La formazione calcarea delle Grotte di Batu, famose per ospitare al proprio interno una serie di templi induisti di primaria importanza, epicentro del Thaipusam, si trova ad appena 13 km dal centro di Kuala Lumpur, comodamente collegata col treno dalla Central Station o dal bus urbano Cityliner n. 69. Già da molto lontano la verde sagoma del colle a cono si vede ergersi dal nulla, l’autobus si ferma davanti al doppio arco d’ingresso, che introduce al sacro recinto Indù dominato dalla luccicante statua di 43 metri, da una girandola di colori vivaci e dalla celebre scalinata a tre “corsie”, dove si depositano le scarpe alla base, prima di salire. Ad un occidentale qui tutto può apparire “eccessivo”, ma è la sacralità del luogo a favorirne la comprensione.

Scoperte alla metà dell’800 dal naturalista americano William Hornaby, l’anno che segnò il destino di questo incredibile santuario fu il 1891, quando alcuni dignitari indiani elessero le suggestive grotte a luogo di culto. Diventò così, in poco tempo, meta di numerosi devoti che qui giungevano in pellegrinaggio per onorare l’altare dedicato a Muruga, meglio noto come Subramaniam, dio guerriero della prosperità, ritenuto un’incarnazione di Shiva. Dalla grotta principale, denominata Temple Cave (Grotta del Tempio), il complesso religioso in seguito si estese alle altre cavità minori, oggi arricchite da statue e tabernacoli eretti alle divinità Indù, mentre intorno ad esse bancarelle e negozi vendono al grande flusso di visitatoti e pellegrini ghirlande, collane di fiori, idoli, souvenir, nastri di musica indiana, cibi, bibite, nonché noccioline e banane per le scimmie. Per uno spuntino o per dissetarsi con un cocco, basta spostarsi nei negozi limitrofi al tempio spendendo la metà.

Ai piedi della ripida scalinata, il lato sinistro è occupato dal tempio tradizionale, coi fedeli seduti al suolo che si raccolgono nell’orazione del puja e i ministri di culto a petto nudo che si lasciano fotografare senza problemi, anche se un obolo da versare nel “donation box” è sempre gradito. Sul lato destro della scalinata, la faraonica statua dorata del dio Muruga domina la città dall’alto. Alla Temple Cave si arriva attraverso un’arrampicata di 272 ripidi gradini, tutti numerati, dove alcune famiglie di viziatissimi e bellicosi macachi stazionano in attesa di cibo e acqua offerti dai turisti: fate attenzione perché non esitano ad aggredire chi allunga loro qualcosa e ricordate di tenere apparati video/foto ben stretti e zainetti chiusi.

Giunti in cima, posizione da cui si gode un’ampia veduta dell’area suburbana, quattro colonne e dieci divinità allineate sulla trave indicano l’entrata al singolare tempio. L’atmosfera è decisamente sacrale. La parete verticale del monte si apre su di una vasta grotta pavimentata lunga circa 80 metri ed alta 100, semibuia e ricca di stalattiti, comunicante nella parte posteriore con una seconda grotta rischiarata da un raggio di luce che filtra dalla volta. Ringhiere e sentieri transennati servono per disciplinare le centinaia di migliaia di adepti che qui sfilano in processione nei tre giorni del Thaipusam festival, nel resto dell’anno si può girare liberamente. Lunghe aste con faretti e punti luce al neon illuminano alcuni angoli in prossimità delle scale interne che suppliscono ai dislivelli.

Gli dei raffigurati lungo le pareti rocciose rappresentano le sei vite del divino Subramaniam. Le suggestive casette-liturgiche dette garbagraham, custodite da socievoli sacerdoti, le trovate sulla sinistra delle rispettive grotte: la prima è rivestita di piastrelle bianche e protetta da una cancellata, mentre la seconda è più complessa, con la figura di Rama a protezione degli immigranti e le due statue di guardia ai lati della porta che indicano, con l’indice alzato verso il cielo, la via da seguire per la luce dello spirito. Il segno rosso apposto sulla fronte dona al visitatore il diritto spirituale di salire sulla piattaforma del santuario. Nel tardo pomeriggio, quando il tempio è ormai deserto, sarà un “santone” in persona ad incontrare i visitatori per segnare loro la fronte con la polvere d’hennè e per donare un profumatissimo fiore assieme al piccolo involucro di carta contenente la cenere del “ritrovamento”.

Una volta terminata la visita al Cave Temple, per entrare nelle altre grotte occorre recarsi sulla parte sinistra del monte, seguendo il percorso indicato dalla passerella in cemento che attraversa un delizioso laghetto abbellito da altre statue religiose e scene idilliache. La più interessante è certamente la cosiddetta Art Gallery, in origine riservata a Ganesh, la divinità con la testa di elefante tuttora presente nella cavità all’ingresso a protezione della grotta. Essa si snoda su tre sale oggi ricolme di statue Indù che, in una spettacolare sequenza di coloratissime composizioni, riportano i fedeli alle diverse raffigurazioni delle scritture. Vedrete Krishna, il dio blu, suonare il flauto con la mucca o sul cocchio trainato da cinque cavalli bianchi; Maha Vishnu, dello stesso colore, che danza nudo sulle cinque teste di un gigantesco cobra; Nadarajar e Thatchana Moorthi, entrambe con quattro braccia e dozzine di altre fantasmagoriche divinità, che comprendono donne verdi, ratti giganti, uomini scimmia o con teste di cavallo (come nel politeismo dell’antico Egitto), inserite su uno sfondo scenografico caratterizzato da muri affrescati con tonalità forti, effetti cromatici violenti, che abbracciano un’infinità di temi religiosi: dalle battaglie mitologiche alle composizioni più astratte, decisamente psichedeliche, capaci di trasmettere una grande energia creativa. Il perimetro delle Batu Caves, un muretto che delimita il complesso ai piedi del colle, è aperto al pubblico dalle 8 alle 19, l’ingresso è gratuito.