Fra le pagine de Il Fuoco ad opera di Gabriele d’Annunzio, troviamo una descrizione vivida ed incandescente, propria del suo verbo inimitabile. Lo scrittore menziona, infatti, un rigoglioso giardino a metà strada tra una visione ed un antro segreto, colmo di melograni «accesi di fiammelle che sono quasi fiore e quasi frutto, quasi lume e quasi cera». Eppure, il giardino in questione non fu frutto della sua immaginazione. Si tratta, infatti, del Giardino Eden di Venezia. Un luogo del tutto singolare ad opera del gentiluomo inglese Frederick Eden, il quale – nel 1880 – a seguito dell’acquisto dell’antico Convento della Croce, trasformò il terreno nel suo personale paradiso in Giudecca.

Dopo la morte dei coniugi Eden, il giardino passò alla principessa Aspasia di Grecia, alla quale successe l’architetto austrico Hunderwasser. La di lui Fondazione se ne occupa, ancora, sommariamente e non consente l’accesso al pubblico. I giorni di gloria del giardino, tuttavia, possono essere ripercorsi fra le deliziose pagine illustrate del volume che Eden dedicò al proprio giardino; ora disponibile anche in lingua italiana ed edito da Edizioni l’Erta “Un Giardino a Venezia”, nella collezione “Una Collana di Perle”.

Partire con il chiedervi quale è stata la genesi di “Una Collana di Perle”? Come vi siete mossi - e vi stata muovendo - nel reperire testi così raffinati e ricercati?

Come spesso succede per le cose belle, il caso ci ha messo lo zampino.

Mi piace di tanto in tanto fare visita al mio “tesoro” di libri, volumi che ho raccolto negli anni un po’ per motivi professionali e un po’ per private passioni. Mi è così capitato tra le mani un libretto di cui avevo perso memoria e che mi era stato donato nel Natale del 1994 da Francesco Soletti: si trattava della traduzione di “A Garden in Venice” di Frederick Eden (1903). Francesco ne aveva fatte stampare alcune copie, di cui aveva fatto omaggio agli amici. Potevo abbandonare quel libretto all’oblio? Avevamo da poco aperto la casa editrice “Edizioni l’Erta”, e quindi è stato automatico decidere di rieditarlo. Silvia ha studiato formato, grafica, tipo di carta, ed è nata la prima “perla”.

Anche la seconda “perla” (“Sei mesi in Appennino” di Margaret Stockes) è stata il frutto di una felice coincidenza, la terza invece mi è stata suggerita da un articolo di Marco Belpoliti, in cui l’erudito giornalista parlava di un introvabile libro scritto dal premio Nobel Karl von Frisch: “Gli insetti padroni della Terra?” Belpoliti così concludeva l’articolo: “Mi auguro che un editore avveduto provveda a ripubblicare questo preziosissimo volume”. Detto, fatto. Volendo sintetizzare: un buon fiuto, curiosità e la sicurezza di quel personale “tesoro” di libri ormai dimenticati da cui attingere a piene mani. Sempre muovendoci tra natura, paesaggio e storia.

“Un Giardino a Venezia” pone la Laguna in primo piano, facendola diventare protagonista vera e propria. Cosa ci racconta questa scelta stilista (molto simile agli scritti di John Ruskin o alle tele di William Turner) a proposito dell’autore del volume?

Frederick Eden era un uomo malato, costretto sulla sedia a rotelle, e abitare in laguna gli consentiva di spostarsi dolcemente in gondola per godere il paesaggio nel più rasserenante silenzio, come scrive lui stesso: “Niente rumore, niente mosche, niente polvere. Un venticello così lieve da non poterlo nemmeno chiamare brezza. Un sole che scalda, ma raramente scotta”. La laguna, con la sua mutevolezza di atmosfere, di colori e di luci, era quanto di meglio potesse trovare per soddisfare il suo bisogno di contemplazione e il suo senso estetico (Eden era anche pittore). Ma quando comincerà a progettare il giardino la laguna svelerà il suo lato problematico. Scrive Eden: “Il giardinaggio a Venezia è un incubo per chiunque abbia buon senso: le pergole affondano nel fango, è quasi impossibile piantare alberi, la pioggia è capricciosa e, di certo, la laguna un po' invasiva ...”

“A Garden in Venice” è il diario appassionato e puntuale di un rapporto a volte difficile, che porterà comunque a un risultato al di là delle aspettative: un giardino di insolita bellezza in cui Eden mescola a elementi tipicamente veneziani (lunghi filari di pergole d’uva, vialetti di conchiglie prese al Lido e aiuole bordate di cotto) molti dei suoi ricordi di viaggio. Ci sarà infatti una spalliera di rose come quella vista a Granada, al Generalife; un angolo dedicato ai fiori come nei giardini toscani e ci sarà anche uno spicchio di campagna inglese con gli ortaggi mescolati ai fiori.

“Il giardino cresce e, se curato con amore, dovrebbe continuare a prosperare”. Viste le vicissitudini che hanno toccato il Giardino Eden nei decenni, possiamo dire che il desiderio di Frederick Eden si è avverato?

A giudicare dalle attuali condizioni del giardino, direi proprio di no.

Ho approcciato il testo di Eden, da dannunzista, grazie alle parole del Vate. Leggendolo ho, altresì, notato un amore viscerale per le rose da parte del proprietario. Quanto furono importanti all’interno del Giardino Eden anche, e soprattutto, dal punto di vista simbolico?

Non c’è dubbio, come tutti gli inglesi, Eden aveva una vera passione per le rose, condivisa con la moglie Caroline (sorella, tra l’altro, della mitica paesaggista Gertrude Jekill). Le varietà citate nel testo sono 32, ma sicuramente erano molte di più, sia rampicanti che arbustive. Non credo che agli Eden interessasse il significato simbolico delle rose, ma, molto più pragmaticamente, da veri giardinieri, la robustezza delle piante e la loro resistenza alle malattie, la forma e il colore dei fiori, il profumo.

Concluderei col chiedervi quale valore aveva il possesso di un giardino per la high class britannica dell’epoca?

Nel caso degli expatriates, cioè dei britannici residenti all’estero, il giardino era un segno di identità, un riconoscersi, un ritrovarsi anche attraverso precisi rituali, in primis il tè delle cinque, da condividere tra i colori e i profumi di impeccabili aiuole e bordure. Per gli Eden, in particolare, non era certo uno status symbol da esibire, concetto troppo provinciale per l’aristocratica high class cui appartenevano, ma piuttosto un salotto per intellettuali, un vero e proprio cenacolo aperto a personalità di rilievo, da Proust a Rilke, da d’Annunzio a James.