Kirghizistan… Kirghistan... Kirgizstan… se il solo capire come pronunciarne correttamente il nome può risultare problematico, di contro il viaggiare all’interno di questa ex repubblica sovietica risulta tanto facile quanto interessante.

Stretto tra il ricco Kazakistan e la grande Cina, il paese regala scorci di inconsueta bellezza suddivisi tra vette innevate, estesi laghi montani e verdi vallate, inframezzati da testimonianze archeologiche e architettoniche a riprova di una storia lunga e articolata. Attraverso questi sentieri di montagna sono passate le carovane di mercanti che affrontavano il difficoltoso percorso lungo la via della seta trovando riparo nei “caravanserragli”, sanguinari conquistatori come Kenghis Khan, le cui armate mongole si sentivano arrivare prima per l’odore che le accompagnavano e poi per la pioggia di frecce che seguivano, fino a Temerlano, estimatore di arte e architettura che era solito erigere torri con le ossa dei nemici sconfitti.

Vi sono transitatati pure predicatori di ogni religione, dai cristiani nestoriani ai sufisti islamici, cercando di trovare proseliti in una popolazione che, vista la propria vocazione nomade, ha sempre riservato verso dogmi e precetti una distaccata accoglienza.

Lo stesso Islam, penetrato in queste regioni in maniera massiccia nel settimo secolo, si esprime in sfaccettature particolari, come testimoniato dalla moschea di Karakol che, costruita a inizio secolo con progetto e maestranze cinesi provenienti dal confinante Xinjiang, assomiglia a una colorata pagoda. Sicuramente la popolazione ha da sempre dimostrato più interesse per il capo guerriero Manas, eroe mitologico artefice della riunificazione delle prime 40 tribù nomadi kirghise, le cui gesta si sono tramandate per secoli solo per via orale attorno al focolare nell’interno delle yurte coperte di feltro in una serie di poemi tre volte più estesi della omerica Odissea, e che troneggia ancora oggi nelle vallate con imponenti statue equestri.

I cavalli sono i protagonisti della storia di queste popolazioni: unico mezzo di locomozione o sostentamento e sempre presenti a fianco delle yurte, che si dipanano come puntini chiari in vallate tanto estese quanto incontaminate con estesi laghi che aiutano a variare la scenografia di montagna, costellando il verde del paesaggio con macchie di limpido azzurro. Talvolta gli specchi d’acqua sono tesori seminascosti come nel caso del Song Kol, isolato tra alti passi montani, diversamente la loro presenza ha condizionato lo sviluppo dell’area circostante in maniera sostanziale.

È il caso di Issyk Kol, il secondo lago montano al mondo navigabile dopo il Titicaca, che grazie alle sue acque calde per attività geotermica e discreto coefficiente di salinità non gela mai, e proprio per queste condizioni favorevoli è stato scelto in tempi remoti come avamposto per le truppe di Temerlano, poi come laboratorio di test per i siluri della marina russa e in tempi recenti per la più pacifica installazione di numerose stazioni balneari, frequentate dai ricchi vicini kazaki.

Tanta è la particolarità del luogo che proprio su queste rive ha pure chiesto di essere sepolto il famoso esploratore russo Prezhevalsky, dopo una campagna di viaggi che lo ha portato, secondo alterne fortune, alla scoperta di luoghi e popolazioni dalla Mongolia al Tibet.

Lungo le rive dei laghi la presenza di isolati nuclei familiari è discreta, vissuta in piena armonia con l’ambiente e con gli animali, anche nel caso si tratti di aquile utilizzate per la caccia: rapite poco dopo la nascita direttamente nel nido vivranno in simbiosi con il proprio padrone e addestratore, per poi essere rimesse in libertà dopo 20 anni.

La stessa libertà che, assieme ad aria frizzante trasportata da vento taglientissimo, respirano i numerosi alpinisti che si cimentano qui con la catena Tian Shan (“montagne celesti”) dove a 4000 metri si radunano in campi base avanzati, pronti per la conquistare la più alta cima del Khan Tengri (“signore degli spiriti”).

Più a sud, al confine con il Tagikistan, ci si può invece confrontare con l’impegnativo Peak Lenin, raggiungibile dai sentieri che portano alla valle Fargana, contesa nei secoli passati per la presenza di portentosi cavalli ambiti anche in Cina e ora guazzabuglio di popolazioni kirghisa, uzbeka e tagika. Sono tre etnie che cercano in malo modo di sopportarsi tra confini creati sulla carta dalla finta bizzarria sovietica degli anni '30, sfociando talvolta in cruente rivolte ed estremismi: se la geografia di questi luoghi parrebbe ormai stabilmente fissata, lo scenario geopolitico potrebbe riservare in un prossimo futuro altri cambiamenti.