Uno dei periodi più belli della mia infanzia fu quello che trascorsi a casa dei medici Lorenzo Acerbi (18 maggio 1895 – 19 ottobre 1966) e del nipote Pierlorenzo Piccinini (27 agosto 1926 – 25 giugno 1986). A quel tempo vivevo proprio in un appartamento (di loro proprietà) a fianco della casa dei due medici e, data l’amicizia che legava i miei a loro (anzi il dottor Acerbi fu anche fraterno amico di mio nonno Carlo), frequentai quella casa con una certa assiduità. In casa Piccinini vivevano allora anche Rosetta (sorella del dott. Acerbi) e la insostituibile domestica Maria: che per me furono due importanti punti di riferimento affettivi. Mille gli episodi, vissuti in quella nobile e umanissima casa, che potrei raccontare (i quali andrebbero tutti a confermare l’affetto sincero nei miei confronti e la loro squisita eleganza e disponibilità).

I due medici furono, pur ognuno con un proprio stile, due grandi maestri di professionalità e di umanità. Ricordo ancora, durante le mie non rare forme influenzali nell’adolescenza, la visita a domicilio del dott. Piccinini, il quale, dopo la telefonata di mia mamma, arrivava con una certa tempestività a casa nostra. Si presentava in modo semplice e con una buona dose di ottimismo e, prima di giungere al mio letto, mi rivolgeva il consueto saluto appena varcata la porta di casa: “dov’è il nostro?” Io, pur ancora febbricitante, appena udivo quel cordiale e rassicurante saluto mi sentivo subito meglio, prima ancora di iniziare le terapie necessarie. Quando poi entrava nella mia stanza, con un bel sorriso, mi interpellava per sapere i miei disturbi e, infine, mi visitava. Piccinini ben sapeva che, prima di curare un malanno, bisognava curare il malato: dandogli coraggio, serenità e vicinanza umana. Anche il dott. Acerbi – che io conobbi già nel suo periodo di pensionamento – fu un eccellente medico, che, tra l’altro, avrebbe potuto anche intraprendere a Milano una brillante carriera come ginecologo. Sicuramente la scienza medica ha fatto notevolissimi progressi, ma delle figure di “medici di famiglia” come queste rimangono esempi insuperabili: di completa disponibilità, grande fiuto diagnostico e rapida capacità di risolvere svariati problemi di salute.

A suggellare il rapporto di amicizia (e di stima) ci fu la mia Cresima il 23 maggio del 1965; ebbi infatti l’onore non soltanto – come tutti i miei coetanei – del Cardinale Cesare Zerba come ministro, ma anche di un padrino d’eccezione: il dott. Piccinini.

Tornando al dott. Acerbi, mai dimenticherò – nel comodo, caldo e più riservato salottino di casa – il rito che quasi ogni sera mi vedeva co-protagonista. Davanti alla televisione, verso le 19 - più o meno l’ora del grande maestro Manzi con “Non è mai troppo tardi”; anche se io ricordo meglio, con viva emozione, il bellissimo Intervallo che veniva trasmesso in quegli anni: con le immagini di suggestivi scorci della nostra Italia, e quella soave e rilassante musica di Pietro Domenico Paradisi (quasi una colonna sonora di quel periodo!) – l’attivissima Maria ci portava una sorta di aperitivo, con qualche fetta di salame e pezzetti di formaggio grana, in attesa della cena. Io penso che quei momenti di straordinaria sciccheria e affetto siano stati per me molto importanti: per farmi apprezzare il senso della generosa ospitalità; della salutare pausa e della dolce attesa (proprio nell’ora che, come dice Dante, “volge il disio ai navicanti e ‘ntenerisce il core”).

Il dott. Acerbi faceva di tutto per valorizzare la solennità del rito, e per farmi sentire perfettamente a mio agio nelle abitudini di famiglia. Io serenamente fiero di essere nella poltronissima di casa, con il patriarca seduto accanto a me (in raffinata giacca da camera), ad accogliere allegramente ma compostamente colei che ci serviva (con le attenzioni di una mamma) l’atteso e gradito spuntino.