Lo Xinjiang-Uygur Zizhiqu, “nuovo paese di frontiera”, è la più occidentale regione della Repubblica Popolare Cinese. Diventata regione autonoma dal 1955 è abitata in prevalenza dagli Uiguri.

Nel 1912, dopo 2.500 anni di susseguirsi di imperi, è crollata la dinastia Qing che aveva preso il sopravvento sulla confederazione tribale che governava il Territorio sotto l’aristocrazia uigura. Allora è stata fondata la Repubblica di Cina che non riuscì a garantire stabilità al Paese. Nel 1944 è stata creata la Repubblica del Turkestan Orientale, un puppet state sovietico che sopravvisse fino al 1949, quando al termine della guerra civile, fu incorporata nella neonata Repubblica Popolare Cinese di Mao Zedong.

L’annessione non fu mai del tutto accettata dagli Uiguri, soprattutto dopo che kirghizi, kazaki, uzbeki e tagiki (abitanti del cosiddetto Turkestan occidentale), a seguito della disgregazione dell’URSS, ottennero l’indipendenza. Gli Uiguri ancora oggi considerano il nome Xinjiang offensivo e preferiscono ad esso Turkestan orientale.

Il viaggio nello Xinjiang mi ha fatto rivivere atmosfere antiche e affascinanti di quando era un importante crocevia commerciale lungo la leggendaria Via della Seta. Atmosfere che, nell’adolescenza, avevo trovato nelle letture, soprattutto de Il Milione e mi avevano fatto sognare e da grande ho voluto conoscere.

L’incontro con la sua popolazione uigura, uno dei cinquantasei gruppi etnici riconosciuti in Cina (Han, Kazaki, kirghisi, Tagiki e Mongoli), mi ha fatto scoprire un mondo unico, in netta contrapposizione e contrasto con quello dello Stato di appartenenza.

Gli Uiguri, dai tratti somatici simili a quelli delle popolazioni dell’Asia Centrale, con le quali condividono anche le tradizioni culturali, la confessione religiosa (Islam sunnita) e la lingua turcofona sono, infatti, ben distinti dagli appartenenti all’etnia maggioritaria della Cina, quella Han.

Si suppone che abbiano avuto origine dai Gaoche, antiche tribù nomadi altaiche provenienti dalle terre che si estendono dal Nord del fiume Enisey fino all’area a Sud del lago Baikal: attuali Russia e Mongolia.

La leggenda vuole che esse discendano dall’unione carnale di un uomo e una lupa, la quale trovò riparo tra le montagne vicine a Turpan e diede alla luce dieci figli maschi, metà uomini e metà lupi. Uno dei discendenti sposò un’umana, ed insieme diedero i natali agli antenati dei Gaoche.

Gli Uighuri si sono poi mescolati con le popolazioni indoeuropee, precedentemente insediate. La loro cultura e le loro tradizioni sono estremamente forti e radicate. Il Muqam, genere musicale prestigioso, è stato nominato nel 2005 “Patrimonio orale e intangibile dell’Umanità” dall’UNESCO.

Le svettanti cime del Tien Shan, le steppe, il deserto di Taklamakan, i mercati colorati e le cittadine vivaci mi hanno accompagnato alla scoperta dello Xinjiang e della sua popolazione.

La capitale Urumqi, "bel pascolo" in mongolo, è stata la porta d’ingresso del viaggio in questa regione. Situata a piedi del versante nord dei monti Tian Shan, oltre a essere la città più grande della Cina occidentale, detiene il record della città più continentale al mondo (il mare dista circa 2500 km).

Da Urumqi, centro nevralgico del Xinjiang, siamo arrivati ai piedi del picco Bogda, una cima innevata della catena dei monti Tian Shan. La neve lo ricopre tutto l’anno e le nuvole ne incorniciano la cima. Sul suo pendio c’è il lago Tiance, noto come "perla celeste” che abbiamo raggiunto dopo diverse ore di cavallo. Il panorama ed il blu intenso del lago hanno riempito gli occhi e fatto dimenticare la fatica.

Secondo una leggenda nel lago si bagnava una Regina, capo di una tribù matriarcale locale, mentre i due laghetti, ai piedi del monte, erano i suoi catini per il pediluvio. Ho visto solo una bimbetta che, al tramonto, faceva vestita il pediluvio in un catino e aveva le guance rosse rosse dal freddo.

Sempre da Urumqi abbiamo raggiuto Turfan, un’oasi nel deserto, antica sede della Via della Seta. Situata in una depressione. È il secondo punto più basso della terra. È una tipica cittadina uigura, anche se ha subito influenze di tante civiltà che hanno lasciato una serie di testimonianze nei paesaggi vicini.

A Turfan abbiamo visitato il Museo Idrico dedicato alla presentazione del funzionamento del sistema karez, “pozzo” nella lingua uigura, che è costituito da un canale sotterraneo in leggera pendenza per trasportare l'acqua dalla falda acquifera alla superficie.

I karez furono un’importante invenzione per vincere l’arido ed ostile deserto di Taklamakan e Turfan deve la sua prosperità proprio all’acqua fornita dai tali pozzi. Non per niente è il "cestino di frutta" della Cina per l’abbondanza di frutta fresca e secca, vino e noci che produce. Circa 80 % delle uve passe della Cina viene realizzato proprio lì. È stato interessate vedere come vengano seccate all’aria, in costruzioni traforate, così che il clima caldo e secco le rendono dolci.

Le piante che adornano le strade sono spesso viti e grappoli dolci ci hanno dissetato nel nostro camminare per la città.

Nelle sue vicinanze abbiamo salito grandi dune di sabbia; visitato, lungo l’antica Via della Seta, il Minareto Emin costruito, nel 1778 con la moschea, vicino all'antica capitale uigura di Gaochang. Nel minareto, come in gran parte delle opere islamiche dello Xinjiang, si nota una commistione di elementi islamici tradizionali con edilizie uigure di carattere locale.

Le rovine di Gaochang si trovavano a 50 km a Est dal centro di Turpan. La città, costruita intorno al I secolo a.C., fu distrutta dai mongoli. Le rovine hanno una superficie di oltre 3 km quadrati e le mura della città un’estensione per oltre 5 km.

Una visita di particolare interesse è stata quella alle Grotte dei “Mille Buddha, una serie di caverne, scavate nella pietra e decorate con murales raffiguranti il Buddha, come anche, al tramonto, quella alle Montagne Fiammeggianti, “Huoyan Shan”, colline, di arenaria rossa, spoglie ed erose.

Raggiuta Kashgar, antica città carovaniera situata ai piedi delle catene montuose del Pamir e del Karakorum, i suoi siti storici, la moltitudine delle persone di etnie e costumi diversi, mi hanno catapultato indietro di secoli.

Quasi all’alba, per assistere al suo formarsi, ci siamo recati, su un “taxi” locale (un carrettino traballante, trainato da un asinello), al Grand Bazaar aperto tutti i giorni e al Mahl bazaar, il caratteristico mercato del bestiame che ogni domenica, da oltre 1500 anni, anima la parte Est della città.

Già citato da Marco Polo ne Il Milione, è il più importante mercato dell’Asia centrale e richiama genti diverse che si distinguono, sia uomini che donne, dalla foggia del copricapo: pastori tagiki, kazaki dai nasi aquilini, ragazze uzbeke dagli occhi verdi, come al tempo delle carovaniere che venivano dall’Ovest e dall’Est.

Un turbinio di persone, di colori, suoni e profumi ci ha avvolti. Al suono di “posh, posh”, i carrettieri si facevano strada tra la folla ed era un’impresa evitarli. Nel Grand Bazaar c’è di tutto, si vende e si compra di tutto. Io ho comprato un tappeto kazako che fa bella mostra nella mia casa.

I chioschi che vendono stoffe, tappeti e le immancabili spezie, sono particolarmente belli e riccamente colorati. Gli artigiani fanno di tutto e di più: culle, selle, scope, ceste. C’è il dentista che ha un’insegna un po’ terrificante. Le cucine sono all’aperto. Abbiamo mangiato sotto un tendone, seduti su sgabelli. Non ho potuto fare a meno di non mangiare i “lamian”, spaghetti fatti a mano con carne di montone, cipolle e peperoni.

La giornata è terminata con la visita della moschea Id Kah. È la più grande della Cina e può ospitare ventimila persone.

Nel vicino villaggio di Hanhao abbiamo visitato il mausoleo Abakh Hoja, tomba del santo sufi del XVII secolo e della sua famiglia. L’edificio, dalle maioliche e piastrelle smaltate verdi e gialle, con maestoso corpo centrale e quattro minareti che si stagliano dagli angoli nel cielo azzurro, è un capolavoro di architettura uigura. Uno dei suoi 57 sarcofagi appartiene alla figlia dell’ultimo Hoja chiamata Xiang Fei “principessa fragrante” che secondo la leggenda aveva un soave profumo naturale ed è stata l’unica concubina uigura tra le 41 mogli dell’imperatore Qianlong della dinastia Qing.

Percorrendo un tratto della mitica Karakorum Highway, che è la strada asfaltata internazionale più alta del mondo e si snoda tra le alture del Pamir, abbiamo raggiunto sul tetto del mondo, il lago salato Karakul “lago nero”.

I colori delle sue acque, che cambiano durante il giorno - dei momenti sono turchesi, altri color smeraldo, oppure blu cobalto - le altissime montagne che vi si riflettono, le yurte, gli yak, i cammelli, creano uno scenario idilliaco.
Non solo abbiamo avuto la fortuna di godere, in una splendida giornata, delle bellezze naturali della zona, ma anche di conoscere meglio la vita della gente locale e la loro cultura. Siamo venuti in contatto con dei pastori nomadi e abbiamo mangiato con loro del saporito montone e dormito, io con la nonna Kazaka, nelle loro yurte avvolti da soffici piumoni di seta.

Sono passati un po’ di anni, nel cuore ho un ricordo indelebile di questo viaggio fatto di incontri, di paesaggi straordinari e culture antiche e sono molto triste nel leggere che il governo cinese perseguiti la popolazione musulmana dello Xinjiang e voglia sradicarne fede e cultura e le scuole di “formazione professionale" non sono altro che campi di internamento.