Lo Yemen, a 4 anni dall’inizio dal conflitto, sta patendo la peggiore crisi umanitaria degli ultimi anni e più di cinquanta siti storici, colpiti dai bombardamenti sauditi, hanno danni irreversibili. La notizia di questi tristi eventi mi fanno tornare indietro nel tempo.

Tra i miei viaggi non poteva mancare la terra dei miti e delle leggende: l’Arabia Felix. Così chiamata dai geografi dell’età romana, per le sue ricchezze e fertilità, la parte meridionale della Penisola Arabica, odierno Yemen (Al-Yaman, “Paese del Sud” in arabo). Divisa in regni indipendenti, nel III secolo a.C. fu unificata dal regno sabeo che cadde nel IV secolo d.C. per un’invasione delle forze del Regno di Axum provenienti dall’Etiopia. Dopo una lunga dominazione etiope, i Persiani Sassanidi se ne impadronirono. Nel 630 d.C. lo Yemen divenne parte fondamentale della neonata cultura islamica.

Per diversi decenni è stato diviso in due parti: lo Yemen del Nord, divenuto indipendente dall’Impero ottomano nel 1919, lo Yemen del Sud, colonia inglese fino al 1967. Nel 1990 viene unificato, con capitale a Sana’a.

Misterioso paese dell'oro, della mirra, e dell'incenso, lo Yemen mi ha sempre affascinato per le sue città dagli edifici spettacolari costruiti di mattoni di fango e per i racconti del regno di Saba e per il mito della sua Regina.

Gli arabi la conoscevano come la regina Bilquis, gli etiopi la chiamavano Macheda, per gli ebrei e i cristiani era la regina di Saba. La sua memoria è stata tramandata, dai libri sacri: Bibbia, Nuovo Testamento e Corano. Nel Vecchio Testamento, Libro dei Re, I,10, 1 e segg., si parla della visita della Regina di Saba al Re Salomone per mettere alla prova, con enigmi, la sua grande saggezza.

Partita dal suo regno con un seguito di cammelli carichi d’oro, aromi e pietre preziose, si recò a Gerusalemme, capitale del regno d’Israele. Salomone rispose in modo soddisfacente a ogni domanda, dimostrando che nessuna questione era troppo difficile per lui e la Regina ne rimase affascinata. Secondo il libro sacro della tradizione dell'Etiopia, il Kebra Nagast, la Regina di Saba e Salomone ebbero un figlio: Menelik I, primo imperatore d'Etiopia.

La Regina viene rappresentata nell'arte: dall’Alto Medioevo, le miniature, le finestre della cattedrale di Colonia e le statue di Chartres, l'altare di Klosterneuburg nigra sum sed pulchra, al Rinascimento di Piero della Francesca. Salomone e la Regina di Saba, scolpiti nella pietra calcarea ad opera dell’Antelami, spiccano, in copia, all’esterno del Battistero di Parma e continuano ad essere presenti, attraverso i secoli, nella letteratura e nella cinematografia.

Da un punto di vista storico, la questione se la Regina di Saba sia realmente esistita è controversa. La maggioranza degli esperti nega l’esistenza della Regina. La scoperta di un tempio sepolto dal deserto a Mahram Bilqis, vicino all’antica città di Ma’rib, capitale del regno sabeo, le iscrizioni e i preziosi manufatti custoditi a Mahram Bilquis, contribuiranno forse a sciogliere l’antico enigma.

Nel mio viaggio in Yemen mi sono trovata ad affrontare un Paese povero e trasandato in contrasto con quello ricco del passato, ma affascinante.

Sana’a, Patrimonio dell’Unesco, mi è apparsa polverosa e disordinata; le persone vestite con abiti tradizionali dimessi; tanti kalashnikov e tante foglie di qat masticate. Ma la sua “forma” e le sue case a torre, anche di otto piani dedicati ognuno ad una specifica attività della famiglia, gioielli di urbanistica e architettura, mi hanno fatto sognare. I suoi affollati e colorati mercati, che profumano di spezie, erano unici e mi sono lasciata trasportare dalle loro mille suggestioni.

In tutto lo Yemen non c'è una palma, ma si sente una fantasticità più profonda, che viene da quella sua mirabile architettura tutta in verticale, di case alte e povere, l'una a fianco dell'altra nelle anguste stradine. Lo Yemen è il paese più bello del mondo. Sana'a, la capitale, è una Venezia selvaggia sulla polvere, senza San Marco e senza la Giudecca: una città-forma, una città la cui bellezza non risiede nei deperibili monumenti, ma nell'incomparabile disegno. Una delle poche città-forma che un urbanista dovrebbe conservare intatta nell'esterno, rifacendone solo gli interni.

Così scriveva Pier Paolo Pasolini, che in Yemen girò Il fiore delle Mille e una notte.

A quindici chilometri dalla capitale, Dar al-Hajar, il palazzo di cinque piani, ex residenza estiva degli Imam, costruito su una guglia rocciosa nel 1786 in una posizione spettacolare, mi ha lasciato letteralmente senza fiato.

A Shihara, posta a 2.600 metri di altitudine, roccaforte della resistenza contro i turchi ottomani che non riuscirono a conquistarla per la sua inaccessibilità, il panorama è stupendo. Al tramonto, sentire le voci dei muezzin che si diffondono via via in tutta la vallata, per richiamare i fedeli alla preghiera, è una carezza dell’anima. Alla sera nel funduk, dove dormivamo su materassini a terra, ho fatto fatica ad addormentarmi eccitata dalla bellezza del posto, pensando a quel ponte di pietra sospeso, risalente al XVII secolo che con un certo impegno ho raggiunto a circa 15 minuti di cammino dal villaggio.

Shibam, per la sua posizione spettacolare e i suoi cinquecento edifici in stile tradizionale che emergono improvvisamente dalla pianura desertica, merita una visita.

Così pure, a 2800 metri sul livello del mare, Kawkaban dall’eccezionale architettura dei suoi edifici di colore rossastro. Famosa per la musica, è anche nota per due palazzi decorati con pietre preziose, tanto da meritarsi ciascun edificio l’appellativo di “stella” e Kawkaban vuol dire due stelle. Di sera alle antiche cisterne, tutt’ora in uso, ho incontrato le donne che facevano scorta dell’acqua per la famiglia e in un qualche modo ho conversato con loro.

A Zabid, seguendo la musica, ho visitato case da interni riccamente decorati in contrasto con le semplici strutture esterne. Il regista Pier Paolo Pasolini, per il fascino della città, negli anni ‘70 vi girò Il fiore de Le mille e una notte. Città anche di cultura: ha numerose biblioteche. Nell’università di Al-Asha uno studente mi ha raccontato che li fu inventato il sistema matematico chiamato Al Jabar, base attuale dell’algebra.

Nei pressi di Mokha, il porto da dove partì il primo carico di caffè yemenita verso le corti di Vienna e di Parigi, ho fatto un bagno nel Mar Rosso che ricordo caldissimo.

A Jiblah, città, da un grande passato storico che risale al 1.000 d.C., quando divenne capitale dello Yemen di allora, ho appreso che le grandi opere furono realizzate sotto il regno di due regine: Asma e Arwa.

Saada’a, vecchia capitale dello Yemen, è il luogo di nascita di un movimento islamico (quello degli Imam) sviluppatosi nel nono secolo. Differente dalle altre città yemenite: dei suoi palazzi solo le fondazioni sono fatte di pietra, mentre i muri sono costruiti con strati di argilla e paglia impastati.

A Ma’rib, dove sono custodite le antiche rovine della civiltà sabea, culla della civiltà araba-meridionale, ha trovato conferma, a seguito della scoperta della Grande Diga eretta nei sui pressi, l’esistenza della leggendaria Arabia felix, terra favolosa dai giardini lussureggianti e ricche coltivazioni.

La diga, di cui ancora è evidente la struttura, e una possente costruzione in pietra lunga oltre 700 metri e alta 35, grazie alla quale si potevano irrigare più di 1.500 ettari di terreni coltivati.

Durante i circa mille anni del suo utilizzo venne ricostruita più volte. Fra la metà del VI secolo d.C. e la morte di Maometto le chiuse della diga si ostruirono in modo irreparabile, decretando la fine della diga; un evento di cui parla il Corano, che lo cita come punizione verso i Sabei per aver rifiutato Allah.

A Ma’rib ho cercato le tracce legate al mistero che circonda la Regina di Saba che, se veramente è esistita, si dice che possa essere vissuta li, circondata dallo splendore di grandi templi e palazzi. Un ragazzino mi ha fatto da guida e mi ha condotto a visitare, a quattro chilometri da Ma’rib, le colonne (cinque pilastri e parte del sesto), che si ergono dal deserto e che facevano parte del tempio di Bar’an che, per la gente locale, è il tempio della regina di Saba. Su queste colonne, per divertimento nostro e per raggranellare qualche soldino, i ragazzini si arrampicavano con abilità.

Lo stesso ragazzino mi ha accompagnato di fronte ad un ingresso diroccato di un rudere ancora più diroccato e mi ha detto che quello era il nido d’amore della Regina di Saba e del re Salomone. Vero, o falso? A me è piaciuto crederlo e, a ricordo, mi sono fatta fotografare lì davanti.

“Sono figlio dei deserti e della poesia”, diceva il poeta arabo al-Mutannabi, nel X secolo, riferendosi allo Yemen.