Il Canterino era un giovane bellissimo, dai capelli neri ricciuti, gli occhi grandi sempre illuminati di sorriso. Ma non aveva voglia di far nulla, né di pescare né di zappar la terra. Si chiamava così - il Canterino - perché cantava sempre, a squarciagola quando c’era il sole, oppure a voce più sommessa verso il tramonto o quando pioveva. Per tirare avanti, aiutava in bottega un po’ questo e un po’ quello - ma mai più di un paio d’ore al giorno. Qualche volta aiutava i pescatori a tirar su le reti - ma li aiutava soprattutto a cantare le canzoni napoletane, di cui era maestro. Più spesso, lo si vedeva correre per la spiaggia rincorso da cani giocoloni e vagabondi come lui; o lo si intravedeva negli orti dei paesani a rubar uva e fichi. Ma nessuno riusciva veramente ad arrabbiarsi con lui, e nessuno riusciva a farlo arrabbiare. Anzi, dovunque compariva, la gente cominciava a sorridere e si sentiva più felice.

Le comari più vecchie, però, quelle che conoscono bene la vita in tutti i suoi ripieghi anche amari, non ridevano: e dicevano che c’era qualcosa di tragico in lui, in quella sua bellezza quasi angelica, in quegli occhi così splendenti - dicevano che uno così non era fatto per questo mondo. Ma non venivano prese sul serio, queste vecchiacce, meno che mai dal Canterino, che si faceva gioco di loro sbeffeggiandole o cantando loro canzonacce oscene.

Il Canterino scherzava con tutte le ragazze, come potete ben immaginarvi, ma loro non si lasciavano avvicinare troppo perché lui non aveva certo la reputazione di essere un partito serio. E poi era chiaro che a lui l’idea di accasarsi non gli passava nemmeno per l’anticamera del cervello…

Fino a che non trovò la ragazza giusta - quella che gli disse, guardandolo fisso e quasi piangendo di commozione: “Tu sei buono di cuore, e mi piacciono i tuoi occhi. Ti voglio bene”.

Scoppiò un grande amore. E lui andò a chiederla in sposa. Ovviamente, ci fu un netto rifiuto da parte dei genitori di lei.

“Come, quel vagabondo, buono solo a cantare e correre dietro ai cani? Ma che idee sono queste? Guai a te se ti vediamo insieme a quel Canterino! Botte da orbi, ti diamo! E se lui osa ripresentarsi qui a casa, così squinternato e con nemmeno una camicia pulita addosso, vedrai che botte che prende! Altro che canzoni!”.

Così, cominciarono a vedersi di nascosto. Lui si trovò una barca con la scusa di andare a pescare, e ci mise anche un lume a petrolio a poppa, diceva lui per adescare i pesci, ma in realtà la barca gli serviva per andare a vederla, di sera, sulla spiaggia. Si trovavano proprio lì, nella spiaggia che ora si chiama la spiaggia dell’Innamorata. Gli altri pescatori vedevano un lume acceso su una barca immobile, e dicevano: “È l’innamorata!”. Dopo un po’ di quella vita di sotterfugi, i due decisero di scappare insieme dall’Isola e andare in continente. A metà strada lei però si pentì, e ritornò a casa. Tra le lacrime disse ai suoi: “La prossima volta non mi pentirò, non ritornerò mai più a casa!”. Al che i genitori, spaventati, accondiscesero al matrimonio.

Ci fu festa in paese, tutti erano contenti di vedere che il sogno del Canterino si era realizzato. E lui sembrò mettere testa a partito. Cominciò a pescare sul serio, e mise su un orto, che in breve tempo risultò l’orto più fertile e più bello di Capoliveri. Cantava addirittura con più passione di prima. A notte, lui la portava in barca, in quel guscio di noce che era riuscito a comprarsi nei tempi dell’amore segreto. In barca lui e lei accendevano quello stesso lume a petrolio e si lasciavano cullare dalle onde, mentre lui cantava. I pescatori vedevano la luce dondolare sulle onde e scuotevano il capo ridendo: “È l’innamorata!”.

La moglie poi rimase incinta e dette alla luce due gemelli. Ci fu di nuovo festa in paese. Il Canterino era molto emozionato, piangeva dalla gioia, piangeva e cantava. Erano due gemelli bellissimi, neri e ricciuti come lui - due angeli.

Solo quelle comari nere e grinzose scuotevano la testa, dicevano che quella bellezza non era di questo mondo, e che la felicità del Canterino aveva i giorni contati. Il Canterino la sera metteva a letto i gemelli con canzoni soffici e allegre. Spesso la gente del paese si radunava sotto la sua finestra per sentirlo cantare così, a voce sommessa.

Quando i bambini furono appena un po’ più grandicelli, il Canterino cominciò a portarli in barca, a sera, insieme alla moglie - con quel solito lume a petrolio. L’intera famiglia si lasciava cullare dalle onde, e soprattutto quando c’era luna piena, il Canterino cantava a pieni polmoni canzoni del mare.

Si misero in mare anche quella sera che c’era un po’ di maestrale. Quel guscio di noce, spinto dal vento, si trovò rapidamente al largo. Troppo tardi il Canterino si accorse che si levava libeccio. Remò disperatamente verso riva, ma in breve tempo il mare era grosso come i monti.

Erano a pochi metri da riva quando un’ondata più grossa delle altre strappò i due gemelli dalle braccia della mamma. Sparirono tra i flutti. Immediatamente, da quello stesso punto dove erano scomparsi, comparvero due rocce, i due Gemini, che sono ancora lì. Poi le grosse ondate travolsero la barca del Canterino. Il corpo di lei fu poi ritrovato, e i genitori la seppellirono nel fianco della collina, da dove si potevano vedere i due Gemini. Il corpo del Canterino invece non fu mai ritrovato. Immagino che anche lui sia stato trasformato in una roccia, forse un’isoletta verde di pini e rossa di ferro, come tante all’Elba: ma con alberi alti, così che quando il vento soffia si senta un allegro frusciare di rami: forse la voce del Canterino che canta le canzoni del mare.