Piove da diversi giorni le strade sono fradice, i terreni allagati, l’umidità dell’aria alle stelle. Parto comunque per Roma, dopo la sveglia alle 6:00 del mattino e 4 ore di lavoro. Salgo al volo su un regionale veloce, si fa per dire, delle 12:12 per Firenze, un’ora e mezza per 100 km, una assurdità se si considera una tratta su rotaia, senza il traffico della Firenze-Pisa-Livorno, autovelox e semafori.

Ma non pago della sua lentezza, ritarda di 10 minuti, tanto che, consapevole del Freccia Rossa in partenza per Roma delle 13:48, appena tocco terra inizio a correre con borsa, borsone ed ombrello che non coerenti col mio moto, seguono a balzelli in una asincronia con me, tale da farmi venire uno strappo al fianco destro.

Travolgo qualche signora col trolley a 2 metri di distanza dal corpo, come i cagnolini portati a passeggio col guinzaglio chilometrico, scarto bimbi, preziose creature da salvaguardare ed un giovane con un cucciolo di pastore tedesco che ha deciso di defecare, il cane, in mezzo alla banchina.

Resto in po’ stupita nel vedere un fronte di centinaia di persone ferme sotto il tabellone delle partenze mentre io, unica concitata, a cercare di capire se il treno sul binario 12 era il mio, in partenza o quello prima. Mi do un contegno, faccio finta di sapere già che il Freccia per Termini è in ritardo e che quello che occupa il binario 12 è un altro, mi allineo col fronte umano, col fiatone ed il cappotto che ha lottato con i lacci delle borse, l’ombrello dov’è? Non lo so, non importa.

Anche il treno, dov’è? Nel tabellone non appare, mentre appaiono sfilze di minuti di ritardo a quasi tutte le partenze e l’altoparlante in continuo dà notizia di treni le cui attese paiono bibliche, 90, 120, 170 e via così di minuti di ritardo, ogni 30 secondi questo aumenta, qualcosa non torna, non c’è simmetria, forse lo sanno già il tempo stimato di attesa ma lo snocciolano un po’ per volta per farlo digerire a noi poveri ignari.

Sento ad un certo punto l’annuncio del mio treno, 9415 per Roma Termini al binario 9, strano, sul tabellone non c’è scritto e nell’App ancora si indica il 12, comunque vado al 9 ed in effetti un Freccia Rossa c’è, va anche quello a Roma, ha un ritardo pazzesco, è il 9411, ma è in partenza, quindi salgo.

La capotreno gentilissima mi dice che posso comunque salire e che troverò posto nella carrozza 8 chiamata “silence area” ossia tutti zitti, suonerie spente e nessun rumore, bene starò più tranquilla, mi perito perfino a mangiare i biscotti, perché sgranocchio, mi do un contegno.

Bene, la meta è vicina, il problema è risolto, invece la suadente e mai nervosa voce dell’addetta al treno, con tutta calma, come se stesse per accoglierci in questo viaggio zen, dall’altoparlante ci rincuora per il ritardo e ci annuncia un giro turistico gratis, si va ad Arezzo, per poi scendere a Roma, attraversando una miriade di luoghi che quando leggi le riviste di viaggi in Italia, dici sempre che un giorno ci andrai perché sono veramente affascinanti e caratteristici, ma non quando hai addosso 11 ore e volevi solo andare a Roma col treno più veloce possibile.

Mettiamoci comunque in modalità positiva e cerchiamo nel disagio un senso a tutto questo.

Il paesaggio prima toscano e poi laziale dell’entro, ma veramente entro, terra è spettacolare, fotografie che il finestrino del treno scatta una dopo l’altra con frequenza di centesimi di secondo, campi verde smeraldo graffiati da artigliate di terra marrone scura, e poi colline pelate con un albero sulla sommità, boschi che alternano il pieno al vuoto di pianure dove il cielo si attacca alla terra con un contrasto che fa quasi male agli occhi. Poi piccoli borghi arroccati, vecchi insediamenti industriali del secolo scorso abbandonati ma dignitosi al contempo. La vista apprezza ed il cervello elabora una realtà diversa.

Non importa più il disagio della fame, della sete, della voglia di arrivare a casa ma sei catapultata in un’altra dimensione, ti senti la viaggiatrice dei primi del Novecento, su un lussuoso treno che percorre miglia e miglia attraverso paesaggi che sono essi stessi oggetto del viaggio. Una sorta di passeggera dell’Orient Express, o del treno della Transiberiana, un viaggio in treno, per stare sul treno e vivere il treno, che tu scegli non per arrivare ad un luogo come fine del viaggio ma per il viaggio stesso, osservatrice privilegiata di paesaggi stupendi laddove il percorso è esso stesso arricchimento del tuo tempo.

Adesso è buio, sono le 17:15 e stiamo entrando a Termini, mi sembra di aver fatto le 20.000 leghe sopra i mari ma in fondo era solo la tratta Livorno-Roma, il viaggio in fondo è dentro di noi.