La Mongolia è il Paese meno densamente popolato del mondo, senza sbocco al mare e con la concentrazione di animali da allevamento più alta del pianeta. Dei tre milioni di persone, che vi vivono attualmente, circa un milione sono pastori nomadi che allevano cammelli, ovini, cavalli, mucche e yak da cui ottengono, cibo, latte, vesti e utilizzano come mezzo di trasporto.

La religione predominante è il buddismo tibetano. La maggioranza dei cittadini è di etnia mongola. Sono tuttavia presenti etnie minoritarie, tra cui kazaki e Tuvani, soprattutto nella parte occidentale del Paese.

Il tempo si è fermato per molti di loro: vivono come i loro antenati, spostandosi al ritmo delle stagioni.

Sono stati divisi, in clan rivali, sino al 1206 d.C., quando un ragazzo di appena 20 anni, chiamato Temujin “il fabbro”, più noto come Genghis Khan “Signore universale” riuscì, con la sciabola o con la diplomazia, con il terrore o con la persuasione, a unificare le numerose popolazioni, creando l’Impero più vasto del mondo.

Il nipote Kublai Khan portò a compimento la conquista della Cina, ponendo fine alla dinastia Song e divenendo il capostipite della dinastia Yuan (1271-1368). l’Impero mongolo, in questo periodo, si estendeva dalla Corea all’Ungheria e, a Sud, fino al Vietnam.

Dopo la morte di Kublai Khan, avvenuta nel 1294, seguirono anni di declino segnati da guerre fra clan rivali che portò alla disgregazione dell’Impero. Il Paese divenne dominio della dinastia, che regnava sulla Cina e furono costituite due province cinesi: la Mongolia Esterna e Interna (oggi regione autonoma della Repubblica Popolare Cinese).

La storia della Mongolia moderna inizia con la caduta della dinastia cinese Manciù (1911), diventando un protettorato russo governato da una monarchia teocratica. Nel 1915 Mongolia, Cina e Russia firmarono il trattato di Kyakhta, che sanciva il riconoscimento di una limitata autonomia della Mongolia.

Nel 1919 la Cina, occupò la capitale. Nel luglio del 1921, il giovane ufficiale Sükhe-Bator (1893-1923) riunì intorno a sé l’opposizione nazionalista mongola e, alleandosi con i bolscevichi, riuscì a riconquistare la capitale Ulan Bator.

Lo stesso anno venne costituito il nuovo Partito Popolare Mongolo (il primo partito politico della storia della Mongolia) le cui milizie, sostenute dall’Armata Rossa, cacciarono dal Paese le residue truppe cinesi e quelle antibolsceviche. Il partito salì così al governo del Paese e, il 26 novembre 1924, fu proclamata la Repubblica Popolare di Mongolia, la seconda nazione comunista del mondo. L’indipendenza della repubblica popolare della Mongolia esterna, “Bughut Nairamdakh Mongol Arat Ulus”, è stata definitivamente sancita dal trattato Cino-Sovietico del 14 febbraio 1950.

Il mio viaggio alla scoperta della Mongolia Esterna è iniziato con una breve visita a Ulan Bator, “Eroe Rosso”. La città unisce in sé spazi moderni e antichi templi ed è la città più popolata di questo Paese. Le altre sono relativamente piccole e di scarsa importanza: constano di poche abitazioni, spesso in legno, e qualche negozio.

Nella capitale, per entrare nello spirito di questa terra e conoscere la sua storia, ho visitato il Museo di Storia e il Gandan Khiid, uno dei più importanti monasteri della Mongolia. Chiuso dai comunisti nel 1938 e riaperto nel 1943, il monastero era rimasto l'unico in funzione in tutta la Mongolia Popolare. All’interno spicca il Migjid Janraisig Süm, un magnifico edificio che contiene l’enorme statua di Migjid Janraisig, la divinità protettrice del Paese.

Lontano dalle città mi sono persa in paesaggi vari e sconfinati: dalle immense steppe spesso coperte di stelle alpine, al deserto del Gobi, “luogo senza acqua”. Il Gobi è una tavolozza di colori e paesaggi: dune di sabbia, montagne, pianure e steppe desertiche, punteggiate da oasi e laghi. Nasconde nelle sue viscere un giacimento di risorse minerarie. È anche il più grande cimitero di dinosauri del pianeta, portato alla luce, negli anni Venti, dall’esploratore Roy Chapman Andrews.

Ho interagito con la popolazione nomade, giocando con i bambini e scambiando sorrisi e piccoli regali con le donne. Ho ancora una collanina fatta con la pelle di yak.

Ho incrociato però più cavalli che esseri umani.

La simbiosi tra uomo e cavallo fa parte della cultura mongola. Nello stemma della Mongolia il cavallo è rappresentato alato, dalla forte simbologia sciamanica. Anche sul manico del khuur, il tradizionale strumento a due corde simile alla nostra viola, sono scolpite teste equine. Inoltre, nell’astrologia mongola l’anno del cavallo è considerato un anno di grandi soddisfazioni.

Ho goduto dell’ospitalità di questa gente fiera nelle loro gher, conosciute in Occidente con il nome di yurte. Le gher sono tende circolari di feltro che, fin dai tempi di Gengis Khan, vengono smontate velocemente e trasportate nelle transumanze stagionali dalle montagne, agli altipiani, alle steppe e viceversa, in precisi itinerari che tengono conto della presenza di pascoli e acqua.

Al loro centro è posta una stufa il cui fumo fuoriesce, tramite un tubo, per il toono: una finestra rotonda ubicata sul soffitto dalla quale è possibile ammirare le stelle. Vi si entra sempre con il piede destro scavalcando la soglia della porta, i familiari si dispongono sulla sinistra, gli ospiti sulla destra, e i padroni di casa al centro. Il fotografo statunitense Brian Hodges, che ha documentato la vita di pastori nomadi della Mongolia, riferendosi alla gher ha scritto:

C’è una tranquillità intrinseca nel vivere in una stanza rotonda: nessuno spazio è sprecato.

Riso, carne e formaggi salatissimi sono il cibo principale di questa popolazione che beve tanto “airag”, latte fermentato delle cavalle. Frutta e verdure sono merce rara. Il popolo mongolo è uno dei pochi al mondo che è, quasi esclusivamente, costituto da allevatori.

All’inizio ero un po’ titubante, poi ho mangiato, anche perché c’era poco altro, i Tsagaan, spuntini derivati da yogurt, formaggi e latte fermentato e la Suutei tsai la bevanda di tè nero e latte.

Ho imparato presto che tutti i cibi e le bevande dovevano essere presi con la mano destra e che tutto deve essere porto e accolto esclusivamente ai lati dei due pilastri centrali della gher che rappresentano il legame tra il cielo e la terra. A intendersi, non è stato un problema: gesti e parole essenziali, che ho imparato e subito dimenticato, sono stati il nostro mezzo di comunicazione.

Al tramonto nella steppa profumata di timo, al rientro degli uomini dalle battute di caccia, ho provato anche l’ebbrezza di montare a cavallo, quello discendente dai cavalli di Przewalskco. Conosciuti anche come pony della Mongolia, hanno contribuito molto al successo delle armate mongole. Nel deserto del Gobi sono salita sul cammello battriano dalla sella mongola, con vere e proprie staffe.

In questa terra di orizzonti senza confini, dominata da una luce quasi abbacinante, con cieli incredibilmente tersi, l'imponente castello granitico Ikh Gazariin Chulu ci ha indicato la direzione per raggiungere il deserto del Gobi, meta sempre da me sognata: uno dei più grandi e più inospitali al mondo, ma tappa della leggendaria Via della Seta. Il suo nome da secoli evoca immagini esotiche di carovane, che attraversano terre lontane, profumi di spezie e merci preziose e affascina i viaggiatori.

La spiritualità, che connota ogni momento della vita mongola, l’ho percepita nella visita dei monasteri buddisti lamaisti. In modo particolare in quello di Erdene Zuu, che è stato il primo e il più grande centro buddista della Mongolia. Al suo interno è possibile osservare una preziosa collezione di opere d’arte, tra le quali si annoverano i lavori di Zanabazar, primo leader del buddismo mongolo e sculture in oro e bronzo. Con le sue imponenti mura di cinta dai 108 stupa è stato costruito nel XVI secolo sulle rovine di Karakorum. La città, fondata da Gengis Khan, è diventata capitale dell’impero mongolo sotto il figlio Ogedei.

I tre templi, sopravvissuti (sul centinaio delle origini) alle distruzioni, ricordano le tre epoche del Buddha: l’infanzia, l’adolescenza e la stagione adulta. All’interno vi sono statue e simboli religiosi.

Della mitica città di Gengis Khan restano solo due enormi tartarughe di pietra, delle quattro che segnavano i punti cardinali.

Nel monastero di Amarbayasgalant, al richiamo della tromba suonata da un monaco, ho partecipato a una suggestiva cerimonia. Noto come il “monastero della tranquilla felicità” è considerato uno dei più belli del Paese. L'edificio ha un insieme di stili: dominante è quello cinese con influenze mongole e tibetane.

Nel Sud del Paese, non poteva mancare la visita alla suggestiva Valle del Yol o delle Aquile che è una gola molto stretta e rocciosa. Si estende per circa duemilacinquecento metri in altitudine in una varietà di canyon. È caratterizzata da un fenomeno naturale alquanto particolare. Durante l'inverno, il vento provoca la formazione di uno strato di ghiaccio all'interno della gola. Questo ghiaccio, spesso diversi metri e lungo fino a dieci chilometri, per secoli non si scioglieva nemmeno durante i mesi più caldi. Con l'aumento delle temperature globali, in estate, il ghiaccio tende oramai a sciogliersi rivelando una flora sottostante incredibile.

La Valle delle aquile è anche dedicata al famosissimo Festival delle aquile che si tiene ogni anno durante la prima settimana di ottobre.