aveva quattro anni - e fu molto tenero perché la leggenda e la realtà ben presto si mescolarono alla sua fantasia di bambino e in breve tempo Greg la carpa e Greg il bambino si incontrarono nel loro mondo fantastico.

Tornai altre volte al lago ma sempre senza successo. Provai in tutte le stagioni, provai anche nelle notti di Luna anche se era scritto su tutti i manuali che i pesci con il plenilunio diventano inappetenti. Soprattutto cercai smaniosamente di carpire dai testimoni oculari il segreto di quel fenomeno naturale. C’era sempre qualcuno pronto a giurare di aver visto Greg a pelo dell’acqua, moltissimi interrogati o intervistati da me ripetevano particolari che parevano ripresi dai precedenti resoconti dei giornali. John Wistle, prima di morire, mi giurò su sua madre che il pesce vibrante esisteva veramente o forse sarebbe stato meglio dire era esistito, visto che dopo tutti quegli anni bisognava iniziare a considerare la possibilità che nel frattempo Greg fosse morto.
Una notte addirittura sognai di pescarlo. Nel sogno Greg era completamente d’oro e mi parlava.
La sua voce era calda e piena ma quando mi svegliai, con mio grande rammarico, non riuscii a ricordarmi le sue parole.

Nonostante quell’incontro onirico cercai di distrarmi e di pensare ad altro. Accettai, dopo lunghe insistenze, anche un invito al mare a pescare sgombri con mio padre. Ne fu felice al punto che per giorni e giorni mi ringraziò di essere venuto.
Ma esplorai anche altro. Riuscii a pescare numerose anguille nei canali intorno al nostro villaggio e approfittai di un breve soggiorno in Italia per fare esperienza di pesca alla mosca in un vorticoso torrente alpino.
Nonostante ciò il pensiero di Greg non mi abbandonò mai.

Fu mio figlio, divenuto nel frattempo un provetto pescatore, che un giorno mi tentò chiedendomi di tornare a Layer Pit.
Accettai subito.
Era già autunno, ricordo il profumo delle foglie e la luce radente di quel pomeriggio. Ci ritrovammo stranamente soli, lo sguardo fisso sulla superficie verde scura del lago. Nessuno osava più fare ipotesi o previsioni, semplicemente stavamo lì, immobili, in quello spazio sospeso.
Accadde allora qualcosa che mai dimenticherò: seppure in totale assenza di vento vedemmo improvvisamente tutto il lago incresparsi e la canna di mio figlio flettersi paurosamente tant’è che istintivamente mi lanciai in suo aiuto. Incredulo e impreparato non presi in considerazione la possibilità che alla fine di quella lenza ci potesse essere la carpa leggendaria, almeno non lo feci fino a quando la sagoma lucente del pescione ci si parò davanti in tutta la sua grandezza e magnificenza. Uno scroscio d’acqua ci bagnò interamente e fu talmente violento che io caddi all’indietro mentre mio figlio cominciò a ridere e a urlare dalla gioia. Greg la carpa non aveva la reputazione di combattente, “sapeva” di non rischiare nulla. Le sue acrobazie, gli strappi vigorosi, gli improvvisi cambi di rotta parevano più uno spettacolo, un suo divertimento che una strategia di fuga. La sua forza appariva assolutamente straordinaria.

La cattura - o forse dovrei chiamarlo corteggiamento? - durò oltre un’ora.
Venne il momento in cui Greg si placò lasciandosi avvicinare. L’acqua torbida e l’incipiente oscurità non ci permisero fino all’ultimo di osservarlo da vicino. Cercammo allora di tirarlo a secco e tentammo più volte di usare la rete per quanto essa, paragonata alla grandezza del pesce, apparisse ridicolmente piccola. Avevamo paura di ferirlo e per questo preferimmo traghettarlo verso il canneto, dove avremmo potuto entrare in acqua e prenderlo con le mani. Greg per tutto il tempo parve collaborare, eravamo increduli per quello che stava avvenendo sotto i nostri occhi, temevamo anche si slamasse. Non volevamo assolutamente fargli del male, quello no.
Quando riuscimmo a tirarlo fuori dall’acqua ci parve quasi in grado di farsi più leggero e anche tra le nostre braccia il peso non sembrò mai corrispondere alla sua mole. Attraverso il bosco sbucò un ultimo raggio di sole che rivestì di luce dorata il fianco squamoso di quella creatura straordinaria. In quell’istante incrociai il suo sguardo.

Dire che quegli occhi avessero un’espressione umana è dire poco.

Nel giro di qualche secondo riuscirono addirittura a mutare trasformandosi velocemente. Feci allora un’esperienza inattesa, vidi il primo sguardo di mia madre al momento del parto, vidi il pianto di mio padre quando ella ci lasciò pochi anni più tardi… Poi quegli occhi, come per magia, si svuotarono e divennero un cielo stellato. Sconcertato e commosso mi avvicinai curioso per cercare di scrutare quell’oscurità luminosa. In quell’istante un pulviscolo argentato diede forma a un viso di donna che non ebbi difficoltà a riconoscere, si trattava di Jennifer. un amore giovanile purtroppo mai corrisposto. Un dolore che si rivelava, inatteso. Una sofferenza che riconoscevo mia e che evidentemente avevo rimosso.
Quale fosse il senso di quella visione, non me lo chiesi, preferendo assaporare la dolce sensazione che ne proveniva.
Il corpo di Greg cominciò presto a rumoreggiare quasi avesse al suo interno un motore. Si trattava di una vibrazione simile alle fusa di un felino ma molto più intensa. Gli occhi mi guardavano sornioni.
Non volevo più staccarmi da lui.
Udii una voce lontana e solo dopo innumerevoli richiami capii trattarsi di mio figlio:
“Papà… papà… rimettiamolo in acqua!”.
“Ancora un istante, ancora un istante. Vieni, abbracciamolo ancora un istante insieme”.
La vibrazione proveniente dal magico pescione, a tratti, pareva addirittura aumentare.

Quando rimettemmo Greg in acqua era già buio. Dopo essere stato immobile così a lungo ci sorprese con un improvviso scatto di vitalità. Bastò un colpo di coda e scomparve nell’oscurità del lago, lasciandoci inerti, come orfani, sulla riva.
Rimanemmo in silenzio per tutto il viaggio verso casa.
Io segretamente tornai più volte col pensiero a Jennifer e mi sorprese la facilità con cui nella memoria affiorarono scene di quell’incontro che credevo perdute. Perfino dialoghi tra me e quella ragazza risuonarono intatti dentro di me a riprova di come nulla nella vita vada mai perduto.

La sera successiva, al pub, tra i molti che si affollarono intorno a me a chiedermi di Greg o a tentare di scroccare una pinta, apparve lei, Jennifer. Appena mi vide mi abbracciò con trasporto, bella, disinvolta, sorridente come quando era giovane. Sembrava che ci fossimo lasciati solo da pochi giorni.

Rimanemmo a lungo a guardarci senza dire una parola.

Solo dopo parecchi minuti fu lei, per prima, a parlare e la prima cosa che mi disse fu che si trattava di una coincidenza, lei non abitava lì e quel giorno aveva accompagnato un’amica a trovare i genitori e per caso aveva letto il mio nome a caratteri cubitali sulla prima pagina del giornale locale. E subito aveva pensato di farmi una sorpresa.

La vera sorpresa fu quando mi disse di essere stata sposata, aggiungendo che sei anni prima il marito era morto in un incidente. Ebbro di gioia e di speranza trovai quella tragica notizia una tra le cose più dolci che avessi mai udito in vita mia.