Mi sono fermato nei centri più vitali di questo tormentato Paese che, dopo la caduta del florido impero Khmer, divenne protettorato francese e in seguito subì il coinvolgimento nel conflitto vietnamita che sfociò nel regime di terrore dei Khmer rossi. Dal 1993 il Regno di Cambogia è una monarchia parlamentare indipendente basata su un sistema democratico multipartitico. Presa di mira ora, grazie al suo regime finanziario aperto e liberale, da massicci investimenti esteri che rischiano ancora una volta di stravolgere l’assetto politico, sociale ed economico del Paese.

Affascinato dai magnifici templi di Angkor, già ampiamente descritti da innumerevoli autori, ho rivisto i punti salienti della Phom Penh visitata nel 1969, quando c’era la guerra; rimango sconvolto dai lager di Pol Pot e deluso dal cantiere a cielo aperto di Sihanouville, località rivierasca monopolizzata dai cinesi. Ma è stata Koh Kong, la piccola città di frontiera che, nell’attesa del visto tailandese, percepivo come una perdita di tempo, a ricondurmi al presente di una Cambogia ricca di poesia e in cui mi sono sentito coinvolto più che altrove.

È il periodo del capodanno cinese e tutti gli hotel sono al completo, tuttavia trovo alloggio alla Paddy’s Bamboo Guesthouse, in assoluto la più spartana e sudicia sistemazione in città. Luogo fatiscente ma vitale, in cui si radunano altri viaggiatori coi quali è facile socializzare, scambiare informazioni e fare gruppo a seconda dell’energia che ci si trasmette. Sovente si creano intense complicità “amicali” che possono durare ore o giorni. Con lo spagnolo Enrique Porras, 58enne politicizzato in giro da otto mesi, la tedesca Natalie, 25enne insegnante di yoga, ed il francese Julien, 39enne d’origine siciliana che ha vissuto due anni a Phuket, perlustriamo per giorni ogni angolo di questa assolata e assonnata cittadina di provincia situata alla foce del Koh Pao River. Le città di frontiera non hanno mai un’identità ben definita. Il luogo più frequentato dagli occidentali è il Ritthy’s Retreat, affacciato sul mercato del porto, con poltrone in vimini ed atmosfera coloniale, ma noi preferiamo consumare al Fat’s Sam sulla rotatoria centrale, gestito da un garbato inglese non più giovanissimo. Tra i tavoli, specie alla mattina, gira sempre una marea di bambini di tutte le età. Sono i figli della moglie cambogiana, della cameriera e della cuoca, tutti assieme. Tutti ci giocano con grazia e traspare un bellissimo rapporto tra adulti e bambini, molto tenero e sereno. Seduti guardando la strada non possiamo che essere attratti dalle motorette stracariche, spesso con due adulti e tre pargoli pigiati a sandwich, alcuni anche di pochi mesi o giorni, ma ci colpisce soprattutto la marea di ragazzini di entrambi i sessi che guidano disinvolti lo scooter tra il traffico. Quasi sempre in due o anche in tre, perlopiù studenti di 8-12 anni, in uniforme scolastica e zainetto. Questa dei baby scooteristi è una novità per me, mai vista prima. La motoretta usata come una bicicletta. Ovviamente credo non abbiano alcun tipo di patente e neppure di assicurazione.

Qualche risposta la trovo al molo nella persona di Mitja, un navigato sloveno di Capodistria che da nove anni abita in Cambogia. Un paio di birre e non smette più di parlare, spiegandomi che tre anni fa il governo ha varato una legge che consente ai giovanissimi di muoversi senza patente e assicurazione, su motorini con una potenza fino a 125 cc. In caso di incidente sarà il poliziotto o il vigile urbano di turno a stabilire chi ha torto o ragione ed a fissare la somma del rimborso di volta in volta, in base al danno subito ed anche alle possibilità economiche dei due contendenti. In pratica le parti in causa contrattano sul posto col vigile che fa da giudice e da paciere in cambio di un piccolo ma doveroso contributo in denaro. Per lo straniero è diverso. Anche se ha completa ragione è sempre lui che deve comunque pagare. Se rifiuta, il passaporto e lo scooter vengono sequestrati nell’attesa del processo col giudice e questo vuol dire restare in Cambogia per settimane e al contempo pagare il noleggio del mezzo per tutto il periodo. In tal caso diventa decisamente più conveniente cedere al ricatto, fare una donazione “volontaria” e sistemare la cosa sul posto. Essendo sia il giudizio della polizia che il modo di guidare dei locali decisamente “creativo”, chi noleggia una moto sa bene che lo fa a proprio rischio e pericolo.

Ancora una birra e Mitja diventa come un fiume in piena, mi racconta dei salari, degli affitti, delle tasse, delle donne e quant’altro, ma è il semplice dettaglio sul carattere dei nativi che spiega bene il piacere del vivere alla giornata, comune in molti paesi del terzo mondo: “Se per vivere un cambogiano ha bisogno di 10 dollari al giorno e a mezzogiorno li ha già incassati, non continua a lavorare ma corre subito a casa a riposare e guardare la tv in relax. Se un guasto gli blocca il lavoro va a casa a dormire... per tornare a lavorare quando ha bisogno di soldi. Vivono il presente e il futuro se lo inventano giorno per giorno. Insomma, non hanno l’ossessione del domani e del tempo come abbiamo noi”. Hanno semplicemente altre priorità.

Mitja passa poi a porre l’accento sulla stratificazione sociale: “In Cambogia, come in Thailandia, gli appartenenti alla high class sono molto elitari, usano un loro linguaggio esclusivo, non si fanno vedere in giro e non parlano con la gente delle classi inferiori, neppure con gli stranieri, tutti gli altri per loro sono un nulla. Qui, dove siamo ora, la gente del mercato appartiene ovviamente alla low class, per accedere alla middle class devono accettare certe condizioni, vestire in modo appropriato, essere educati e benestanti ed avere amici che li introducono, ma non è mai facile passare da una classe all’altra. Anche le scuole sono divise per classi sociali dello stesso livello”.

In quella Cambogia, straziata dalla guerra nei giorni più bui, ora vedo mega Casinò stile Las Vegas che contrastano con un tessuto sociale tanto misero. “Per gioco e turismo”, spiega Mitja, “grazie agli incentivi governativi, gli investimenti esteri sono enormi, ma per altri settori c’è ancora molta diffidenza: La corruzione, la scarsità di mano d’opera qualificata, le infrastrutture inadeguate e molto altro contribuiscono ad ostacolare gli investimenti”. Tuttavia, anche qui la Cina la fa da padrona e sta guadagnando sempre più spazio all’interno della scena economica del Paese, per garantirsi un ruolo geopolitico e strategico in questa parte del continente asiatico. La Cina non ha rivali. Se Europa e USA impongono condizioni di rispetto per i diritti umani e la democrazia, la Cina non è così invasiva nella politica locale, almeno ufficialmente, dando ovviamente priorità agli affari.

È ormai ora del pranzo, Mitja deve andare e nel salutarci fa un gradito apprezzamento che, anche se è ormai ubriaco, voglio ricordare: “Penso tu sia la persona giusta per descrivere questa gente perché sai ascoltare, conosci il rispetto e non parli per insegnare ma vuoi capire per imparare”. È la foto del momento, anche se ciò che vediamo non è sempre quello che è, ma solo quello che appare.

Dietro al mercato, sotto ad un capanno sul mare, mi fermo divertito ad osservare la tavolata di donne che giocano a carte con pacchi di banconote, subito si imbarazzano per la mia presenza ma in breve cominciamo a scherzare e si fanno anche fotografare. Le donne soprattutto, come in Myanmar e in gran parte del Sud-Est Asiatico, adorano giocare denaro in qualsiasi modo. Pochi minuti e due bambine sui nove o dieci anni e sullo stesso scooter si fermano davanti a noi perché rimaste senza benzina. Il giovane del banchetto che vende frutta, senza esitare, gli offre la sua moto ed una bottiglia di plastica per andare a fare benzina al distributore. Tornano, versano la benzina e se ne vanno felici e contente in massima autonomia. Pochi passi e, per restare in tema, in fondo al pontile noto un bambino sui cinque anni, tutto solo, con la lenza attaccata ad un bastoncino che sta pescando muovendosi disinvolto sul ciglio del molo in cemento senza che alcun genitore o adulto si preoccupi per lui.

Allora la mente mi porta a quei bambini al confine tra Thailandia e Malaysia che per non pagare il biglietto del treno, mentre il controllore avanzava di carrozza in carrozza loro, con il treno leggermente in movimento, salivano sul tetto del vagone e scendevano nella carrozza già controllata, in pratica gli passavano sulla testa nel senso inverso. Oppure quelle due bambine sulla nave nelle Filippine che stavano chine a prua per vedere le onde infrangersi sulla nave che ondeggiava. Ma anche la bambina di 7-8 anni in Madagascar, che teneva in braccio un bimbetto di circa 3 anni e dietro uno di 4 anni che la seguiva. Ferma un tuk-tuk, spiega al driver dove deve andare, contratta il prezzo, dice poi al fratellino di seguirla e salgono. Una scena che rivela la necessità dei bambini di arrangiarsi.

E via di seguito con mille e più visioni della marea di bambini scalzi e seminudi che, dovunque, giocano liberi e si divertono come pazzi. Sono certamente molto poveri, ma sempre sorridenti, come noi non riusciamo più ad esserlo. Hanno lo sguardo negli occhi di chi vive appieno la propria età. E provo una sorta di ammirazione, e invidia, perché aldilà di tanti dubbi e ragioni sui temi della qualità della vita infantile, questi bambini crescono autonomi e indipendenti, forti e sicuri di sé. Ritorno per un attimo alla mia infanzia, punteggiata di scontri e confronti veri, sul campo, priva della protezione dei genitori di cui avvertivo una sana non ingerenza. È vero che magari su qualche migliaio di bambini forse uno cade in acqua rischiando la vita, ma è solo così che si superano i propri limiti e le proprie paure. Siamo di nuovo tutti a cenare al Fat’s Sam, con cremosi noodle alle verdure, squisiti. Sembriamo quattro fanciulli che si divertono ad ipotizzare ideologie fantastiche e ciò che ci unisce pare essere proprio il livello di infantilismo acuto e cronico che ci accomuna. In particolare Julien, quando sostiene con forza che bisognerebbe mettere in galera tutti quelli che usano Cocacola e Facebook. Appaiono dal nulla e si uniscono al nostro tavolo due rarità, ovvero due quarantenni italiane incontratesi a Koh Kong che viaggiano sole. Difficile incontrare italiani in generale, specie fuori dai circuiti turistici, e tantomeno donne italiane che girano da sole. Si tratta di Claudia, esuberante marchigiana che viaggia per diletto, e la calabrese Rosaria, che ogni anno va in Thailandia per rifornire i suoi tre negozi d’abbigliamento a Rimini e, in questa occasione, ha ampliato il viaggio per dare un’occhiata alla Cambogia. Questo è il momento per affrontare un altro argomento che mi sta particolarmente a cuore. Il mondo è pieno di giovani viaggiatori di tante nazionalità che vivono momenti importanti per la loro formazione, ma di italiani se ne vedono pochissimi. Cosa che vivo con disagio. Quei pochi sono perlopiù ingessati in abiti firmati poco in sintonia con la libertà di spirito che richiede questo genere di esperienza e davvero provo fastidio nel vederli così, perché penso che siano più interessati a farsi notare che a conoscere e capire. Allora la mente mi riporta indietro nel tempo e vedo che poco o nulla è cambiato. Ripenso al viaggio sulla Transmongolica, col treno carico di seicento stranieri in viaggio da Pechino a Mosca, entusiasti. Unici italiani, la mia ragazza ed io. Penso alla giovane tedesca in bicicletta, incontrata nell’estremo nord dell’Alaska o ai due anziani francesi che discendevano lo Yucon in canoa per duemila chilometri, ma anche al canadese in bicicletta in Siberia o ai due ragazzini australiani che si divertivano a far girare i pedali dall’Asia centrale al Nepal e via di seguito, con mille e più esempi di sana libertà che mi riempiono la mente. E’ un momento unico nella storia del nostro pianeta, per la straordinaria libertà di movimento concesso (solo pochi decenni fa occorreva il visto anche per andare in Svizzera), aiutati da un’elettronica che ti permette di non perderti e rinunciarvi vuol dire perdere l’opportunità di esplorare e gioire di questo magnifico labirinto terrestre e delle variegate ed innumerevoli popolazioni che lo abitano. A breve, quella pandemia venuta dalla Cina che sta mostrando quanto sia vulnerabile la libertà di movimento, introducendo nuove paure e nuovi limiti, sarà solo un ricordo. Dunque, da questo sperduto avamposto cambogiano, il mio monito ai giovani pavidi o indifferenti, oggi più che mai, è questo: ”Vivete, andate oltre il conosciuto, esplorate mondi e umanità, con passione, gioia e rispetto per le culture altre e per gli habitat, cogliete l’attimo fuggente! Perché, dopo, potrebbe essere troppo tardi; la vita è una sola e irripetibile!”