Già si lasciano intuire i sentori della Primavera. La Terra si ridesta con un sospiro mentre sbocciano fragranze sui rami degli alberi.

C’è come un irresistibile desiderio di risveglio, un bisogno di farsi strada, come per rassicurarsi che tutto si compirà come sempre si è compiuto, che ogni cosa sarà là dove deve essere: l’aria, il Sole, la rugiada, i colori dei fiori, il chiarore della Luna, il cielo stellato.

Madre Natura ha tempi lungimiranti ma il suo animo gentile comprende l’attesa, talora impaziente, che sottende alla gioia e alla paura di tornare a nascere e così lascia spuntare in anticipo viole e margherite e rafforza il verde dell’erba.

Le parole sembrano avere la stessa urgenza perché hanno sofferto di tanta oscurità, private del sorriso, rese diafane dalla paura che emana da cuori di marmo.

Proprio come i semi custoditi nel grembo caldo della Terra durante la stagione invernale, cercano lo spazio per emergere dall’oscurità e ritrovare il respiro di nuova vita.

Capisco quando vogliono riassaporare il gusto del dire, scrollarsi di dosso la densità dell’impasto melmoso che incrosta il bisogno di leggerezza, e allora le lascio danzare, vibrare, toccarsi, muoversi, insinuarsi tra le pieghe del silenzio e ritrovare suoni e voci nell’attimo perenne in cui il terreno, generoso, si apre per donare esistenze.

Ascoltare il loro fluire, abbandonarsi alla loro liquida sonorità è come percepire il soffio che attraversa il nostro corpo e ne rigenera le fibre, è curare la nostra energia indebolita dal gelo della mancanza, dal vuoto del sentire.

Mi emozionano le parole che sanno lasciarsi andare al ritmo, senza accettare alcuna regola o diniego e le osservo con ammirato rispetto poiché inseguono e insegnano libertà.

Le parole attingono a fonti inarrivabili se non con la forza creatrice dell’immaginazione che travalica spazio e tempo. Solo attingendo a quella fonte è possibile lasciarsi scorrere addosso le parole come sacre sillabe.

Filamenti di universi
che disilludono le certezze della forma
per farsi filo di tessitura per altre vite,
per altri mondi.
Esili figure che emergono da profondità
senza più nome, fluttuanti nell’etereo
spazio che non è aria né liquidità,
che non delinea orizzonti se non
nell’indefinita vastità dell’impronta
creatrice, che è soffio, linfa ispiratrice
di inconosciuta purezza.

Anime che respirano il respiro di
nuove sorgenti alle quali attingere
per incontrare altre esistenze, altre
visioni dell’essere e del comprendere.

Non c’è peso di parola né di corpo,
un tutto o un nulla che converge
in una cosmica espansione di energia
che rende sacra la materia, ogni materia:
pietra di luce che si scontorna e si dipana
in una spirale di infinito.

Velature che presagiscono il colore dell’ineffabile.

Ora le immagini evocate si rapprendono a formare materia solida, preziosa per aiutare a ricordare; assumono tratti sempre più riconoscibili: è una sensazione di interezza, di riscoperta, il desiderio di non perdere un sapere antico.

Le parole mi sono amiche, mi conducono, si fanno racconto e memoria.

Camminiamo tra l’erba alta che tocca la nostra pelle come una mano carezzevole.

Come bianche sacerdotesse avanziamo verso il fiume che abbiamo iniziato a percepire in lontananza.
È forte l’emozione che si specchia nel vissuto.
Rivedo il corteo delle donne che danzano fra le lucenti braccia della Luna, avvolte dai suoi raggi argentei.

È un filo lieve e delicato quello che inizia a dipanarsi tra loro: come danzatrici entrano nella musica a creare una sottile, evanescente rete luminosa nella quale iniziano a muoversi, ciascuna con il respiro del proprio corpo, in una sorta di invisibile disegno.

Si riesce a udire quel respiro che passa dall’una all’altra e si fa ritmo condiviso, unicità nel tutto, suono nella sinfonia così che possa crearsi una sola brezza che, a tratti, si fa vento e avvolge i corpi che si lasciano condurre a scrivere una partitura nella quale ciascuna porterà la sua nota, la sua pausa, il suo tempo così da creare accordo e melodia.

È una danza esile e gentile, quasi uno sfiorare la terra, l’acqua, il cielo. Non ci sono dimensioni, non ci sono ostacoli, tutti i sensi sono coinvolti e dopo lungo tempo sento un canto che viene dall’interno, che viene dal cuore.

Non fatica, non sforzo, non paura, ma fiducia, purezza di sentire, come un’onda che solleva e depone.

Per mano, a occhi chiusi le parole mi coinvolgono nella danza. Danzare nel buio è tornare al luogo della vita, là dove andare a cercare l’origine, dove prepararsi a nascere.

Non penso al pensiero, non penso al dopo, danzo e danzo e sento il danzare di tutte le altre che è condividere con amorevole gentilezza.

Sale in alto l’invocazione alla Grande Madre:

Dea mirabile che vai sposa al bosco di betulle
Dea che diradi il buio con il tuo amore
Dea che dissolvi il dolore
Dea che rinasci i fiori da morte foglie
Dea che pervadi l’anima di mirabili emozioni
Dea che odi il battito della mia mano
Dea rossa come tulipano
Dea che danzi nell’anello di fuoco
Dea che conosci la leggerezza e il gioco
Dea trionfante sulla disperazione
Dea antica di guarigione
Madre amabile dal tocco lieve
Dea che sciogli il desiderio come il sole la neve

Mi pervade un senso di morbida pienezza, una commozione che è anche evocativa di persone e luoghi che mi sono cari.
È una visione di sublime bellezza.
Chi danza per la prima volta sente il timore sciogliersi in delicate volute.
Tornano gesti antichi: le mani si incontrano, si intrecciano, pregano.
C’è bisogno di contatto con la Terra, con altri corpi, in una danza che si fa condivisione e abbandono, libere di essere vere, di affidare alle altre la nostra anima, di svelare la nostra fragilità e la nostra gioia.
Le lacrime sono liberatorie.

Mi lascio coinvolgere in una rinnovata comprensione, in una limpida attitudine di sentimento che scalda e rigenera.

È un grande cerchio pulsante verso un centro dove tutto è intensità, dove un cuore generoso accoglie tutte in un immenso abbraccio.
C’è forza e c’ è quiete, c’è ascolto, c’è protezione, c’è vicinanza a chi sta cercando dolorosamente di sanare le proprie cicatrici.

Come un rito di purificazione e di rinascita con il quale ci si libera di vecchi pesi.

Dalle antiche grotte nelle quali siamo state a lungo nascoste si esce alla luce ed è una bellezza fisica, potente quella che inonda lo spazio, un respiro liberato da ancestrali paure, rinnovato e reso forte da una nuova consapevolezza, da un nuovo coraggio, il coraggio di essere divenute ciò che siamo, di avere risposto alla nostra anima, di aver cercato di essere donne intere.

Lì, in questa danza di vita, c’è un’altra me stessa che ho lasciato e saluto con amore.
Il tempo è trascorso veloce e abbiamo sognato il sogno della giovinezza.
Ora voglio accogliere con benevolenza ed emozione questa donna che mi somiglia ma che non riesco ancora a riconoscere.
Sono curiosa di incontrarla, di danzare con lei, di visitare altri mondi insieme a lei, universi da alimentare con altra linfa.

Che la danza continui, che le donne continuino a danzare.

A cura di Save the Words®