Durante il viaggio in Ghana avevo comprato, senza darvi eccessiva importanza, una collana che avevo trovato, insieme ad altre in una cesta, in un negozio di Kumasi, la città degli Ashanti.

L’avevo presa perché mi era piaciuta per i colori e disegni floreali. La metto ora con riguardo perché mi è stato confermato, al negoziante non avevo molto creduto, che è fatta di perle di vetro antiche denominate millefiori o murrine.

Il nome di queste perle di vetro deriva dagli elaborati disegni floreali realizzati con una tecnica nota già nel ‘500 avanti Cristo in Mesopotamia, poi perfezionata nei secoli successivi e rielaborata dai Veneziani nel Rinascimento.

I mercanti europei si recavano in Africa portandole con sé, quale preziosa merce di scambio per la tratta degli schiavi e le attività di commercio nelle colonie che controllavano. Tant’è che la perla murrina millefiori viene ancora oggi chiamata in certi paesi “African trade beads”. Inizialmente questi scambi avvennero con mercanti Portoghesi, poi con gli Olandesi, con i Danesi e, infine, con gli Inglesi che si rifornivano a Venezia, capitale assoluta nella produzione e nella diffusione di perle di vetro, il cui monopolio conserverà per oltre tre secoli.

Il viaggio in Ghana è terminato con la visita a Elmina, luogo famoso per la tratta degli schiavi; visita che mi aveva stimolato la lettura del Viceré di Ouidah di Bruce Chatwin (Adelphi, 1983): storia de brasiliano Francisco Felix de Sousa (1754 – 1849) che aveva stabilito, ai primi dell’Ottocento, un fiorente traffico di schiavi sulla costa del Dahomey (attuale Benin). Vicenda riproposta nel film Cobra Verde, girato da Werner Herzog nel castello/fortezza della cittadina.

A Elmina, sorta nel ‘700 su un istmo tra l’Oceano Atlantico e la laguna Benya, mi sono lasciata coinvolgere dall’atmosfera e dagli odori del caratteristico porto di pescatori, dalle piroghe coloratissime in continuo movimento e dai grossi forni all’aperto dove le donne essiccavano il pesce.

Nelle sue strette vie mi hanno colpito i particolari santuari Posuban (luoghi fortificati). Questi santuari, realizzati dalle compagnie di Asafo (in lingua Akan “i guerrieri della guerra”) che avevano il compito difendere la città, venivano utilizzati come loro sede locale e come magazzini per le armi e per le insegne. Variano per dimensioni e per il numero delle loro statue che rappresentano, a grandezza naturale, uomini bianchi, uomini neri, animali, navi ed altri oggetti e hanno una valenza simbolica. Mi ha particolarmente stupito un Posuban dove appaiano Adamo ed Eva che non hanno alcun riferimento diretto alla guerra.

Con spirito diverso ho visitato il Castello di San Giorgio.

Il castello di Elmina, tra i trenta esistenti, è l’edificio coloniale più antico e più grande del Ghana; fatto erigere nel 1482 da Giovanni II del Portogallo con il nome Castelo de São Jorge da Mina (Castello di San Giorgio della Miniera), restaurato, è oggi Patrimonio UNESCO. In passato è stato utilizzato sia come magazzino per accumulare le ricchezze in attesa di intraprendere le rotte commerciali, sia come prigione durante il triste capitolo della tratta degli schiavi.

Gli schiavi giungevano lì dall’entroterra condotti dagli schiavisti appartenenti alle etnie più potenti che, armate da europei senza scrupoli, soggiogavano le tribù più deboli.

Ho girato per il castello di Elmina con un gruppo di anziani afroamericani che volevano conoscere i luoghi da dove i loro antenati erano partiti.

È stato un susseguirsi di sensazioni ed emozioni visitare le celle di detenzione dove venivano ammassati un gran numero di schiavi, il cortile, dove le schiave più belle venivano esposte per essere scelte dal capitano del forte, la chiesa dove veniva fatta l’asta degli schiavi e percorrere La Routes des esclaves: distanza che gli schiavi facevano con le catene ai piedi per arrivare, dopo essere passati attraverso la Porta del non Ritorno, all’Oceano dove venivano imbarcati per l’ignoto.

Circa trentamila schiavi all’anno passarono attraverso la Porta del non Ritorno di Elmina, questo fino al 1814 quando il commercio degli schiavi fu abolito dagli olandesi, sette anni dopo gli inglesi.

La tratta degli schiavi africani, fra il XVI e il XIX secolo attraverso l'Oceano Atlantico verso le Americhe, costituì l’elemento fondamentale per la nascita e lo sviluppo delle colonie europee del Sud e Centro-America prima e del Nord-America poi.

Tutti i paesi, nell’Ottocento, si adeguarono, di volta in volta all’abolizione della schiavitù voluta da Lincoln. La tratta si protrasse fino al 1867, quando Cuba decise di abolirla, e questo dopo che tale tremenda pratica aveva procurato un danno permanente all’Africa: le partenze dal continente furono circa 11 milioni (di cui 9,5 milioni arrivarono effettivamente in America.

Ricordare la visita al castello di Elmina mi porta a riflessioni sulla “moderna” tratta della schiavitù: traffico di esseri umani, sfruttamento del lavoro, sfruttamento dei bambini, sfruttamento sessuale. La schiavitù ha radici profonde e purtroppo non è realmente cessata.