La lettura di Orizzonte perduto, romanzo fantastico di James Hilton, mi ha stimolato la ricerca del mio Shangri-La, luogo dai meravigliosi paesaggi dove il tempo si è fermato, così come descritto nel romanzo.

In un viaggio di alcuni anni fa l’ho trovato: il Ladakh.

Conosciuto come “Piccolo Tibet”, rimasto in territorio indiano per ragioni politiche, conserva il buddismo tibetano (Sakyapa o setta dei Cappelli Rossi) che i cinesi stanno facendo scomparire dal Tibet, così come l’antica cultura tibetana. È notizia recente che la Cina ha ordinato di togliere le bandiere di preghiera tibetane in tutta la regione.

Incastonato fra quattro grandi catene montuose: Great Himalaya, Zanskar, Ladakh e Karakorum, il Ladakh si trova all’estremità occidentale della regione di Jammu & Kashmir, nella remota regione dell’Altopiano Tibetano, dove una popolazione di monaci e pastori tramanda antiche tradizioni spirituali e culturali. Il capoluogo è Leh, una colorata cittadina, che sorge su di un vasto altipiano a 3.500 metri.

È un territorio mistico e silenzioso, tipico del paesaggio d’alta quota, dove vasti altopiani si alternano a cime innevate e gole impervie. Ha piccoli villaggi abitati da una scarsa popolazione che vive in comunità dedite all’agricoltura e all’allevamento e mantiene tradizioni secolari.

Monasteri fortificati, i gompa, sono arroccati sui crinali delle sue montagne e risuonano dell’antico mantra: “Om Mani Padme Hum” che si trova anche riprodotto sulle pietre o sulle rocce di mani.

Chörten, nome tibetano degli stupa dalla caratteristica forma a bulbo, svettano nei suoi cieli di un blu intenso e lunghe file di bandiere di preghiera colorate li adornano.

Ruote delle preghiere sono onnipresenti, anche nei torrenti. All’interno vi è arrotolato un mantra e farle rotare, secondo il buddismo, porta benefici a tutti gli esseri viventi.

Raggiungere Leh è stata una vera ed emozionante avventura.

Da Srinagar (capitale estiva della regione di Jammu & Kashmir ) con un taxi sono arrivata a Sonamarg e sono stata subito colpita dalla bellezza delle sue montagne innevate e delle verdi valli che la circondano.

Trascorsa la notte nello spartano Himalaya Camp, al mattino alle prime luci dell’alba, mi sono messa in cammino per assistere al pellegrinaggio annuale di Shrawan Purnima: migliaia di pellegrini, guidati da saddhu, si recano alla grotta sacra di Amarnath.

La grotta si trova a circa 3.880 metri di altezza ed è uno dei santuari più sacri dell'induismo dedicato a Shiva, dio della distruzione e della rigenerazione. Nel suo interno vi è una stalattite considerata dai fedeli un lingam (segno) di Shiva.

Il pellegrinaggio è faticoso e rischioso. I devoti, molti anche portati in barelle, devono inerpicarsi lungo sentieri molto ripidi, attraversare ruscelli gelati e laghi ghiacciati e la grotta si trova nella regione indipendentista del Kashmir, a maggioranza musulmana. Per alcuni anni è stato sospeso per ragioni di sicurezza.

Ritornata a Sonamarg, a notte inoltrata, saremmo dovuti partire per Leh il giorno dopo. Invece, per le avverse condizioni del meteo, la strada era stata interrotta da frane e abbiamo dovuto aspettare due giorni prima di affrontare la Tangajari road.

Abbiamo così avuto l’occasione di avvicinare le persone che ritornavano del pellegrinaggio e mangiare con loro, nei tipici e affollati ristorantini, il mantou.

La Tangajari road, che unisce Srinagar a Leh, è una strada di grande importanza del Nord dell’India che, dopo il Zoji La, passo a 3.850 metri, prendeva il soprannome di Beacon Highway e costeggia il confine con la Cina e il Pakistan. Attualmente, sotto il passo, è in fase di costruzione un tunnel lungo 14 km che garantirà il percorso stradale per tutto l'anno tra Srinagar e Kargil.

Partiti infine, abbiamo affrontato questa strada emozionante. Ancora mi ritornano in mente le immagini magnifiche e terribili dei suoi abissi illuminati dalla luna piena.

Più volte siamo dovuti scendere per aiutare l’autista del pullman a spostare i massi caduti dalla montagna in mezzo la strada. Per fortuna era poco trafficata perché, quando capitava di incrociare dei mezzi militari, il suo ciglio veniva sfiorato e, nella valle, l’Indo appariva minaccioso, come i relitti delle auto.

Il viaggio per raggiungere Leh richiedeva dalle 16 alle 20 ore. Superata Dras, centro turistico per i suoi percorsi di trekking ad alta quota, abbiamo deciso di spezzarlo con una sosta a Kargil. Dopo Leh è la città più grande del Ladakh.

Si trova nel fertile bacino della Suru Valley. Qui abbiamo mangiato le albicocche più dolci e profumate del mondo.

A Mulbekh, il bellissimo bassorilievo di Maitreya-Buddha, Buddha del Futuro, alto circa 9 metri e risalente ad oltre un millennio, sottolinea il passaggio dal Kashmir musulmano al Ladakh buddhista. Per la prima volta abbiamo visto le case imbiancate a calce e la ruota delle preghiere.

La strada sale poi fino al secondo dei tre alti passi da superare per Leh: il Namika La a 3.700 metri. Il Fotu La, a 4.100 metri, è il terzo.

Sugli alti passi sventolano, su tumuli di pietre, le coloratissime bandiere delle preghiere su cui sono stampati diversi mantra. Sono fatte per consumarsi con il tempo, a simboleggiare che la vita non è eterna, che nulla è stabile e tutto può cambiare.

Superato il villaggio di Bodh Kharbu e scavalcato il Fotu La, punto più alto della strada Srinagar-Leh, abbiamo affrontato, per giungere a Lamayuru, un gruppo di strade tortuose e folli: le curve jalebi.

A Lamayuru, chiamata la "terra della luna" perché situata in un paesaggio eroso dal vento con gole multicolori, abbiamo visitato il complesso monastico più grande e antico (edificato nell'XI secolo) di tradizione tibetana sul suolo indiano.

Nel cortile del monastero siamo entrati in contatto con una famiglia di operai che stavano procedendo al suo restauro e che ha condiviso con noi sorrisi e un pranzo frugale. Un gruppo di pellegrini, che scendevano saltellanti dall’altura, ci hanno accolto con il tipico saluto julè julè: una parola semplice di accoglienza.

Arrivati a Leh, ormai acclimatati all’altitudine, ci siamo persi tra le sue incantevoli stradine e ammirato le piccole botteghe che esponevano, tra i tanti oggetti, thangka e mandala da i colori vivaci e monili d’argento con coralli e turchesi.

Nei giorni della nostra permanenza, siamo andati a scoprire le bellezze di questo luogo magico e dei suoi dintorni, dove si respira silenzio e profonda spiritualità.

Nella periferica campagna, coltivata a orzo e con case di mattoni di fango, il tempo sembra essersi fermato.

Nei ristorantini all’aperto abbiamo gustato dell’ottimo cibo.

Abbiamo visitato il monastero di Shankar con i suoi affreschi, il Palazzo Reale, dello stesso stile del Palazzo Potala in Tibet, e che è stato residenza della famiglia reale del Ladakh prima dell'esilio del 1830.

Nel monastero di Namgyal Tsemo abbiamo ammirato la statua in oro a tre piani del Buddha Maitreya e gli antichi manoscritti e affreschi. Abbiamo osservato il panorama di Leh dal monastero di Stok che è palazzo della famiglia reale in esilio. La visita al monastero di Hemis, ad Est di Leh, non poteva mancare. È il più importante della regione ed è noto per il festival religioso che si svolge ogni anno nel mese di giugno. Il monastero di Thiksey, a diciotto chilometri da Leh, ci ha colpito per la sua grandezza e per il gran numero di monaci e di giovani aspiranti monaci. Quest’ultimi, distratti dalla nostra presenza, erano poco concentrati durante la funzione e venivano redarguiti dai monaci che ci hanno offerto il bò cha, tè al burro di yak.

Ho visto nei villaggi uomini, donne e bambini vestire la goncha, lungo vestito tradizionale di panno pesante tessuto in casa.

Ho ammirato i gioielli e i copricapi delle donne, i lunghi perak, impreziositi da turchesi e coralli. È la "dote"che la ragazza riceve dalla madre e lo trasmetterà alla figlia, arricchendolo di altre preziose pietre, avendone la possibilità.

Ricordo con piacere il soggiorno a Leh che è fuori dal tempo, ma quello che mi è rimasto maggiormente nel cuore è il viaggio lungo la Tangajari road. È stato tutta una scoperta e un’emozione e non posso che essere d’accordo con il detto che a volte "Il viaggio è più importante della destinazione".

Sono contenta di non aver raggiunto Leh in aereo.