È l’anno 2030, sono arrivata alla Grande Quercia.

“Vai sereno, siediti sotto la Grande Quercia e aspettami che arriverò presto”, avevo detto a Paolo che, mangiato dal male, mi aveva sussurrato: “Scusa non ce la faccio più”.

E non ce l’ha fatta più.

Eccomi qua, non ci sono arrivata presto. Anche se ho rischiato di arrivarci veramente subito: il cancro mi ha aggredito; ma io sono stata più forte di lui. Nei viaggi, nei piccoli villaggi, ho sempre visto i vecchi, ma proprio vecchi, almeno dall’apparenza, aspettare sereni la conclusione della loro vita seduti sotto un albero. Pensavo che sarebbero poi arrivati alla Grande Quercia.

La vita è un cammino fatto di ostacoli e di sogni e le giornate scivolano via con un peso specifico emotivo. Pensare a ciò che si è fatto, a chi si è amato e a chi ci ha amato, è un modo sereno di aspettare la sua conclusione quando si è veramente vecchi e la testa è un po’ vaga e le gambe un po’ traballanti. La memoria per le cose passate rimane. Eccome se rimane, non ci si ricorda se si è già preso il caffè, ma ci si ricorda di quel bacio profumato di salmastro in riva al mare e delle tante cose: le importanti e soprattutto quelle dall’apparenza insignificante alle quali, nel turbinio della vita, non avevamo dato peso.

Si pensa agli attimi di vita vissuti, anche ripetitivi, che ci hanno segnato. Ho ricordato i libri che avevo preso dalla libreria del nonno, la cui lettura mi aveva fatto nascere la passione per i viaggi. A quelli della nonna: le opere delle signore letterate italiane (Matilde Serao, Grazia Deledda e Sibilla Aleramo). Quelli mi avevano aiutato a capire costumi, usi, vicissitudini, credenze, rapporti familiari e ruoli sociali e che tanti sono i punti di contatto e di raffronto fra le vite e come tutte valgano rispetto. I libri scolastici mi interessavano poco, sono stata infatti una “bocciaiola” come diceva nonna Elisa. Ma poi alla fine due lauree me le sono prese e il mestiere d’avvocato non l’ho fatto poi tanto male.

Dai libri del babbo, non quelli di chimica che ho sempre evitato (6 chimici in famiglia bastavano), ho imparato ad amare la montagna. Quelle vecchie guide del Club Alpino mi hanno fatto desiderare di andar per rifugi e affrontare le salite, spesso d’inverno con le pelli, delle più alte montagne italiane. La mia toscanità mi ha fatto rivivere le Alpi Apuane: la Pania, il Forato e il Procinto, mai dimenticati.

Nei miei pensieri è entrata anche la bicicletta che, riscoperta in tarda età, mi ha fatto conoscere l’Italia fuori rotta: città e borghi autentici, lontani dagli sfarzi delle città d’arte. Ho risentito il calore degli abbracci di mia mamma. Ho rivissuto le discussioni con mio fratello, sempre su questioni di poca importanza, mai su cose serie e il conforto del babbo che mi consolava nelle mie crisi da adolescente e non solo. Ho ricordato le paure, le speranze e le irrequietezze, costanti nell’oscillare dell’animo umano. Ho trovato il senso e la verità della mia vita e sono arrivata serena alla Grande Quercia.

Suona la sveglia. È il 2020, il sogno svanisce, ma i pensieri no. Forse ho ancora un po’ di anni. Chissà se riuscirò a diventare una scrittrice?