È una storia intricata ma avvincente quella che ha riportato alla ribalta il nome di Artemidoro, geografo e viaggiatore nativo di Efeso vissuto nel II secolo a. C.: un nome sconosciuto ai più, un’opera perduta nella sua versione originale e integrale sebbene di grande importanza per la letteratura geografica antica. Una vicenda che potrebbe appartenere ad una di quelle trame ben congegnate di un giallo in perfetto stile Hitchcock. Uno di quei thriller senza spargimenti di sangue, tutto giocato sulle astuzie della mente e su una buona dose di estro del detective, sulla capacità di ricostruire pezzi, creare inaspettati collegamenti. Infine, mettere insieme le prove per contemplare con piena soddisfazione il risultato.

La notizia dell’esistenza di un papiro riconducibile alla Geografia di Artemidoro acquisì visibilità grazie alla notizia dell’acquisto, nel 2004, da parte della Fondazione per l’Arte della Compagnia di San Paolo di Torino per l’esuberante cifra di 2.750.000 euro. Somma degnissima, in realtà, se devoluta all’acquisizione di un tale importante tassello mancante della storia della letteratura classica, ma straordinaria alla luce del fatto che la valutazione del reperto era lievitata fino a quintuplicare nel giro di una decina d’anni. La prospettiva tuttavia cambia se si insinua il sospetto che l’oggetto possa essere l’abile confezione di un falsario.

Il percorso di ricostruzione delle prove della falsità del manufatto, puntualmente esaminato dallo storico Luciano Canfora, è godibilissimo, nell’arguzia delle argomentazioni, anche per un pubblico non esperto che voglia curiosare nel metodo d’indagine del filologo. Ne seguiamo lo sviluppo, cominciando col descrivere l’oggetto del contendere.

Un papiro si osserva prendendone in considerazione il fronte e il retro, in termini tecnici recto e verso. Il nostro presenta sul recto cinque colonne di scrittura, corredate da una serie di disegni apparentemente senza collegamento: per lo più parti anatomiche (teste barbate, mani e piedi umani), e poi l’abbozzo di un paesaggio o di una mappa. Sul verso emergono una quarantina di figure di animali, reali e immaginari. a disomogeneità evidente diquesti contenuti, soprattutto di quelli figurativi, ha creato non poche perplessità in chi si è inizialmente cimentato in una prova di decifrazione. Se il primo intervento del filologo è quello di ricostruire la vita di un manoscritto, per il papiro di Artemidoro di vite ne sono state immaginate ben tre. Tre fasi distinte, appartenenti a momenti storici indipendenti, legate prima all’interesse, poi all’abbandono, in seguito nuovamente al riutilizzo del papiro.

La prima vita si collocherebbe a cavallo tra iI I sec. a.C. e il I d.C., e risalirebbe alla preparazione di un’edizione della Geografia di Artemidoro. In seguito alla stesura del testo sarebbe intervenuto un illustratore, incaricato di inserire elementi paesaggistici, oppure una mappa geografica a corredo del contenuto della parte scritta. A questo punto si sarebbe però frapposto un evento (forse un errore o un cambio del piano editoriale) che avrebbe deciso per l’interruzione del lavoro e per l’abbandono materiale del papiro. Ritrovato dopo un tempo imprecisato, forse qualche decennio dopo, questo sarebbe stato nuovamente utilizzato da un diverso artista, in virtù del fatto che il verso risultava ancora bianco, e a quei tempi non approfittare di una tale disponibilità di materiale sarebbe risultato un vero spreco! L’intervento di una nuova mano spiegherebbe la decisa svolta verso una tematica del tutto slegata dall’immaginario del recto, ovvero il susseguirsi disordinato di schizzi di animali. Ma anche questa seconda vita sarebbe stata destinata a spegnersi, lasciando spazio ad una nuova fase di abbandono, durata ancora una volta qualche decennio. La terza vita si suppone abbia avuto origine dalla necessità di sfruttare ulteriormente gli spazi rimasti inutilizzati di quello che sembra a questo punto essere diventato una sorta di brogliaccio. Ed ecco che di nuovo vengono aggiunti, negli spazi vacanti del recto, schizzi anatomici eseguiti, forse, dall’apprendista di un atelier di disegno: studi di mani, piedi e teste sparsamente collocati.

Assai curiosa sarebbe stata poi la storia del papiro alla fine di questo sfruttamento intensivo. E’ stato detto, infatti, che esso finì smembrato in vari pezzi, mescolato a frammenti riciclati e recuperati da altri documenti e infine utilizzato per preparare cartapesta da collocare all’interno di una maschera funeraria. Così almeno avrebbe testimoniato l’ultimo collezionista detentore del manufatto al momento dell’acquisizione da parte della fondazione bancaria. Ciò comporrebbe, per essere precisi, i contorni di quella che potremmo definire addirittura una quarta vita. La notizia, tuttavia, non ha mai goduto di un vero riscontro, ed è stata in seguito trascurata e infine smentita.

Questa la storia del papiro di Artemidoro, per lo meno quella ufficiale precedente allo scoop che ha incrinato ogni certezza. Luciano Canfora ha progressivamente smontato gli elementi a favore dell’autenticità del manoscritto, svelando la mano oscura di un abile falsario, il greco Costantino Simonidis, teologo, pittore, papirologo, ma soprattutto appassionato artigiano del falso, che operò nella metà dell’Ottocento e fu autore di altri riconosciuti falsi geografici. Certamente un appassionato cultore nell’ambito di questa particolare “professione”, esperto nel contraffare papiri e pergamene, ma non abbastanza accorto da riuscire a realizzare il “delitto perfetto”. Se è vero infatti che l’ombra della cultura e della formazione di un falsario non riesce mai a rimanere del tutto celata, in questo caso la presenza di alcune sviste grossolane ha reso più facile svelare l’inganno.

Le prove si fondano sull’incoerenza di più elementi, ed emergono sia dall’analisi del testo che dalle immagini. Il primo è stato oggetto di un accuratissimo vaglio, che ha messo in luce la presenza di forme lessicali del tutto incoerenti con la datazione del testo, ma ben spiegabili alla luce della formazione del falsificatore. Decidiamo di non addentrarci nei dettagli tecnici, che sono frutto di un arguto lavoro filologico ma risulterebbero un po’ ostici per non addetti ai lavori. Al coacervo di anacronismi linguistici si unisce una serie di errori geografici, insieme alla sensazione che l’incoerenza del testo stesso sia riferibile ad un’ispirazione di natura compilatoria. La vasta cultura del filologo ha saputo riallacciare i diversi pezzi del puzzle a presenze letterarie ben precise: Strabone, Tolomeo, il geografo Marciano (autore del IV. secolo d.C.), Stefano di Bisanzio (VI sec.). Simonidis si trovava più a suo agio con il greco tardo, ma ha trascurato di considerare l’estraneità di quella lingua al secolo di Artemidoro, sperando forse che il particolare sarebbe passato inosservato. Ha inserito per di più nel testo la punteggiatura, non attinente all’uso classico, consegnando nelle mani del detective un ulteriore decisiva prova.

Bricolage, collage: queste le parole usate da Luciano Canfora nei saggi che ci raccontano questa straordinaria avventura filologica. Definizioni ancora più proprie se pensiamo che tra le suggestioni colte da Simonidis compaiono anche testi moderni, opere che appartenevano alla formazione del falsario ma non certo a quella di Artemidoro, quali la Geografia generale comparata di Ritter e l’Artemidoro nell’impero dei Romani di Kuffner, una sorta di versione romanzata della storia romana raccontata attraverso gli spostamenti di Artemidoro lungo il vasto impero.

E che dire poi del misterioso apparato iconografico del papiro? La prima osservazione riguarda lo stato di conservazione del reperto che, pur essendo frammentato, presenta lacune che non mettono mai totalmente a repentaglio la lettura dell’immagine, quasi che questa, per rubare una battuta allo stesso Canfora, fosse stata colpita da “bombe intelligenti”, tali da eliminare non più che modesti e marginali particolari delle illustrazioni. Ma è l’anomalia degli studi anatomici a fugare ogni dubbio sull’inganno della confezione del falso. Quelle mani, quei piedi e le teste, se messi a confronto con studi moderni, hanno rivelato modalità perfettamente rispondenti a quelle illustrate nei manuali di disegno accademico del Settecento, con corrispondenze straordinarie visibili anche ad un occhio profano. Perfino il tipo di gestualità espressa risponde a codici iconografici del tutto estranei a quelli classici, piuttosto riferibili agli stereotipi gestuali della rappresentazione dei santi.

La querelle sulla questione dell’autenticità del papiro di Artemidoro è di fatto ancora in corso. Un singolare destino ha voluto che un autore trascurato dai capricci della storia abbia avuto una seconda, seppur bizzarra, opportunità di ripresentarsi all’attenzione del mondo. Per i curiosi indagatori delle cose del passato un’opportunità insperata di mettere il naso tra questioni che normalmente rimangono ben sigillate tra le pagine delle riviste specializzate. Con buona soddisfazione del Simonidis che, se davvero è l’autore del papiro, potrà godersi nella tomba i frutti tardivi di una gloriosa notorietà.

Chi volesse approfondire la storia del papiro di Artemidoro può leggere i principali contributi dei due protagonisti di questa dotta competizione:

S. Settis, Artemidoro: un papiro dal I secolo al XXI, Einaudi 2008
L. Canfora, Il viaggio di Artemidoro: vita e avventure di un grande esploratore dell’antichità, Rizzoli 2010
L. Canfora, La meravigliosa storia del falso Artemidoro, Sellerio 2011.