C'era una volta una città sul Reno, dai fieri abitanti infuriati contro il ricco clero che li governava. Poco propensi a venire a patti con i vizi della cristianità ufficiale, espulsero il principe-vescovo e i concittadini cattolici, aprendo le porte solo ai protestanti. Non senza aver prima distrutto le varie immagini dei santi dipinte dentro le chiese e in alcuni edifici. Solo una si salvò, quella che ancora si vede in cima alla scalinata del grande ingresso del rosso municipio sulla Marktplatz.

Il fatto è che in questo caso il pittore aveva lasciato un Papa ad ardere tra le fiamme dell'Inferno e durante la rivolta nessuno si sognò di toccare l'affresco, nonostante la presenza nella stessa opera di santi sistemati in luoghi migliori e più tradizionali. C'era una volta, in quella stessa città, pochi anni dopo, un signore dalla lunga barba che si faceva chiamare Johann von Brugge. Veniva dall'Olanda, era ricco, aveva acquistato un palazzo e sembra si prodigasse in buone azioni conquistando la stima degli abitanti. Così quando morì, dieci anni dopo, fu sepolto con un funerale solenne. Ma non ci volle molto tempo a scoprire che quel signore tanto benpensante altri non era che David Joris, 'eretico' a capo di una setta di anabattisti. E i fieri abitanti che avevano cacciato i cattolici non poterono che reagire con l'identico orgoglio a questo nuovo tradimento. Anche se morto e seppellito, Joris fu processato e condannato al rogo. Il suo corpo fu riesumato e per essere certi di aver fatto le cose fino in fondo, la testa, o quel che ne restava, venne mozzata prima di accendere il fuoco.

Oggi Basilea guarda disincantata e anche un po' divertita la Storia fatta dagli antichi prozii e biscugini che, oltre a qualche leggenda, hanno lasciato loro una città incantevole. La leggenda racconta di un fantasma che durante la notte vaga nello Spiesshof, la strada dove Joris aveva abitato. Sotto un braccio porta la sua testa ed è accompagnato da due alani. Nel corso degli anni, anche gli ultimi, non sono mancati medium che hanno giurato di averlo visto e sentito, ma per la verità il suo spirito non sembra palesarsi spesso e nemmeno a tutti. Anzi, forse a nessuno tranne agli addetti al settore fantasmi. La città invece è lì, sotto gli occhi di tutti, con le vie che si inerpicano e curvano sulla collina, i bei palazzi inanellati in un ordine elegante, quasi sfilassero in passerella, la cattedrale che svetta, le raffinate piazzette e le 360 fontane zampillanti.

Il Reno la divide in due parti, collegate da grandi ponti e interminabili tram verdi che vanno avanti e indietro senza fermarsi neanche di notte. Raramente capita di trovare radici così saldamente ancorate in un tessuto intatto da secoli e nello stesso tempo la salda volontà di non fermarsi e di aprirsi al nuovo. Un passato amato e rispettato insieme a un futuro ugualmente grande, già cominciato a costruire. Molti recenti edifici nella parte nuova della città portano la firma di architetti di fama internazionale, come Richard Meier, progettista del Getty Center di Los Angeles, che a Basilea ha lasciato il centro direzionale Euregio, vicino alla stazione ferroviaria.

Ed è poi la stessa Basilea ad esportare nel mondo i suoi rinomati architetti. Tra i tanti, ma proprio tanti, Jacques Herzog e Pierre de Meuron, che, sempre in partnership, sono autori della Tate Modern di Londra, dello stadio olimpico di Pechino, della sede Feltrinelli di Milano. Nella loro città e nei dintorni hanno realizzato palazzi per abitazioni, uffici e istituzioni pubbliche e private, dai grattacieli della Roche al magistrale restauro del Museo Etnologico. D'altronde, la storia ce lo insegna, a Basilea si va sempre fino in fondo e un segno ai postnipoti si vuole lasciarlo, sempre continuando nella tradizione dell'eccellenza. In fondo gli abitanti hanno un eredità da rispettare e ancora oggi quando decidono di fare qualcosa, la fanno sul serio. È così per il Carnevale, che dura tre giorni e tre notti: 150 ore di baldoria continua con 20.000 persone 'armate' di tamburi, pifferi e lanterne. Un euforico fiume in piena che si riversa lungo le strade del centro. Ma questo è solo ciò che si vede. In realtà per tutto il resto dell'anno i vari gruppi lavorano nelle sedi storiche all'insaputa l'uno dell'altro per preparare maschere, versetti e caricature da usare durante la festa.

L'omaggio alla cultura è un altro punto fermo dell'orgoglio basilese. Siamo in una città di 180.000 abitanti che conta ben 40 musei. Di tutti i tipi. Il più piccolo è al numero 31 della Imbergässlein, una stradina ripida con tante scale non lontana dalla Marktplatz. Si chiama Hoosesagg Museum, cioè 'Museo della Tasca dei Pantaloni'. Per la verità è un po' più grande di una tasca, ma non molto. Ha le dimensioni di una porta, anzi di metà porta: quella della casa in cui abita la signora Dagmar Vergeat, proprietaria dell' immobile. L'dea venne proprio a lei nel 1995, dopo che il figlio le chiese per quale motivo tutti quelli che salivano le scale della Imbergasslein andassero ad appiccicare il naso sui vetri della loro abitazione per guardarci dentro. Allora la signora, che amava collezionare oggetti, organizzò il suo piccolo museo ricavando una vetrina nella metà superiore della porta d'ingresso. All'inizio esponeva solo i suoi 'tesori'. Poi in molti hanno cominciato a chiederle di poter mostrare le loro raccolte. E l'Hoosesagg Museum è diventato un punto di riferimento per tanti collezionisti. Di volta in volta vi si ammirano preziosi modelli di auto o di aeroplani; oppure soldatini di vari eserciti, ma anche alambicchi usati nei laboratori farmaceutici, come pure minuscoli dipinti.

La vera ricchezza della città è comunque l'arte. Arte di tutti i tempi, dagli egizi in poi, fino a quella moderna e contemporanea. Il museo Tinguely è divertente anche per un bambino e la sua fontana, nella centralissima piazza davanti al teatro, è uno spasso. Dove prima si esibivano gli attori, ora sculture meccaniche spruzzano acqua in tutte le direzioni e intrattengono il pubblico. Si capisce che ancora una volta la città fa sul serio quando si visitano i due maggiori musei, la Fondazione Beyeler e il Kunstmuseum. La prima è una grandiosa raccolta di opere moderne lasciata da un mercante, Ernst Beyeler, alla propria città in un edificio costruito da Renzo Piano. Il secondo è vecchio di quasi quattro secoli e conserva opere dal 1400 fino a oggi, da Holbein a Rembrandt, da Renoir a Chagall. Molte di queste arrivano da donazioni fatte da ricche famiglie che hanno così reso pubbliche le loro collezioni per fare più grande Basilea.

Ma non è solo una questione di soldi. Gli abitanti partecipano volentieri ad alcune scelte e come sempre ne vanno fieri. Una per tutte la storia dei Picasso. Successe nel 1967, quando il figlio del collezionista Rudolf Staechelin, in difficoltà economiche, decise di vendere una parte della collezione che il padre aveva lasciato al Kunstmuseum. Nella donazione c'era infatti una postilla che lasciava aperta questa possibilità agli eredi. I basilesi 'digerirono' la vendita di un Van Gogh, La contadina, oggi a Washington in una collezione privata. Ma quando toccò a due Picasso le cose cambiarono. Fu indetto un referendum, ci fu una vera e propria campagna elettorale con manifesti e volantini. Picasso vinse e i cittadini accettarono così di pagare la metà del prezzo di quei quadri con le proprie tasse. Cose da piangere dalla gioia. E infatti persino l'artista si commosse e regalò all'intera comunità quattro suoi dipinti, ora al Kunstmuseum. Si dice che sia stata l'unica volta in cui Picasso - notoriamente 'oculato' per non dire tirchio - abbia fatto un dono così importante.

Dopo l'arte i basilesi amano il Reno. Così tanto da vivere quasi in simbiosi. Durante una giornata estiva le sponde del fiume si trasformano in 'stazioni balneari'. E fermandosi a guardare dai ponti capiterà di vedere qualcosa che si muove nell'acqua insieme a grandi 'boe' di plastica colorata. Sono donne e uomini - anziani, giovani e di mezza età - che si fanno trascina dalla corrente. Dentro la 'boa' ci sono gli asciugamani e i vestiti tolti prima di tuffarsi, che il Reno porta via insieme ai loro proprietari. Quando i bagnanti decidono di approdare di nuovo, in qualsiasi altro punto della città, ma più a valle, si asciugano, si rimettono gli abiti e tornano in ufficio. E nessuno pensi che questo succeda solo in estate. Anche d'inverno c'è chi non rinuncia a tanto divertimento e si lancia nelle acque gelate. Ma la corrente è forte, almeno quanto i prodi abitanti della città: il 'gioco' è assolutamente sconsigliato ai turisti.