Sono sempre stata un’appassionata di antropologia e così, trovandomi in Tailandia, ho deciso di andare a esplorare il nord e visitare le tribù collinari. Da Bangkok si prende un volo interno per Chiang Mai, una città nota per la produzione artigianale. Avevo cercato un albergo su internet e le foto di quello che avevo trovato m’ispiravano. L’albergo si chiamava Sukantara che in Thai significa “cascata” proprio perché l’albergo era dotato di piccoli bungalow che si affacciavano su una cascata.
Sembrava bello dalle foto, ma le parole non possono descrivere il paradiso che mi sono trovata davanti arrivandoci. Si trovava in mezzo alla giungla, e dico giungla vera, il giorno prima del mio arrivo due cobra reali avevano lottato proprio davanti ai bungalow. L’aria era verde per la fitta vegetazione. Liane che si attorcigliavano ovunque, il costante rumore dell’acqua della cascata, il canto degli uccelli e il calore del sole che mi riscaldava (non è sempre caldo qui perché si trova a 1000 metri, soprattutto di notte), era come stare in un paradiso terrestre. Una coppia di pavoni che amoreggiava lungo le rive del fiume.
Un giorno l’ho dedicato all’esplorazione del posto, facendo una lunga passeggiata nella giungla in groppa a un elefante. Viaggiare in elefante è piuttosto comodo, ma molto, molto lento. L’elefante mangia circa 400 kg di cibo al giorno, quindi fa un passo e mangia. Tuttavia sono degli animali molto gentili e docili, fortunatamente. Abbiamo guadato un fiume, dove il mio elefante ha deciso di rinfrescarci succhiando un bel po’ d’acqua nella proboscide e riversandocela addosso a mo’ di doccia. E’ stato piuttosto divertente, ma la cosa più carina è stata alla fine del giro, quando volevo dargli una banana per ringraziarlo del passaggio. Stavo sistemando la macchina fotografica e quindi non sapendo dove poggiare la banana l’avevo momentaneamente messa in bocca, quando l’elefante goloso me l’ha rubata! Per tornare a Chiang Mai dalla giungla, ho preso una zattera con un simpatico omino che m’illustrava lo scenario dicendomi i nomi delle piante. Siamo scesi lungo il fiume, lasciandoci trasportare dalla corrente, ogni tanto indirizzando la zattera grazie ad un lungo palo. La giungla era splendida, e la condensa creava una leggera foschia, facendo apparire il tutto surreale.
Chiang Mai e tutto il nord della Tailandia al confine con la Birmania e il Laos, si trova in quell’aria di terra nominata il “triangolo d’oro”, per via della produzione dell’oppio, di cui si occupavano principalmente proprio le tribù collinari, che erano per lo più genti nomade. Il re, negli anni ’70, ha cambiato politica aiutandoli a coltivare altro, cercando di eliminare la produzione dell’oppio, e molte di queste tribù si sono stanziate. E’ possibile visitarle, e aiutare la gente economicamente comprando i prodotti artigianali. Per apprezzare a pieno la vita tribale, è necessario spingersi ancora più a nord, nella regione di Mae Hong Song, vicina al confine birmano. In questi villaggi, oltre alle tribù tailandesi, si trovano anche le famose donne giraffa, che fin dall’età di 5 anni, aggiungono cerchi d’ottone massiccio alle loro collane con una frequenza biennale, allungando notevolmente le vertebre e insaccando il trapezio. Arrivano a pesare fino a 7 kg, ma è una leggenda metropolitana quella che se le tolgono muoiono. Un tempo le indossavano per difendersi dalle tigri ma oggi è solo per tradizione poiché di tigri ce ne sono rimaste ben poche. I loro villaggi si sviluppano sulle risaie, le case sono costruite col bambù e le foglie di banana. L’acqua è trasportata all’interno del villaggio tramite un sofisticato impianto idrico, sempre di bambù. Le varie tribù si riconosco dai loro abiti e dai colori, e quelle principali sono sei: Akha, Yao, Lahu, Lisu, Hmong e Karen. Quasi tutti originalmente provenivano dal Tibet, tranne le donne giraffa che sono scappate dalla Birmania. I villaggi si trovano nelle montagne, ovunque circondati da giungle. Ogni tanto lungo la strada si vede qualche bancarella dove sperano di poter vendere qualche borsa o cappellino a turisti. Anche nei prodotti artigianali si riconosce la mano delle diverse tribù. I Lisu hanno un modo particolare di cucire insieme pezzi di stoffa multicolore per confezionare delle borsette o pochette davvero deliziose. Ma i più belli in assoluto, quando vestiti per occasioni speciali, sono i Hmong. Ho avuto la fortuna di arrivare in uno dei loro villaggi proprio in occasione di un matrimonio ed erano tutti vestiti a festa con gli abiti tipici. Inoltre in questo posto avevano allestito un piccolo museo dell’oppio dove erano esposti gli utensili che usavano per produrlo e annesso un bellissimo giardino botanico pieno di piante velenose o proibite. Mi ricordava il libro “Il giardino Segreto” sembrava di entrare in un altro mondo con i suoi profumi e colori.