"Rotto! Rotto!! Rotto!!! Rottoooo!!!!".
"Cos'è successo?" - chiese concitata Mardou.
"Si è rotto, Cristo!".
"Oh nooo... e adesso?".
"E adesso siamo fregati, ecco. Porco Giuda! Proprio ora che pensavo ce l'avrei fatta".
"Quanto tempo abbiamo?" - chiese Mardou con le lacrime che le rigavano il viso polveroso.
"Dieci minuti, non di più...".
"Oh Cristo! ma allora siamo fregati davvero".
"Cosa credevi, che lo dicessi tanto per scherzare?".
"No ma...". "Ma cosa? Questa è la volta buona!".
"Se tu avessi...".
"Se tu avessi, se tu avessi! perché non l'hai fatto tu questo lavoro di merda se sei tanto brava?".
"Ma io dovevo...".
"Tu dovevi un corno! sei stata lì a razzolare nella polvere per due ore invece di darmi i tuoi consigli geniali!".

Mardou scoppiò a singhiozzare: "Lo sai che io non posso farne a meno, l'hai sempre saputo, sempre! Se non ti piacevo perché mi hai scelta? Io devo farlo, devo farlo! Se non razzolo sto male, mi sento morire".

I singhiozzi di Mardou calarono d'intensità, divennero sommessi, le spalle le sussultavano e Jap le poteva vedere la testa coi capelli tagliati a cresta, secchi e polverosi, che vibravano nella luce grigia del tunnel, sentì impellente il bisogno di averla.

"Togliti le piume" - le disse piano.
Con la voce ancora rotta lei chiese: "Come? ora?".
"Perché no? Sarà l'ultima volta".
Lei rimase silenziosa.
"Ti lascerò razzolare con la faccia nella polvere mentre lo facciamo - continuò lui - come quella volta giù all'Hator".

Mardou girò il volto col naso adunco e un po’ scorticato verso di lui e abbozzò un sorriso, poi gli si avvicinò muovendosi a balzelli sulle ginocchia e lo abbracciò mordicchiandogli il collo ed emettendo dei deboli suoni da ruspante.

Jap la amava da impazzire ma vedendo che il cavetto di platino del timer gli era rimasto in mano ed i numeri digitali sul display si erano rimessi in movimento aveva perduto la testa e l'aveva trattata male. Ora si sentiva pentito e la strinse a sé con forza.

"Mi stritoli così”, cocoritò lei dandogli un colpetto di lingua sull'orecchio.
"Ti amo”, le sussurrò lui.
"Dai", disse lei abbassandosi con la faccia a terra e togliendosi la fascia di piume che le avvolgeva i fianchi; si scoprì il sedere, non più tondo come una volta quando era studentessa a Utrecht.

Jap non sapeva come fosse il suo sedere quando era studentessa a Utrecht ma gli piacevano i glutei ormai scarni e un po’ grinzosi che lei ora gli porgeva.

La penetrò con un sospiro e mentre lei razzolava con la faccia nella polvere borbottando come una gallina le insinuò le mani ruvide sotto il mantello di piume che teneva sulla schiena e giunse fino alle spalle ossute di lei, vi si aggrappò e continuò a penetrarla con lentezza, infilando anche il capo sotto il mantello di piume ed annusando la sua pelle un po’ ammuffita ed arida; provava un piacere immenso.

Jap aveva incontrato Mardou quattro giorni dopo le "ore delle esplosioni", camminava ginocchioni nella polvere di un vicolo di Hengelo e quando lo vide cercò di scappare infilandosi starnazzando in una vetrina divelta; lui la seguì e da quel giorno rimasero sempre insieme, si sentivano fatti l'uno per l'altra.

Soprattutto l'avevano colpito gli occhi di lei, carichi di un'umanità un po’ selvaggia e spontanea, sempre pronti al terrore e alle lacrime con quelle iridi chiare come il ghiaccio di uno stagno.

In qualche modo poi Jap era venuto a sapere che una risorta compagnia, la "Reconstruction", pagava, in denaro ed in natura, somme altissime a chi avesse disinnescato e segnalato l'ubicazione di ordigni nucleari inesplosi. Jap era divenuto un mago in questa sua nuova attività e lui e Mardou non vedevano l'ora di potersi ritirare a vivere felicemente la loro vita di solitudine e di sogno.

"Pochi lavoretti ancora e poi possiamo dare un braccio a tutto e tutti e andarcene dove vogliamo" - aveva detto alcune settimane prima Jap guardandola negli occhi e tenendole le mani strette nelle sue. "Sono sicuro che nella zona Sud di Rotterdam troveremo quello che fa per noi, sono stati visti solo due "funghi" là, troppo pochi per il posto, ti pare?".

Lei aveva sorriso annuendo ma gli occhi avevano tradito quel terrore che di tanto in tanto emergeva come un pesce gatto da uno squarcio nel ghiaccio.

Mardou razzolava con la faccia nella polvere, col naso nuovamente sanguinante per le vecchie e nuove scorticature, ed ogni tanto inarcava il collo e scuotendo la testa con la cresta di capelli vibranti lanciava un "coccodè" più acuto degli altri.

Jap continuava a penetrarla gemendo e sospirando e con le mani sotto il suo petto ora le reggeva le tette sgonfie e un po’ grinzose che una volta, ma lui non poteva sapere quanto, avevano fatto impazzire di desiderio tutto il corso maschile della facoltà di lettere moderne di Utrecht.

Lanciò un'occhiata al display del timer del "Pershing" che giaceva come un cetaceo agonizzante di fianco a loro: 1.07, "ancora un minuto - pensò con sgomento - devo farla venire” - si disse e spinse il suo pene dentro di lei con maggior forza e frequenza e con le mani corse come un ragno sulla sua pelle dalle tette all'inguine e viceversa lasciando una ragnatela invisibile sotto il mantello di piume che ondeggiava senza posa.

"Vieni amore, vieni!" - ansimò.
"Chiamami gallina!" - gorgogliò lei.
"Gallina! sei la mia gallina!" - disse lui ispirato e sentì che il momento era arrivato, vennero insieme, lei, lui e il "Pershing" che con un leggero sibilo ed un "cloc" secco disperse gli atomi di Jap e Mardou nell'atmosfera.