Storica città-stato, Melaka (per gli occidentali Malacca) diede il nome allo Stretto e alla penisola rendendo, per prima, celebre la Malesia nel mondo. Situata sulla costa occidentale, tra Singapore e Kuala Lumpur, oggi rappresenta una delle mete più visitate del paese.

Nel corso dei secoli nell’importante cittadella marittima si è formata una comunità eterogenea caratterizzate da una varietà di culture e religioni più significativa che altrove. Questo mosaico culturale salta all’occhio quando si osservano le architetture urbanistiche pubbliche e private e nella cucina in cui si percepiscono sfumature simili e diverse in virtù del susseguirsi di dominazioni asiatiche ed europee, delle fusioni di razze diverse e delle reciproche contaminazioni culturali. Tra queste, emerge la nutrita comunità dei “cinesi dello Stretto” o Peranakan, che attraverso il matrimonio misto sino-malese crearono la ricca società dei Baba-Nonya, seguono la minoranza dei Peranakan indiani, meglio noti col nome di Chitty, e la popolazione creola dei Cristão o Kristang, originata dai primi conquistadores portoghesi unitisi a donne malesi, intrecci che svilupparono anche una propria lingua. La metà dei suoi 650mila abitanti è malese e il 40% cinese, tutti determinati a mantenere fiorente l’economia del piccolo stato, divenuto un esempio trainante per l’intero Paese. Nell’ultimo decennio Melaka e lo Stretto, lungo 1000 km con un transito di 50mila navi l’anno, hanno riacquistato un ruolo geopolitico e commerciale di grande importanza, grazie al sofisticato sistema portuario per il controllo del traffico internazionale di navi, alla locale industria del turismo e alla produzione di componenti d’auto e di computer.

Baba e Nonya

Uno degli esempi più interessanti di matrimonio misto riguarda la comunità dei “cinesi dello Stretto”, noti come Peranakan (“nati qui”), un’eredità etnica e culturale sviluppatasi prima a Malacca, poi a Singapore e Penang. La loro origine risale al XVI secolo, quando i primi mercanti fuggiti dal regime Manciù si stabilirono lungo la costa occidentale della penisola e sposarono donne malesi, rivelatesi abili negli affari sociali quanto i mariti nei commerci. I sino-malesi maschi, discendenti dai primi pionieri, furono chiamati Baba e le loro mogli Nonya. Assieme, nell’arco di tre secoli, divennero la confraternita più ricca e autorevole della Malesia, fondendo il meglio di entrambe le tradizioni. Abitavano sfarzose dimore e adottarono uno stile di vita opulento, che amalgamava il rigore cinese alla vivacità malese.

Dalla metà dell’800 all’inizio del ‘900, le famiglie Peranakan raggiunsero l’apice del loro successo grazie al commercio di spezie, legname, stagno e caucciù. Le ricche Nonya amavano la vita di società, ma eccellevano anche nel ricamo realizzato con perline di vetro colorate e nella cucina. Elaborarono una propria cucina a base di latte di cocco e pasta di gamberi secchi, belacan, che si distingueva per i sapori fortemente speziati. Anche la porcellana Nonya era diversa, riconoscibile dal tema dominante della fenice e della peonia dai colori brillanti. Furono gli stessi Peranakan a inserire zuppiere, zuccheriere, accessori e servizi inglesi sconosciuti alla ceramica tradizionale cinese. Tra la gioielleria, l’argento era preferito all’oro, per le sue occulte proprietà protettive. Il singolare disegno dell’argenteria Baba Nonya, particolarmente incentrato nella sublime lavorazione a cesello di borsette, cinture, fibbie, collane, piatti, cofanetti e vasi, mischiava motivi cinesi e islamici. Ambite dai collezionisti, oggi si pagano grosse somme per l’acquisto di questi preziosi oggetti, mentre la tipica cucina Nonya, misto di sapori cinesi e malesi, è tuttora sinonimo di gastronomia raffinata. L’etichetta richiede di mangiare usando le dita, non posate o chopsticks.

La città e dintorni

Diviso dal torbido Sungai Melaka, il centro della città è ben compatto, facilmente visitabile a piedi o seduti su comodi trishaw (tricicli). Sulla sponda occidentale del fiume risiede la mitica Chinatown, circoscritta da antichi templi, moschee e da stupende shophouse, le raffinate villette a schiera dei peranakan, identiche a quelle di Penang e Singapore. Venti minuti a nord, le pittoresche palafitte di kampung Morten. Sulla sponda opposta, oltre il ponte di Chinatown si entra subito nel cosiddetto historical centre o “distretto coloniale”, con la collina di Bukit St. Paul che sovrasta la Porta de Santiago, vestigia delle possenti mura di A’ Famosa, la moderna versione del Palazzo del Sultano, il mitico Malacca Club d’altri tempi, il cimitero protestante e il nucleo di Town Square, meglio nota come Dutch Square, piazza che ospita l’ex municipio olandese Stadthuys e la chiesa di Christ Church. Molti edifici storici sono facili da identificare, dipinti con la tinta rossa tipica dei mattoni dell’epoca, da sembrare laccati: una scelta opinabile che rischia, invece, di svilire la struttura originaria. Trecento metri a nord della chiesa di San Francesco Saverio (St Francis Xavier), sulla Jl. Bendahara trovate il piccolo quartiere di Little India, col profumo di sandalo e i negozi ricolmi di tessuti dai colori sgargianti. A est, Bukit Cina. Volendo si può vedere tutto in giornata, ma bisogna imporre un ritmo che non permette di gustare la visita serenamente: se possibile, calcolate almeno 2-3 giorni di sosta.

Chinatown

Girate le spalle al distretto coloniale e salite sul ponte per godervi il panorama del piccolo Sungai Melaka, affollato di battellini, barconi, pescherecci e affascinanti golette di Sumatra che continuano a veleggiare come nell’antichità: “a vista e a naso”, senza l’ausilio di sestanti, radar, carte o compassi. Scendendo dal ponte seguite la strada a sinistra che gira subito in Jl. Tun Tan Cheng Lock, dedicata a un politico babà locale eroe dell’indipendenza nazionale. In origine si chiamava Heeren Straat, cioè “Strada dei Signori” in olandese, ma dopo il boom del caucciù per tutti divenne la “via dei milionari”, abitata dai più facoltosi peranakan dello Stretto. Facciate eleganti ma semplici, che nascondono cortili aperti e interni sontuosi, ricchi di fregi, dipinti, intagli, bassorilievi, stucchi e raffinati decori, colonne corinzie, mura lastricate con ceramiche decorate a mano e portali laccati di nero, rosso e oro: uno stile architettonico eurasiatico definito “barocco cinese”, di matrice rinascimentale, manierista.

Le case più belle furono costruite a cavallo del XIX e XX secolo, quando le modeste shophouse si fecero lussuose abitazioni. Ai numeri 48 e 50 merita certamente una visita il Baba-Nyonya Heritage Museum, un complesso di tre case confinanti, residenza all’epoca del famoso latifondista Chang Cheng Siew, che le fece costruire nel 1896. Il museo conserva gelosamente la storia e lo stile di vita dei primi pionieri cinesi sposati con donne malesi, e la relativa ascesa sociale. Stupenda anche la casa in angolo con Jl. Lekir, ora Hotel Puri (n. 118), ex residenza di proprietari terrieri dediti alla coltivazione del caucciù. Poco più avanti, sul marciapiedi opposto al n. 117, trovate l’imponente Chee Mansion (1919) in stile sino-dutch, che rappresenta la più alta costruzione del quartiere per la sua torre grigia sovrastata da una cupola dorata. Oggi è il sacrario di una famiglia cinese arricchitasi con la gomma ed è chiuso al pubblico. Lungo la via, altre case nobiliari d’epoca degne di nota le potete vedere nell’attuale Malaqa Gallery (n. 70), atelier d’arte antiquaria, nel Restoran Peranakan (n. 107), con cucina rigorosamente nonya, e al Baba House (n. 125), trasformato in albergo di media categoria, situato di fronte al colorito tempio taoista di Yong Chun.

Chinatown e un po’ tutta questa parte della città è piena di vita che scorre tra i vicoli ricchi di negozi d’antiquariato e botteghe artigianali. La parallela Jl. Hang Jebat – un tempo nota come Jonker Straat (“via dei nuovi Signori”) – è la via del centro: un vero paradiso per gli amanti d’oggetti d’arte e di curiosità difficili da reperire altrove. Strada residenziale per eccellenza fino al 1936, quando numerose famiglie babà furono costrette a svendere i propri arredi e tesori per far fronte alla Grande Depressione; situazione che, invece, fece la fortuna di molti antiquari. Oggi nei due lati di questa strada fanno sfoggio di sé oreficerie e botteghe d’arte, nelle quali si può trovare di tutto: dall’armadio d’epoca olandese, al letto da oppio laccato, alla lanterna Vittoriana, oggetti sicuramente di valore ma dai prezzi decisamente pretenziosi.

Gli abitanti di Melaka si distinguono per la pacifica convivenza nella quale le diverse culture e religioni hanno dato il meglio di sé attraverso le originali architetture di monumenti e templi. Seguendo Jl. Hang Jebat verso ovest, dopo il bell’edificio dell’Hokkien Merchants Guild (Huay Kuan), sulla destra trovate il recinto in ferro battuto che delimita i cilindri biancastri della Tomba di Hang Kasturi, maestro d’arte marziale e componente della gang di guerrieri detta “cinque compagni”, una sorta di “Moschettieri” malesi, che con generoso coraggio salvarono la vita al comandante Raja Bendahara Paduka e per questo furono nominati cavalieri di corte, a protezione del sultano Mansur Shah (v. “Mausoleo di Hang Jebat”). Cento metri più avanti, di fronte al tempietto rosato dedicato a Guanyin, dea buddista della misericordia, si torna verso est seguendo Jl. Tokong, la “via dei templi”, chiamata anche street of harmony, poiché riunisce tante diverse fedi quale simbolico esempio di tolleranza razziale e religiosa che si respira in tutta la città. Subito sulla sinistra s’incontrano due luoghi di culto taoisti prima di giungere al numero 25, sede del prestigioso Tokong Cheng Hoon Teng (“Tempio delle Nuvole Sempreverdi”), il tempio cinese più antico della Malaysia e il più grande di Melaka, con 4600 mq di superficie. Fondato nel 1646 da Li Kup, con artigiani e materiali giunti apposta dalla Cina, per secoli è stato il fulcro religioso dei cinesi di Melaka.

L’ingresso, sempre affollato da bancarelle e tricicli, è reso imponente da massicci portoni in legno laccato, mentre il tetto arcuato è decorato da suggestive figure mitologiche create con frammenti di vetro e rivestite in porcellana. Al suo interno trovate tre altari, dedicati ai devoti di Buddha, Tao, Confucio, e la statua del fondatore posta nella Sala delle Sin Chew (“Tavola delle Anime”), che preclude alla stanza sul retro allestita in onore degli antichi capi della comunità. Un’iscrizione commemora la prima visita a Melaka dell’Ammiraglio Cheng Ho, venerato ambasciatore dell’Imperatore Ming. Due contrade più a nord trovate invece la moschea più antica della Malesia, Masjid Kampung Hulu, eretta nel 1728 nello stile architettonico tipico di Melaka, mentre proseguendo di pochi passi lungo Jl Tokong, sulla destra in angolo con Jl. Lekiu incontrate l’altra elegante e vetusta moschea di Kampung Kling (1748), eretta nell’antico quartiere dei mercanti musulmani indiani. La forma conica del tetto a tre livelli, ispirata ai templi indù giavanesi, è stata associata a un minareto a torre quadra, strutturato a pagoda, che ricorda lo stile di Sumatra. Al suo interno, tra colonne corinzie e un grande lampadario vittoriano, si celebra il Mandi Safar o “Festival del Bagno”, che ha luogo nel mese musulmano del Safar.

Ancora pochi passi e sempre nel cuore di Chinatown, nella zona degli orafi, incontrate la modesta struttura verde del Sri Poyyatha Vinayagar Moorthi, uno dei primi templi indù del Paese, datato 1781. Dedicato alla divino Vinayagar, raffigurato da una testa di elefante in pietra nera scolpita in India, il tempio è un luogo sacro sia per i “presta-denari” Chettiar, che per i peranakan Chitty, cittadini di Melaka da oltre cinque secoli. Da qui parte la processione annuale del Thaipusam Festival, con la sacra statua di Subramaniam posta su un carro d’argento e accompagnata al Nagarathar Temple di Cheng, distante nove chilometri. All’incrocio successivo, vigilato dal santuario cinese di Sanduo Miao, girate a sinistra per Jl. Hang Kasturi e poi a destra in Jl. Pantai, dove risiede il mausoleo di Hang Jebat, una tomba in calce bianca che riporta alla mente le epiche vicende dei cosiddetti “cinque compagni”, coetanei ed esperti di silat (arte marziale malese), imparentati dal nome tribale di Hang: Tuah, Jebat, Kasturi, Lekiu e Lekir, divenuti cavalieri al servizio del sultano Mansur Shah (1456-1477). Interessante infine, il mausoleo di Hang Tuah, che fu anche comandante della marina del sultanato e difese strenuamente la città dagli attacchi di siamesi e achinesi (Sumatra), si trova in Jl. Klebang. La sua grande lealtà e le sue prodezze occupano un posto importante nella storia di Melaka.