Di mio padre Dario ho fortunatamente moltissimi ricordi. Persona mite, di ottimo carattere e sincera cordialità, fu un onestissimo bancario – purtroppo non sempre adeguatamente valorizzato – che tra le mille difficoltà e insidie della vita non perse mai la forte speranza del suo tenue sorriso. Nacque a Voghera il 29 aprile del 1925 e morì improvvisamente, nel giardino della nostra casa di Castelnuovo Scrivia, il 14 novembre 1991. Della sua attività lavorativa voglio ricordare due episodi (soltanto in apparenza marginali). Quando fu cassiere (e poi tesoriere) della sua filiale a Voghera, i clienti preferivano affrontare una maggior fila di gente davanti al suo sportello piuttosto che dirigersi verso altre casse più libere: la sua disponibilità e attenzione al cliente veniva premiata da questa predilezione delle persone che si rivolgevano a lui. La sua correttezza nei confronti degli altri (a casa nostra il giardiniere veniva trattato con lo stesso riguardo di un parente o del primo Presidente della Corte di Cassazione Mario Berri, quando veniva a trovarci) venne premiata quando andò in pensione: ricevette alcuni preziosi regali non soltanto dai colleghi, ma addirittura da alcune donne dell’impresa di pulizia della banca (le quali entravano in servizio quando i dipendenti uscivano dal lavoro, dunque con pochissime occasioni di incontro).

Privilegiai sempre – per i momenti forti (come l’esame della mia prima laurea) – la silenziosa e confortante presenza di mio papà: che, senza molte parole, riusciva ad infondermi coraggio con la sua spontanea e pacata serenità.

Il suo volto bonario e rassicurante (purtroppo più per gli altri che per se stesso), la sua figura elegante e slanciata, la sua tempra forte e la sua saggezza contadina lasciavano anche trasparire la sua predilezione per la vita all’aria aperta. Dei moltissimi episodi che potrei raccontare, mi soffermerò soltanto sulle poche scampagnate che feci con lui, grande appassionato di pesca, nel nostro bel paesaggio fluviale, tra il Po e lo Scrivia, suo affluente. La cosa sorprendente è la notevole sproporzione tra l’oggettiva esiguità, da una parte, di quelle rare gite fluviali della mia adolescenza, e la loro potente carica evocativa, dall’altra, che ancora oggi – dopo tantissimo tempo – riverberano dentro di me, come chiare immagini riflesse sullo specchio d’acqua, ricordi e nitide suggestioni legate a quella più giovanile passione di mio padre per la pesca. Inoltre, pur non amando questo sport, che rispetto ma non pratico (curioso il fatto che ancora oggi – pur non avendo quasi mai preso una canna da pesca in mano – sia iscritto all’associazione di pescatori del grande lago artificiale “Maddalena” del mio paese; meta ogni tanto di qualche gita domenicale all’aria aperta), se penso a quei momenti prevale in me un genuino senso di libertà, di gioia e di incoraggiante “complicità”: e questa preziosa condivisione di quel paterno interesse, mi ha forse rivelato – negli anni – qualche importante aspetto della sua umanità e del suo amore per me.

Ricordo con piacere le “avventurose” attraversate in barca, alla ricerca di qualche particolare e favorevole luogo di pesca. A guidare le spedizioni fu diverse volte il vecchio amico di mio papà Emilio, espertissimo conoscitore del fiume. Il tipico “barcè” – adatto, per la sua forma allungata e stretta, a solcare i fiumi – scivolava leggero a filo d’acqua, rivelando via via incantevoli scorci e limpidissimi giochi di luce. Tuttavia, la navigazione richiedeva, da parte di tutti, molta cautela nei movimenti, nonché un certo silenzio per non spaventare i pesci. E qui, la mia moderata vivacità adolescenziale, si scontrava talvolta con queste superiori esigenze: ma non fu mai mio padre a richiamarmi all’ordine, ma la sorniona e ferma autorità di Emilio! (E questa sublime pazienza di mio padre si manifestò, nel tempo, sia nella navigazione in barca e sia soprattutto nelle relazioni personali in banca e in famiglia). Due erano poi gli sfoghi naturali di questa forzata “compressione”: la degustazione della buona e classica merenda preparata dalla mamma (anche se mio padre fu un ottimo cuoco, da cui ho ereditato la passione per la cucina); e la sosta verso sera, su qualche lembo ghiaioso, per lanciare piccoli sassi.

Al ritorno da quei momenti di svago, il più delle volte portammo a casa con soddisfazione il nostro bottino di pesci, che poi venivano cucinati dalla mamma con la supervisione del papà, per preparare dei gustosi carpioni con molta salvia e aceto.

Le più belle parole che voglio dedicare a mio padre sono quelle scritte dallo scrittore castelnovese Pier Angelo Soldini per il suo:

Più vado avanti con gli anni e più assomiglio a mio padre: al mio mite, caro, buon padre, così inadatto a vivere e così felice di sentirsi al mondo.

(Pier Angelo Soldini, La forma della foglia)