Alessandria d’Egitto, tre settimane dopo.

-Chiara - disse l’uomo.
-Dimmi Maurizio - rispose la donna cambiando posizione nel letto.
-Mi hai sorpreso raccontandomi di te e Theo, sai? In realtà il modo con cui ti sei presentata qui ieri sera e ti sei infilata nel mio letto avrebbe dovuto già farmi capire che il vostro matrimonio... insomma che… ma non immaginavo che voi...
-Eh, la realtà è sempre più complessa di come sembra, caro mio. Ti ho raccontato delle cose che da anni tenevo dentro. Ho sentito che era possibile parlare, che di te potevo fidarmi. Vorrei però farti capire che non sono solita “infilarmi nel letto” come dici tu… Il fatto è che con te è stato subito, tutto, molto diverso. Sentivo che sarebbe andata così già quel giorno, al museo.
-Ma come hai fatto a resistere tutti questi anni? E poi, perché non divorziare se...? Specialmente ora che Theo ti ha detto che è...
-Omosessuale?
-Sì.
-Per una infinità di ragioni. La prima, che ti risulterà incomprensibile, è che io amo Theo. Anche se, dopo tutti questi anni vissuti insieme, mi rendo conto di quanto siamo diversi e di come lui mi abbia soffocata con la sua presenza egocentrica, sempre eccessiva. La responsabilità però è anche mia, non ho difficoltà ad ammetterlo. Pensa che quando ci siamo conosciuti, anni fa, io ero in procinto di partire per New York dove avrei dovuto iniziare un corso di perfezionamento in violino con Itzhak Perlman. All’epoca ero già una concertista piuttosto apprezzata in Italia...
-E poi? Cosa è successo?
-È successo... è successo che ho rinunciato.
-E perché?
-Perché Theo mi ha chiesto di sposarlo e mi ha convinta a viaggiare con lui e a fare la bella vita in giro per il mondo e io ho pensato che fosse giusto così, che in fondo era quello che desideravo. Dopo anni di sacrifici e reclusione mi pareva quasi una liberazione. La musica poteva aspettare. Mi sono annullata completamente nella relazione, dimenticandomi di me stessa. Quando me ne sono accorta ero già in trappola.
-In trappola? -Sì, gli anni sono passati in fretta, abbiamo cercato di avere un figlio ma non è mai arrivato. Dio solo sa quanto Theo avrebbe voluto un erede e poi lui è diventato sempre più famoso, sempre più richiesto. Sempre più impegnato. Ed io, pur rendendomi conto che, giorno dopo giorno, stavo polverizzando il mio talento artistico, non ho opposto resistenza, mi sono abituata al prestigio e ai vantaggi di moglie del famoso prof. Ammann. E il violino è rimasto in un armadio.
-Pensare che chi vi sente conversare o vi vede insieme oggi...
-È tutta abitudine, teatro… anche se come ti ho detto provo veramente dei sentimenti profondi per Theo, sentimenti di riconoscenza, di ammirazione per la sua intelligenza e la sua onestà intellettuale...
-Forse in parte si tratta di rabbia sublimata... scusa se mi permetto di…
-In una relazione matrimoniale c’è sempre un po' di tutto. Hai ragione, sai? A volte provo rabbia perché sognavo una vita diversa, immaginavo di poter essere più indipendente, più libera. Non è andata così… Anche la sua omosessualità a lungo tenuta nascosta, non è stato facile accettarla. Mi sono inguaiata da sola. Ma non potevo tradirlo. L’avessero saputo all’Accademia Archeologica, che tanti riconoscimenti istituzionali gli ha conferito, di lui e dei suoi giovinetti, insomma, mi capisci, sarebbe stato uno scandalo. Per questo l’ho difeso e protetto mille volte. E lui pensi che mi abbia ringraziata? Mai. Non un segno di gratitudine. Come tanti studiosi del mondo classico si sentiva superiore. Come dargli torto, molte delle sue preferenze e dei suoi gusti sessuali, oggi stigmatizzati, nell’antichità erano pratiche lecite…
-Sei stata sua complice quindi?
-Abbiamo condiviso tutto per anni. E abbiamo “volato” alto insieme, tante volte. Ma ora ho paura di cadere in basso. Dipendo da lui in tutto ed è terribile non riuscire più a distinguere me stessa dal resto… ma forse tu mi hai dato un barlume di speranza... Forse tu, involontariamente, mi hai fatto sentire che non tutto è perduto.
-Chiara, tesoro... vieni qui, vicino. Lasciati abbracciare...
-Maurizio…
-Non abbiamo dormito molto questa notte… tra poche ore vedrai i quadri del tuo amico Biasi... sei contento?
-Sì, certo. Non vedo l’ora.
-E poi cosa succederà? Te ne andrai via con i dipinti e mi lascerai sola?
-Oh no, come puoi pensare questo?
-Non so, immagino la tua vita avventurosa e libera. Senza legami. Vorrei tanto che tu mi aiutassi a trovare il modo di uscire da questa prigionia…
-Se potessi…
-Non mi hai detto nulla di te, caro il mio cacciatore di capolavori nascosti…
-Sentimentalmente un po' tormentato…
-Non si direbbe. C’è una tua foto di là in salotto abbracciato a una donna fascinosa... non mi sei parso molto sofferente... sai ieri sera non ho osato chiederti chi fosse per non rovinare la nostra prima sera insieme. Chi è? Devo supporre che non verrà mai a sapere di questa nostra notte… o…
-Shamila. Si chiama Shamila. Questa è casa sua. Ma non è come pensi. L’hai detto tu, i matrimoni, le relazioni sentimentali sono sempre esperienze complesse… E diverse rispetto a come appaiono.
-Casa sua? E quindi tu…
-No, Chiara. Non mi guardare così. Se vuoi ti racconto…
-Posso immaginare…
-No, lascia che ti racconti…
-Ok.
-Ho conosciuto Shamila diversi anni fa. Lei è figlia di diplomatici egiziani, ha studiato a Londra. Intelligente, bella, ma sempre molto inquieta. Qui in Egitto ha fondato un movimento per i diritti delle donne, il WRIA (Women’s Rights in Action) che si è presto trasformato in un gruppo rivoluzionario. Ciò le ha creato un mare di guai. Nonostante il padre fosse una persona d’alto rango lei ha dovuto lasciare il Paese…
-Siete sposati?
-No…
-Tra di voi però…
-Sì, abbiamo avuto una relazione sentimentale bellissima, intensa anche se breve. Se ben ricordo durata non più di qualche settimana. Io all’epoca ero pazzo di lei. Le ho anche chiesto di sposarmi ma lei mi ha sempre detto no. Però abbiamo fatto viaggi straordinari lungo il Nilo, in Mali e nel Niger. Insieme abbiamo visto gli imponenti Buddah di pietra di Maysiksa in Afghanistan quando ancora nessuno immaginava che un giorno sarebbero stati distrutti dalla furia dei talebani. Lei è una grande viaggiatrice, coraggiosa, scaltra. Lei mi ha convinto a lasciare il vetusto mondo della ricerca archeologica. È stato durante uno dei nostri viaggi che ho cominciato ad acquistare e rivendere oggetti di pregio che, grazie alle mie competenze archeologiche, sapevo scegliere. La famiglia di Shamila, inutile dirlo, era molto agiata, pensa, possedeva addirittura un’oasi nel deserto, un luogo incantevole, sorgenti d’acqua, fiori e palme da dattero circondati da chilometri di sabbia. Dicono sia stato il posto in cui Cleopatra e Marco Antonio si davano appuntamento…
-Va beh Maurizio, dai, non c’è bisogno di inventare altre storie, ricordati che mi hai già sedotta...
-Guarda che non sto inventando nulla. Shamila è stata per lungo tempo un tormento per me, almeno fino al giorno in cui mi sono arreso e ho capito che per sopravvivere dovevo togliermi dalla testa l’idea di poter creare una famiglia con lei. Da quel momento è andata bene tra noi, intendo dire non ci sono stati più attriti. Abbiamo continuato ad amarci, senza stare veramente insieme.
-E lei ora dov’è?
-Qualche giorno fa quando ci siamo sentiti era a Tunisi ma stava partendo per Tel Aviv. È sempre in movimento. Mi è sembrata più vitale che mai. Ci sentiamo ogni tanto, non spesso. Abbiamo un tacito accordo però, trascorrere insieme almeno una settimana all’anno. Di solito la passiamo qui, la casa è così bella e anche questo quartiere è ancora popolare e genuino. Non ho mai capito come lei riesca ad entrare in Egitto. Una volta ho visto la sua foto segnaletica all’aeroporto del Cairo. Che pazza. Sì, Shamila è veramente un po' pazza…
-Pazza ma libera. Un po' la invidio. Mi immagino che lei non abbia nulla da dire di te e delle tue conquiste. E non avrà nulla da obbiettare sul nostro amore…
-Quale amore scusa?
-Maurizio, guarda che sei un vero mascalzone, questa notte mi hai detto ti amo due o tre volte mentre mi scopavi senza risparmiarti...
-Sono un tipo sentimentale, non riesco a farlo altrimenti… (ridacchiando).
-Brutta razza di… (afferrando e lanciandogli addosso un cuscino).
-Chiara guarda! C’è l’alba! Vieni con me in terrazza a vedere il sole che sorge?
-Oh Maurizio, che meraviglia... andiamo, sì…
-Ma Theo a che ora arriva dal Cairo?
-Verso le 11 ha detto…
-E il nostro incontro con il tipo dei quadri?
-Nel primo pomeriggio. Ci aspetta.
-Bene.
-Che vista incredibile! Si vedono tutti i tetti della città, oh Maurizio! Ehi! Qui dietro c’è anche una mini piscina... certo che non vi fate mancare niente voi due eh?
-Chiara, tesoro... fermati, vieni qui un attimo e dammi un bacio.
-Ti bacio ma non mi chiamare tesoro. Mai più. Non te lo permetto.
-Va bene, tesoro…

-Ahlan wa sahlan bikom fi manzili! (Benvenuti nella mia casa!) Disse l’uomo accogliendo i suoi ospiti nel grande atrio ombroso. L’autunno svizzero pareva lontanissimo a confronto del caldo torrido di quel pomeriggio egiziano. Theo e Maurizio, in giacca e cravatta, invidiarono da subito l’ariosa gallabeya azzurra del padrone di casa, tirando un sospiro di sollievo nel sentire la netta differenza di temperatura tra l’esterno e l’interno dell’abitazione. Chiara non c’era perché Theo le aveva detto di non venire: l’amico egiziano, la persona in possesso dei quadri di Biasi, non amava avere le donne intorno a sé, soprattutto quando si trattava di affari, “distraggono”, aveva detto.

Maurizio inizialmente aveva spalleggiato Chiara tentando di convincere Theo ma il risultato non era cambiato. La trattativa per l’acquisto delle opere del Biasi era cosa delicata e nulla doveva turbare un possibile accordo.

-Come va la vita, mio caro Sayed?
-Come sempre, si lavora, i clienti non pagano, le figlie non ubbidiscono. E questo governo non sembra amare il suo popolo... insomma niente di nuovo - disse invitando gli ospiti a sedersi su di un grande divano di pelle screpolata dal tempo.
-Ti trovo bene però. Quando mi porti ancora a mangiare il pesce? Ti ricordi quel locale al mare con quei camerieri prestanti…?
-Certo che mi ricordo, vedo che mangiare ti piace sempre eh? - disse puntando il dito in direzione della pancia di Theo.
-Ha ha ha... - rispose Theo, dimenticandosi di fare le presentazioni.
-E con te chi c’è oggi? - disse Sayed scrutando Maurizio, con i suoi occhi scuri.
-Ah, che maleducato, scusa. Ti presento il dott. Aliberti, un caro amico italiano. Un esperto di arte e…
-Sono io il vero maleducato - li interruppe Sayed. E voltandosi verso la parte interna dell’appartamento si mise a urlare: “Fin chey bitah di youf ana mouch fehim lih fi bit da mahadich biyesmahni? (Avevo chiesto del tè per i miei ospiti e sono qui che aspetto, perché in questa casa il padrone non viene più ascoltato?).

Fece la sua apparizione un ragazzo vestito con una gallabeya gialla, confezionata in tessuto visibilmente più modesto ma non per questo meno elegante. Portava un grande vassoio di metallo dorato, con tre bicchieri e una teiera piena di tè caldo alla menta. Sul vassoio faceva bella mostra un’invitante ciotola di datteri freschi.

-Perdonatemi ancora - disse Sayed congedando bruscamente il giovane maggiordomo.
-La vita è molto peggiorata da quando è mancato mio fratello. Povero Mohammad, così giovane. Che tragica fatalità. E anche la sua adorata moglie, morire tutti e due così, per colpa di un disgraziato. Un criminale in giro in auto senza patente… spero lo arrestino quanto prima...

E così dicendo si mise a rovistare in mezzo a delle carte sparse sopra al tavolo su cui era appoggiato il vassoio del tè…

-Eccoli, guarda! - disse a un certo punto Sayed tirando fuori una fotografia in bianco e nero in cui appariva una coppia abbracciata con un lussureggiante giardino sullo sfondo.
-Erano così felici! - e passò la fotografia a Theo che la fece giungere poi nelle mani di Maurizio.
-Lei era veramente una donna meravigliosa, così devota. Era italiana, come lei, dott... dott…
-Aliberti - rispose Maurizio assorto, intento a scrutare l’espressione familiare del volto della donna nella foto che per qualche motivo gli ricordava…
-Caterina! Povera Caterina! - esclamò in quel preciso istante Sayed provocando una fitta al cuore di Maurizio.
-Come si chiamava scusi? - chiese allarmato.
-Caterina Raibaudi, perché? La conosceva? - rispose Sayed incuriosito dall’espressione contrariata dell’ospite.
-Il nostro museo ha perduto un’eccellente ricercatrice! - aggiunse Theo, ignaro di quello che stava avvenendo.
-Ricordi Theo l’anno scorso quella sua sensazionale scoperta? 100 mummie nella tomba monumentale... fu su tutti i giornali del mondo...
-Il mondo dell’archeologia ha perduto una valorosa studiosa... è indubbio - rincarò Sayed mentre Maurizio si sentiva come se il terreno gli si sgretolasse sotto i piedi. Se avesse potuto, in quel momento, avrebbe scelto di franare in una di quelle tombe, per scomparire, dissolversi.
-L’unica consolazione è che il loro figlio si è salvato. È rimasto illeso. Un miracolo - aggiunse Sayed.
-È tanto che non lo vedo il caro Luca, ormai sarà un uomo - disse Theo.
-Avevano un figlio? - chiese Maurizio incurante del rischio di compromettersi.
-Era figlio di Caterina, immagino avuto dal precedente marito. Quando incontrò mio fratello Muhammad c’era già, ma era un ragazzino - aggiunse Sayed.
-Che tragedia! - disse Maurizio già in trance, riferendosi inconsciamente a se stesso.
-Cerchiamo di andare avanti. Non era mia intenzione, cari ospiti, rattristarvi con i lutti della nostra famiglia.

E allungò lo sguardo raggiungendo Maurizio che in quell’istante si era coperto il volto con entrambe le mani.

-Ditemi piuttosto, a cosa devo il piacere di questa visita?
-Ah, sì, arriviamo al punto - disse Theo, compiaciuto di essere riuscito a raggiungere il primo obiettivo.
-Sono tutto orecchi - rispose Sayed abbozzando un sorriso ma senza mai perdere di vista l’altro ospite che in quel momento appariva pallido e trasfigurato in volto. E stava immobile.
-Ricordi quella collezione di quadri che aveva tuo fratello, i dipinti di un italiano, un certo Biasi? Li abbiamo commentati insieme proprio un anno fa in questo periodo, era la festa della tua figlia maggiore, ricordi? - chiese a quel punto Theo, cercando inutilmente di trovare un po' di complicità nello sguardo di Maurizio.
-Ricordo che c’erano dei quadri molto grandi, belli, colorati...
-Quadri? Abbiamo dato via tutto un mese fa. Prima di vendere la casa ci hanno chiesto di svuotarla e allora io ho chiamato Sulaiman, quello che ritira le cose vecchie e poi le porta in discarica - rispose Sayed, candidamente.
-Ma come? Vuoi dirmi che hai buttato via tutti quei dipinti? Chiese Theo sempre più rosso e sudato in volto...
-Chi ti ha detto che li ho buttati? Li ho venduti. Sulaiman mi ha fatto un’ottima valutazione - aggiunse con espressione compiaciuta.
-Comunque, erano delle vecchie croste inguardabili, tutte scure... Credimi, non ne avrei salvato uno. Con i soldi poi Luca ha comprato una macchina nuova. Soldi ben spesi!
-Bravo zio! Mi piaci quando parli così! - si udì all’improvviso, alle loro spalle una voce maschile, in perfetto italiano.
-Luca! - esclamò Sayed - Che sorpresa! Vieni che ti presento ai miei ospiti.
-Che bel ragazzo! - si lasciò sfuggire Theo, osservando il giovane appena apparso.

Maurizio non reagì. Di fronte a lui, vestito con una gallabeya di un verde sgargiante, c’era la sua fotocopia con i capelli corti e vent’anni di meno. Identici erano lo sguardo, il naso, la bocca, il sorriso. Nessuno però, a parte Maurizio, parve accorgersi della somiglianza.

Convinto di aver subito pochi minuti prima una delle più grandi ingiustizie della sua vita e psicologicamente impegnato a elaborare il contraccolpo per la perdita dei dipinti, Maurizio non poteva immaginare che il suo passato avrebbe potuto piombargli addosso a quel modo. Chissà perché era convinto di essere al sicuro. Evidentemente non era così. La vita era venuta a prenderlo, l’aveva scovato, riagguantato. E ora non c’erano dubbi, da quell’istante in poi, nulla sarebbe stato più come prima.

Hall dello Sheraton Hotel ad Alessandria d’Egitto, il giorno dopo

-Maurizio!
-Ciao Chiara!
-Come stai? Ho saputo da Theo che ieri il nostro amico Sayed vi ha fatto un brutto scherzo…
-Guarda Chiara, era l’ultima cosa che avrei immaginato di vivere, non so veramente cosa pensare... sono ancora un po' scioccato...
-Anche Theo era molto dispiaciuto. Si sente responsabile di aver creato in te tante aspettative per poi…
-Ma no, come potrei volergliene, Theo è sempre stato gentilissimo. Fino all’ultimo ha cercato di aiutarmi. Anche ieri sera mi ha chiamato proponendomi di andare a parlare con l’uomo della discarica…
-Potrebbe essere un’idea, non si sa mai… in fondo…
-Non so se potrei reggere la visione di opere di Biasi smembrate e gettate tra i rifiuti…
-Non è detto che sia andata così…
-È altamente probabile... credimi Chiara. Mi sono informato, il luogo in cui sono stati portati è la discarica principale di Alessandria. Hai idea delle tonnellate di schifezze che vengono scaricate laggiù ogni giorno? La notizia di ieri mi ha devastato. Tanto quanto…
-Tanto quanto cosa?

A quella domanda Maurizio volse lo sguardo senza rispondere. In un lasso di tempo brevissimo ma interiormente vastissimo, la sua mente fu invasa da immagini e sensazioni legate all’incontro del giorno precedente. Quel pomeriggio, dopo tutto quel susseguirsi di emozioni e colpi di scena, era successo che Theo avesse deciso di fermarsi un po’ più a lungo per parlare di affari con il suo amico Sayed. Maurizio, per questo motivo era stato gradatamente escluso dalla conversazione e il giovane Luca, vedendolo spaesato, gli aveva proposto di accompagnarlo in macchina fino a casa. Fu per caso quindi che, pochi minuti dopo, padre e figlio si ritrovarono per la prima volta fianco a fianco.

Che cosa straordinaria la vita – fu il primo pensiero di Maurizio, mentre prendeva posto sull’auto. Il tragitto, a causa del traffico caotico, fu più lungo del previsto. E a dire il vero non molte parole furono spese. Ma l’emozione che si percepì da entrambe le parti, fu, quella sì, palpabile. Una gioia sconosciuta, bellissima, seppure trattenuta, sorse alla vista di quel ragazzo. Bellissime le sue mani flessuose, i suoi sguardi, rubati nel riflesso dello specchietto retrovisore, i suoi gesti sicuri ed eleganti, colti da Maurizio, uno ad uno, con morbosa precisione. La cosa che però più di tutte non smetteva di affascinarlo era il fatto che quel ragazzo, fino a poche ore prima, gli fosse stato estraneo.

Il calore intenso nell’abitacolo dell’automobile contribuì a sciogliere le rigide difese interiori di Maurizio che, piano piano sentì affiorare dentro di sé emozioni dimenticate, speranze e paure. La rivelazione dell’esistenza di quel giovane figlio lo stava scuotendo in profondità. Più di quanto ne fosse realmente consapevole. Quel processo subì un’accelerazione spingendo Maurizio lontano. Così lontano da permettergli di tornare all’attimo in cui, con ogni probabilità, concepì quel figlio. Riconobbe i gemiti trattenuti di Caterina, e si rivide nella sua camera, nella casa dei genitori di lei, con la paura di essere scoperti dal padre. Poi le immagini si offuscarono, oscurate da domande urgenti: quando si accorse Caterina di essere incinta? Cosa provò? Possibile che il giorno in cui lui decise di annunciare la sua partenza lei lo sapesse già? E se sì, perché non disse nulla?

La gioia riconoscente per quel figlio ritrovato lenì solo in parte il dolore che gli procuravano quegli interrogativi senza risposta. Caterina sola, Caterina abbandonata, con la vita in grembo. Quale dramma le toccò vivere! Fu costretta a confrontarsi con i genitori feriti nell’orgoglio e ostili? Improvvisamente la memoria fu scossa dal frastuono delle urla del padre: “Il bambino lo puoi tenere a patto che quel disgraziato non lo sappia e non abbia mai più nulla a che fare con la nostra famiglia!”.

Ecco, sì, le cose erano andate così, pensò Maurizio. Altrimenti Caterina avrebbe trovato il modo di dirglielo. Ma se non fosse partito? Come sarebbe stata la sua vita se non avesse preso quella decisione? Non riusciva a immaginarlo. Tutte quelle congetture lo rendevano sempre più confuso e non lo aiutavano certo ad accettare la sua nuova condizione di padre. Sarebbe stato all’altezza del suo ruolo? Avrebbe, quella tardiva investitura, permesso di realizzare il suo compito paterno?

-Le piace la nuova Biblioteca di Alessandria? - aveva detto improvvisamente Luca indicando un faraonico edificio a forma circolare che si ergeva a confine tra la tangenziale e il mare…

Maurizio, che conosceva molto bene quella architettura, la guardò con lo stupore di un bambino, quasi fosse la prima volta. Quando lo riconobbe, si ricordò di quando ci era stato con Shamila, molti anni prima. In un pamphlet ad uso dei visitatori italiani c’era una citazione di Federico Zeri che in quel momento gli tornò a mente.

...perchè l’importante non è quanto si legge, ma quanto si assorbe. Del resto sono del parere che il passato è morto per sempre. Le opere di un tempo avevano dei connotati che ora ci sfuggono completamente. E il nostro presente? L’arte moderna sta già morendo, senza neppure diventare passato. Ma non importa. Resterà ciò che deve. Come nel Medioevo, quando i libri venivano bruciati. Ma è rimasto tutto l’essenziale.

E se valesse anche per l’opera del Biasi? Pensò Maurizio osservando l’orizzonte perfetto del mare...

-Tutto bene Maurizio? - ripeté Chiara per ben due volte prima di ottenere risposta.
-Mi sento a pezzi, scusa ma devo assolutamente bere qualcosa…
-Sì, certo. Mi fai preoccupare, hai una faccia… ah, guarda, sta arrivando Theo…
-Maurizio carissimo, mi devi perdonare, avrei voluto chiamarti ieri sera ma poi sono successe mille cose. Qui non è come in Svizzera, qui ogni cosa si complica invece di semplificarsi. Ogni volta che vengo da queste parti me ne dimentico e mi devo riabituare... anche stamattina, allo scavo di Assuan, un’infinità di grane che non puoi immaginare. Ma anche molte novità…
-Hai avuto per caso qualche dettaglio in più sul triste destino dei quadri del Biasi? - lo interruppe Maurizio.
-Ah sì, giustamente tu mi chiedi della cosa che ti sta più a cuore e io non posso che sentirmi profondamente imbarazzato per quello che ti ho fatto vivere. Da non augurare al peggior nemico…
-Dici che varrebbe la pena andare dal tipo che li ha ritirati?
-Si potrebbe, per scrupolo. Certo che si rischia di morire di crepacuore... però credimi tutto mi aspettavo meno che una sorpresa così scioccante. Quel Sayed è un vero bestione, tanto raffinato e fine nei suoi affari quanto lontano dalle cose dell’arte. Beh, bastava vedere la sua casa. Lui è una cara persona, ci lavoro da oltre quindici anni e ha tutta la mia fiducia ma questa dei quadri non me la doveva fare. Suo fratello, Muhammad, no, lui era completamente l’opposto. Anche la moglie, “la torinese” come la chiamavamo noi, era una persona fine e garbata. Con una cultura e una conoscenza dell’antico Egitto senza pari. Povera la nostra Caterina...
-Vi frequentavate quindi? - chiese Maurizio.
-Oh, sì, tutte le volte che passavamo da Alessandria ci vedevamo. Curiosamente non abbiamo mai lavorato insieme... ma…
-Ma…?
-Ma non so, a volte avrei voluto chiederle da dove veniva tutta quella sua grinta, quel suo modo di vivere così intenso. Immagina una donna italiana che si trasferisce in un Paese musulmano e sposa un egiziano… Era speciale. Certo non deve aver avuto la vita facile, soprattutto da giovanissima, incinta di non si sa chi a vent’anni, i due genitori morti pochi anni dopo in un incidente. Ora che ci penso, il medesimo, tragico destino. Curioso, no? Beh, una gran donna. Mi faceva sorridere quando diceva che l’ultima cosa che pensava di fare nella vita era l’egittologa ma poi, per caso, era stata al museo egizio ehm… c’era qualcun altro che mi ha raccontato una storia simile, ma chi era? Chiara, tu ricordi chi aveva avuto quell’illuminazione sulla via di Damasco…? Mah, il caldo a volte mi fa perdere la memoria. Abbiamo già prenotato il ristorante per questa sera?

Bordo piscina, Sheraton Hotel, due ore dopo

-Se fossi in te non lo farei - disse la donna, asciugandosi i capelli con un grande telo di lino bianco.
-Non farei cosa? - rispose l’uomo facendo finta di non aver capito.
-Eviterei di rivelare il vostro legame. Troppo rischioso, non pensi?
-Perchè rischioso? Si tratta di una dichiarazione d’amore, nient’altro.
-Un’espressione di egoismo travestito da amore, questo forse intendi dire…
-Sei crudele, Chiara…
-E perché? Perchè ti sto dicendo una verità scomoda? Ignoravi l’esistenza di quel ragazzo fino a ieri e ora senti l’urgenza di dichiarargli il tuo amore? Hai riflettuto sui rischi di questo tuo “atto d’amore”? Hai già pensato alle possibili conseguenze? Alle imprevedibili conseguenze? Il tuo slancio di amore potrebbe essere traumatico oppure semplicemente non gradito… E tu? Come reagiresti a un rifiuto, se questa fosse la sua reazione?
-Non so, non ho pensato a nulla di tutto questo, penso solo che l’amore… e poi tu non hai figli e quindi non puoi capire...
-Ah, parla chi è diventato padre da poche ore... Sei un vero egoista, lasciatelo dire. Non c’è barlume d’amore in questo tuo progetto, solo la necessità di confortare il profondo senso di colpa per la scelta scellerata di anni fa, quando hai mollato quella povera ragazza. Un senso di colpa reso insopportabile ora che sai che lei ha cresciuto vostro figlio da sola, mentre tu inseguivi la tua vanità…
-Chiara! Hai finito con questa insopportabile ramanzina moralistico-psicologica o vuoi andare avanti? Com’è che ti sei svegliata male questa mattina? Ho ascoltato tutte le tue storie matrimoniali senza battere ciglio l’altra notte e ora tu. Ma Theo dov’è? Era seduto sulla sdraio qui di fronte a me un attimo fa…
-Non mi parlare di lui, per favore!
-Ah, ecco, ho scoperto l’arcano! Cosa è successo? Giornata no?
-Gli ho detto di noi…
-Ah!
-Sì, ieri sera. Mi sembrava giusto condividere i miei sentimenti... e…
-Ma avevi pensato prima alle conseguenze di…? (sorridendo).
-Maurizio! A volte mi sei insopportabile.
-Scusa ma si capisce che sei incazzata. Il fervore con cui ti sei scagliata contro di me sembra alimentato da...
-Insopportabilmente capace di leggermi nel cuore, mi chiedo come tu faccia a…
-Racconta, dai. Cosa è successo?
-Gli ho detto di noi e lui mi ha detto che era contento per me, che mi capiva. Anche lui ha un debole per te.
-Beh, perfetto allora. Importante che non pretenda nulla da me… Ma dimmi ora, come mai sei così arrabbiata?
-Inizialmente ho provato una grande gioia nel sentirmi accolta e accettata, sai per me non c’era nulla di scontato. Mai nella vita mi ero trovata in quella situazione e sentivo che mi stavo mettendo profondamente in gioco…
-Accolta e accettata. Che bello. Una reazione pacata e pacifica, molto svizzera direi.
-Una reazione, la sua, che nel giro di poco tempo mi è venuta in odio e non so dirti perché. O forse sì! Avrei voluto l’esatto opposto, e sembra folle anche solo pensarlo, avrei voluto sentire una gelosia sanguigna, avrei voluto sentirlo urlare, avrei voluto patire le peggiori punizioni... Tutto fuorché quella tiepida e diplomatica risposta. Che mi ha resa improvvisamente cosciente della mia relazione con lui…
-Certo che voi donne non siete mai contente eh?
-Speravo in una riflessione più intelligente da parte tua sinceramente Maurizio, scusa…
-Perdonami, cercavo di sdrammatizzare. Non riuscivo a togliermi dalla testa l’immagine di Theo tutto rosso che implode la sua ira... mentre ti accoglie soavemente…
-Mi accorgo di aver sacrificato la mia vita per lui. Per che cosa poi? Maurizio, non ho chiuso occhio stanotte pensando a te, al tuo corpo acceso, possente, alle tue carezze spudorate e libere. Capisci la differenza? Anche da quel punto di vista non riesco a capire come io abbia potuto accontentarmi di tanta freddura così a lungo... oh Maurizio... Maurizio...
-Sta tornando Theo.
-Ah, eccolo. Ancora con il giovane Ammed, il giovane massaggiatore dell’albergo…
-La dura vita dell’archeologo… (sorridendo).
-Tu non fare troppo lo spiritoso e non dimenticarti del mio consiglio, non dire a Luca che sei suo padre…
-Ok, ci penserò. E tu molla il tuo svizzerotto e fatti una vita.
-Ehi! Ora non esagerare! Ma guarda che sfacciato! Ho l’impressione che le ultime rivelazioni abbiano fatto cadere qualche maschera dalle tue parti... o sbaglio? Uff! Io vorrei una vita come la tua Shamila, ecco cosa vorrei...
-Non sai di cosa parli, lei è veramente pazza.
-Anch’io sono pazza, pazza di te, Maurizio.
-Ma no dai, sei solo un po' sbalestrata dal cambiamento in corso.
-Quale cambiamento?
-La vita che chiama.
-La vita. Già, la vita…
-Ti aspetto stanotte? Sarò sola. Camera 138. -Chiara, io…

Oasi di Moghara, ultimo giorno

Successe l’ultimo giorno. La gita agli scavi dell’Oasi di Moghara, 50 km a Sud di El Alamein, rinviata innumerevoli volte, finalmente si realizzò.

C’era Theo che, a dispetto del comportamento un po’ lascivo che lo possedeva a quelle latitudini, rimaneva un’autorità indiscutibile nel campo della ricerca archeologica. Sua era stata per anni la direzione di un importante progetto di scavi in quel luogo. Lo si capiva guardando la sua espressione compiaciuta quando iniziava a raccontare per filo e per segno le sue scoperte. Che di fatto erano state, tutte, scoperte eccezionali.

C’era la sua consorte, Chiara, che sfoggiava per l’occasione un taglio di capelli molto corto, “stai bene, sembri un maschio”, aveva commentato il marito con il suo proverbiale candore svizzero. E poi Maurizio che, più che mai, era immerso nei suoi pensieri. Il giorno prima era stato dal “ras” della discarica ed era riuscito in extremis a salvare dalle ruspe un dipinto del Biasi, un piccolo olio raffigurante un padre beduino con il figlio: mai opera gli era parsa più pregna di significato in quel momento. Certo rimaneva il dolore per la distruzione degli altri, ma era fortissimo anche il fascino per tutto quel mistero, per il modo con cui si erano susseguiti gli eventi. Se non ci fossero stati quei dipinti ad attenderlo, lui non sarebbe venuto in Egitto. E non avrebbe così scoperto di avere un figlio. Fu quel pensiero che generò in Maurizio una nuova riflessione a proposito dei dipinti scomparsi. Forse veramente la forza propulsiva e generatrice dell’artista alla fine trascendeva le sue opere. Una forza che nasceva con la creazione ma non si estingueva. Neppure in assenza dell’opera. Anzi, agiva, armonizzandosi con le altre forze dell’universo, continuando a creare. O a influenzare il corso degli eventi, come nel suo caso.

E poi c’era Luca. Sì, proprio lui, con la sua ragazza, una giovane minuta, ma di carattere, di nome Rubaa. Il gruppo, quanto mai eterogeneo, guidato da Theo, vestito con una buffa sahariana di due taglie fuori misura, si diresse verso il lago di Moghara, proprio al centro dell’oasi. Theo, chi se non lui? parlò a tambur battente. Per tutto il tempo dell’escursione si udì quasi solo la sua voce.

-Vedrete che roba! - aveva esordito improvvisandosi cicerone del suo scavo archeologico.
-In questo luogo è successa una cosa incredibile, ne avevamo rilevato testimonianze già sui testi di Strabone ma mai prima d’ora erano stati portati alla luce elementi concreti a suffragare le nostre tesi. Qui nel XII secolo arrivò una legione romana capitanata da un certo Tullio Augusto e qui rimase. Per sempre.

-No, non furono uccisi. Rimasero qui perché qui trovarono le donne più belle d’Egitto e scelsero di non tornare a Roma. Pensate le facce delle loro mogli nel ricevere la notizia - aggiunse ridendo.
-Che romantico! - esclamò istintivamente Chiara, in realtà tutt’altro che in vena di romanticherie in quel momento.

Cosa avrebbe dato per essere altrove in quelle ultime ore. Altrove, magari sola con Maurizio. Non si faceva illusioni. Comunque sarebbe andata a finire quella storia, sentiva che le era servita, aveva maturato in lei la convinzione che le cose con Theo non potevano più andare avanti.

-Mi dispiace tu abbia deciso di non seguire il mio consiglio - bisbigliò Chiara rivolgendosi a Maurizio.
-Non è come pensi. Non l’ho invitato io, credimi - le rispose coprendosi la bocca con la mano.
-Questo posto è perfetto! - aveva improvvisamente esclamato Luca creando immediatamente un sentimento di ammirazione in Maurizio che non smetteva di guardarlo…
-Vedete quella fila di palme là in fondo? Lì verrà costruito il padiglione per l’accoglienza dei piloti. Sarà bellissimo - aggiunse Luca staccandosi dal gruppo e avvicinandosi alla riva del lago, dove leggere folate di vento offuscavano a intermittenza la limpidezza dell’acqua…
-Ma non ci presenti la tua fidanzata? - chiese Theo, indispettito per aver perso l’attenzione della platea...
-Ma certo, scusatemi. Lei è Rubaa, purtroppo non parla e non capisce l’italiano. Appena si concretizza il progetto della gara fisseremo la data del nostro matrimonio. Ci piacerebbe fare il viaggio di nozze in Italia.
-Che bello! - disse Chiara.
-Quale progetto? - chiese Maurizio, già un po' orgoglioso per quel figlio così intraprendente...
-Ehm...sarà una specie di Parigi-Dakar ma con partenza da Istanbul e arrivo qui, passando da Alessandria. Ci sto lavorando da cinque anni. Ah! Niente moto, solo auto preparate, diciamo in stile rally. Se riesco mi piacerebbe partecipare con la mia Opel. Chiaramente sarà da trasformare completamente, ma ho la persona giusta che potrebbe farlo…
-Rubaa ma tu cosa pensi delle mirabolanti idee del tuo fidanzato? - chiese Chiara dimenticandosi del problema della lingua…
-Aspetta! - intervenne Luca provvedendo a tradurre velocemente le parole di Chiara.
-Ragazzi, scusate ma ci siamo avvicinando alla necropoli dei centurioni - disse Theo cercando di recuperare l’attenzione del gruppo.
-Rubaa dice che è contenta per me e che mi augura tanta fortuna e molte soddisfazioni. Ma lei tra un mese andrà a Berlino a fare un corso di danza orientale con un coreografo del Cairo che da anni vive nella capitale tedesca e… insomma, per le nozze bisognerà attendere ancora qualche mese - aggiunse Luca con fare mesto.
-Beh, Rubaa potrebbe venire prima da noi a Basilea a fare un corso intensivo di lingua tedesca - propose Theo - ora però vorrei la vostra attenzione perché quello che vi mostrerò è unico al mondo. Non vorrei deludere Luca con i suoi progetti di gare e piloti ma attualmente tutta l’oasi che vedete è proprietà vincolata e protetta perché di inestimabile valore storico…
-Prof. Ammann, sono io che devo contraddire lei ma si sta riferendo a un piano governativo di qualche anno fa. Ci sono sponsor miliardari, soprattutto di Dubai, che si sono offerti di recuperare tutto ciò che è stato scavato in questa zona, finanziando un museo ad hoc in città. Capisce che con una offerta del genere...
-Sì, ma... - borbottò Theo.
-Anche mamma veniva spesso in quest’oasi - disse Luca - sembrava che con il suo proverbiale fiuto da archeologa sentisse che qui sotto si nascondevano dei tesori. Se fosse viva penso che sarebbe molto felice di essere qui con noi oggi... - aggiunse Luca notando per la prima volta lo sguardo incantato di Maurizio su di lui.
-Lo penso anch’io! - si lasciò sfuggire Maurizio. Stranamente nessuno udì quelle parole…
-Legionari romani e consorti egiziane furono seppelliti insieme, mummificati e conservati in maestosi sarcofagi dipinti, sui quali, ai tradizionali geroglifici, furono uniti mirabili ritratti realistici in stile pompeiano…
-Mummificati insieme? - chiese Chiara facendo una smorfia con la bocca.
-Mummie qui? In un’oasi? Mi sembra improbabile - disse Maurizio con improvviso piglio polemico.

In realtà il motivo della sua crescente tensione era un altro. Aveva accanto suo figlio e non sapeva come fare per...

-Eppure… - disse Theo tutto compiaciuto per essere riuscito a catalizzare l’attenzione anche solo per qualche attimo. -Le 80 mummie sono già al sicuro ad Alessandria - aggiunse poi, laconicamente.
-Bene! - esclamò Luca.

In quel momento si avvicinarono due beduini con i loro cammelli e credendoli turisti, in un inglese stentato, cercarono di proporre a tutti un giro dell’oasi. Luca intervenne cogliendoli di sorpresa e dopo una breve conversazione li fece allontanare.

-Tutta la zona avrà un forte impulso di crescita turistica - disse facendo ritorno dagli altri del gruppo - non abbiamo più bisogno di quei quattro datteri che vengono prodotti qui o degli affitta cammelli. È tempo di pensare in grande, ci sono infrastrutture e strade da fare qui. L’occasione è irripetibile - concluse Luca, tutto emozionato.
-È giusto, sì! - esclamò Maurizio senza aver ascoltato.
-Io ho fame! - disse invece Chiara.
-Ah ma allora vi porto al chiosco del panino africano! Esiste da tempo immemorabile, sapete? Qualcuno dice addirittura dai tempi dell’antico Egitto - disse Theo disperatamente alla ricerca di consensi.

Per essere già autunno la temperatura risultava ancora molto elevata e a causa del caldo la comitiva arrancò non poco per superare le dune che separavano le due parti dell’oasi. In fondo ad un pittoresco bosco di palme e alberi di mandarini scorsero con un certo sollievo la baracca del venditore di panini dalla quale giungeva un invitante profumo di cipolla.

-Hanno combinato il nostro roesti di patate saltate con il loro pane arabo - esclamò Theo in un momento di nostalgia esaltata - certo ancora non conoscono la senape al miele di Basilea, sono ancora un po' arretrati qui e affogano tutto nella ketchup… Però quando uno ha fame… lasciate che vi offra io il pranzo! - e detto ciò percorse gli ultimi metri allungando il passo verso il chiosco.

-Sei mai più tornato in Italia? - chiese Maurizio dopo aver osservato per qualche minuto Luca sbocconcellare il suo enorme panino. Era la prima volta che mangiava con suo figlio, pensò. Gli venne in mente di quando nelle domeniche di primavera, camminando lungo il Po a Torino aveva, guardato con curiosità padri con figli godere della reciproca compagnia e dei loro pic-nic e c’era sempre qualcosa di inafferrabile che ora, per la prima volta, gli sembrava di capire.

  • No - rispose Luca - quando mamma si trasferì ad Alessandria io ero ancora piccolo e poi, morti i nonni, a Torino non era rimasto più nessuno. Però a Torino mi piacerebbe andare, so che c’è un salone delle auto incredibile…

Fu in quell’istante che Maurizio decise che gli avrebbe parlato. Non ci sarebbero state genuflessioni da parte sua ma il racconto dell’esistenza di una Fiat Duetto rossa, dimenticata da tempo immemorabile a casa dei nonni, a Trana torinese. Sì, la redenzione sarebbe partita da un’automobile. Ne era convinto. E una volta in Italia tutto sarebbe stato più semplice. Anche raccontare la verità. Dopo anni di compromessi ora si stava profilando una svolta epocale nella sua vita. La verità da lì a breve avrebbe smesso di essere qualcosa da temere o da nascondere. Rabbrividì pensando a quante volte in passato avrebbe potuto incontrare Caterina ad Alessandria, in fondo anche lui vi aveva trascorso lunghi periodi quando frequentava la sua amica rivoluzionaria. Non era mai successo o forse, chissà, si erano sfiorati decine di volte tra la folla, nelle piazze del quartiere di Kerbala dove abitava o nei mercati di Ozuk. Se l’avesse incontrata, magari con quel figlio in braccio avrebbe potuto chiederle qualcosa o avrebbe potuto immaginare. E certamente non si sarebbe ritratto. Da dove gli provenisse quella certezza lui che per tutta la vita aveva segretamente dubitato di se stesso, non lo sapeva. Ora avrebbe fatto la sua parte.

Il sentimento doloroso che albergava nel suo petto all’inizio, veniva ora stemperato dalla gratitudine profonda per quell’incontro che il destino gli aveva donato. Essere lì accanto al proprio figlio in quel momento era tutto, cos’altro avrebbe potuto desiderare di più bello? Non sarebbe durato? Poco importava. Per la prima volta nella vita si era sentito veramente felice.

A pochi metri di distanza da loro, nel chiosco dei panini, due uomini conversavano raschiando le croste di patate bruciacchiate rimaste attaccate sulla piastra calda. Una terza figura, un uomo molto anziano dalla pelle del volto scura, simile ad un dattero secco, stava seduto sotto la tettoia e da lì osservava il via vai dei clienti. Ad un certo punto uno dei gestori disse qualcosa guardando in direzione del vecchio. -Papa! Shoft en fil saied men swesra geh yakol el sandawetcat betahetna? Lleasaf mesh howa! Lleasaf mesh howa! (Papà! Hai visto che è venuto un altro svizzero a mangiare i nostri panini? Purtroppo non è lui! - e ripeté più forte - purtroppo non è lui!).

I due uomini risero tra loro. Il vecchio fece solo un impercettibile movimento con gli occhi e si tirò su la coperta sulle spalle. Quando nel 1928 venne “lo svizzero” – così fu chiamato allora – lui aveva 6 anni. Il padre gestiva la prima versione di quel chiosco di panini nell’oasi di Moghara. Lo svizzero venne e mangiò un enorme panino con patate e cipolle e poiché era stato derubato da certi beduini e non aveva di che pagare fece il gesto di offrire uno dei suoi dipinti in cambio del pranzo. Il padre accettò senza esitare. Da quel giorno tutti lo presero in giro per la sua generosità, sfidandolo a credere che un giorno quel cliente sarebbe tornato. Il dipinto, un piccolo acquarello con l’immagine di una piramide viola e delle palme color turchese, firmato Paul Klee K668, è ancora là, appeso nella parete interna della cucina con quattro piccoli chiodi arrugginiti.