Quando si dice l'arte. Quella del fare. E del fare bene. Con la passione che viene dal cuore e l'abilità che nasce dalle mani. Lo aveva già capito Napoleone che nel 1810 invase il Vallese, annettendolo all' Impero, per dare alle truppe francesi un passaggio più comodo verso l'Italia. A dire la verità la sua incursione nelle gole montane del Rodano durò poco perché nel 1813 riconsegnò ai vallesani la loro indipendenza, ma quei tre anni furono sufficienti per fare conoscenza con il vino locale, prodotto dai montanari che coltivavano le loro vigne sulle scoscese scarpate delle poderose montagne. E nonostante in Francia non mancasse certo l'uva, volle sempre con sé, in tutte le sue campagne militari, il bianco prodotto vinicolo di quelle terre che, allora come ora, si chiamava Fendant. Addirittura, si dice che pretese di esportare in Francia il vitigno da cui aveva origine, l'antico Chasselas, o Fendant che dir si voglia. Vera o falsa che sia la storia, di certo riassume una delle arti dei Valaisans, popolo fiero di montanari con il culto dei vigneti strappati alla neve e la passione del vino. Passione per produrlo, e naturalmente per berlo.

Grave errore continuare a pensare la Svizzera solo come il Paese del cioccolato, degli orologi, dei prati e delle vette alpine. In realtà c'è di più. Come un ottimo vino, appunto, anche se poi all' estero è introvabile, visto che la produzione non è molta, ma fortemente apprezzata nei 26 cantoni della confederazione, dove viene consumata quasi interamente, a parte un misero 2 per cento che riesce a uscire dai confini nazionali. Un po' di numeri dopo le leggende: in Svizzera 15.000 ettari sono coltivati a vigna, vale a dire lo 0,2 per cento della superficie viticola mondiale (solo la zona di produzione del Chianti supera i 70.000 ettari). Un terzo di questi, cioè 5000 ettari sono nel cantone più alpino, quello racchiuso tra 51 vette alte più di 4000 metri, vale a dire il Vallese. Eppure, nonostante le montagne con piste da sci rinomate in tutto il mondo, in questo angolo di territorio il sole brilla per oltre 2000 ore l'anno riscaldando le strette gole e creando un clima secco, con poche piogge, adatto alla giusta crescita e maturazione dell'uva.

Salire a piedi da Martigny fino a Plan Cerisier è come nuotare in un mare di foglie che si uniscono in geometrie diverse, quasi a formare un ricamo. La processione di viti allineate su spettacolari terrazze fa da cornice alla lunga e stretta valle che ospita il paese. Verdi in primavera ed estate, rossi in autunno e bianchi di neve nei mesi invernali, i vigneti svizzeri offrono paesaggi mozzafiato che hanno fatto loro guadagnare anche l'attenzione dell'Unesco.

Furono i romani a insegnare l'arte del vino ai popoli delle Alpi, mentre nel medioevo i monaci crearono i terrazzamenti per facilitare il lavoro. Da allora niente è cambiato e la viticultura era ed è rimasta 'eroica', nel senso che nessun macchinario della nostra epoca può entrare in quelle vigne e solo le mani dell'uomo le rendono così perfette da apparire dipinte.

È qui che nasce il Fendant, così come il Gamay, due vini - il primo bianco e il secondo rosso - entrambi 'conviviali' e notissimi ai palati svizzeri, un po' meno a quelli europei visto che per gustarli l'unico modo sembra essere quello di superare i valichi e presentarsi direttamente nei territori in cui nascono. L'uva del Gamay, però, spiegano con un certo orgoglio i vallesani, è la stessa che dà origine al Beaujolais Nouveau. E allora diventa subito 'illustre'.

A Plan Cerisier, dopo venti minuti di salita tra le zolle attraverso un ripido sentiero (ma per i pigri c'è anche una comoda strada) si raggiunge una manciata di case basse, con il tetto di ardesia. Alcune sono abitate tutto l'anno, ma la maggior parte si anima a ottobre - tempo di vendemmia - quando, come da tradizione, i proprietari vanno a spremere le loro uve.

All'ingresso del villaggio, custodita con cura e guardata con amore, c'è la vite più antica - più o meno un centinaio d'anni - sopravvissuta al freddo e alle bufere, ancora pronta a offrire i suoi grappoli. E siccome arte chiama arte anche Laura Chaplin, nipote del grande Charlie, nata in Svizzera e artista lei stessa ci ha messo la sua impronta firmando le etichette de La Cinquième Saison, una delle cantine più premiate del cantone.

Ma l'ingegno dei vallesani non si ferma all'uva. Pere Williams e albicocche Luizet, oltre ad adornare i molti giardini, crescono rigogliose in quella terra fertile. 12 kg di questi frutti ed ecco un litro di prezioso liquore: la Williamine e l'Abricotine. Dal 1889 ci pensa la famiglia Morand a produrli; quattro generazioni e una distilleria in pieno centro a Martigny, da dove oggi escono anche succhi di frutta, aromi, creme e cocktail, tutti dedicati alla frutta.

La prima artista del Vallese, comunque, è stata certamente la natura. Basta raggiungere (con la guida) il più grande ghiacciaio d'Europa, quello dell'Aletsch - 23 km e 11 miliardi di tonnellate - scoprire i suoi sentieri glaciali che si aprono su spettacolari paesaggi fatti di grotte, crepacci e laghi, per essere sicuri che la bellezza esiste davvero. Vedere il Rodano che nasce oltre i 2000 metri di altezza, al termine di una lingua di ghiaccio lunga 10 chilometri, seguirlo con la mente mentre si incunea tra le vette per andare a modellare chilometri e chilometri di paesaggio fino a raggiungere la Provenza, è una suggestione profonda. Arrampicarsi tra le rocce scure della Pointe Ronde e del Catogne, a sud di Martigny, salendo i 330 scalini di legno tra gli schizzi di 14 cascate mentre il cielo si restringe sempre di più fino a diventare una sottile striscia chiara, non può che lasciare impressionati sul talento artistico della natura. Siamo nelle Gole del Durnand, all'incirca un km di percorso tra tunnel, ponti e gallerie. Un'ora di avventura resa possibile solo a partire dal 1877, quando vennero costruite le passerelle.

Sfortunatamente il romantico Jean-Jacques Rousseau era nato troppo presto per poterci portare la sua amante, Madame de Larnage, che comunque si dice incontrasse di nascosto proprio nelle valli del Rodano. Per l'identico motivo non riuscirono a vedere le fiabesche gole Franz Liszt e la contessa Marie d'Agoult nel loro viaggio-fuga in Svizzera. Lo stesso si dica per Stendhal e Goethe, il quale, però, condotto dai suoi interessi per le scienze naturali, dovette passarci molto vicino. Tutti, comunque, se non poterono gustare fino in fondo le meraviglie della natura, si consolarono con la cucina locale che, a quanto tramanda la voce popolare, apprezzarono molto.

Ma gli ospiti illustri nel Vallese non sono mai mancati. Avvolto com'è dalle montagne, alla confluenza di valichi che permettevano il passaggio, ma anche una facile difesa, la regione più a Sud della Svizzera ha conosciuto la Storia, a cominciare dai Celti e poi dai Romani che proprio a Martigny hanno lasciato un anfiteatro e le terme. E siccome arte chiama arte, non solo la passione per la viticultura si è mantenuta intatta nei secoli, ma anche il gusto per tutto ciò che di prezioso tramandano i tempi passati è rimasto intatto, così come intatte sono le loro montagne. Tanto che oggi a Martigny c' è un nuovo tempio, vero e proprio monumento per la raccolta e la diffusione delle opere d'arte.

Voluta da una famiglia di imprenditori immobiliari, la Fondazione Pierre Gianadda è uno dei centri espositivi più importanti in Europa. Sculture di Moore, Mirò, Calder, Dubuffet, Brancusi, Chillida sono in mostra nel grande parco, mentre due appuntamenti annuali con la grande arte trovano spazio all'interno del moderno edificio. Ora, - fino al 22 novembre - Rodin e Giacometti, due giganti della scultura, si fronteggiano nella loro ricerca sul destino dell'umanità. Dinamico e fiducioso quello suggerito dai grandi corpi realistici e dalla forte espressività usciti dalle mani del maestro francese; incerto e doloroso quello che invece emerge dalle figure filiformi e deformate dell'artista svizzero. Se l'Homme qui marche di Rodin, pur privato della testa e delle braccia, sembra camminare con energia e convinzione verso un progresso senza fine, quello di Giacometti porta sulle spalle due guerre con la morte e le distruzioni che queste hanno provocato. Continua a camminare, ma dove va? Dalla Fondazione Gianadda l'arte e la cultura rilanciano la domanda che ancora oggi non riesce a trovare una risposta. E il crocevia della Svizzera, da passaggio obbligato di truppe nelle epoche passate, diventa così una metafora della comunicazione tra i popoli.