Sono passati da poco quattro anni da quando su questi spazi ponemmo l’attenzione sui Campi Flegrei. Pochi anni in termini geologici ma certamente significativi nella vita di un essere umano. In quel caso richiamammo l’attenzione su questa vasta e tormentata area della Campania e dell’hinterland di Napoli sottolineando il carattere sonnacchioso del sistema vulcanico che va sotto quel nome. Campi ardenti, a descrivere quindi una realtà complessa, non immediatamente individuabile eppure chiarissima soprattuto ai vulcanologi e chi abita in quelle terre da secoli.

Se si può sottolineare in modo descrittivo la situazione potremmo dire che in questo luogo si “sente” il respiro della Terra e il suo inesorabile modificarsi nel tempo. In pochi luoghi del nostro pianeta (il pensiero può andare a Yellowstone o al Kilauea) si assiste a questi spettacoli dove la potenza geologica del pianeta sembra far pubblicità di sé per così dire, senza apparenti criticità!

Eppure sotto questo aspetto rilassante, lo sanno bene fisici, geologi e vulcanologi si nasconde un vero e proprio “mostro” primordiale che non dà oggi più di tanto notizia di sé ma che potrebbe in un futuro – speriamo lontano – mostrare la potenza della natura e cambiare il corso della storia e del territorio dove insiste un altro silente possibile mostro che la storia antica ci ha descritto in tutta la sua tragica grandezza, il Vesuvio, descritto come il vulcano più temuto e più studiato e monitorato al mondo.

Se il Vesuvio costituisce di certo un pericolo immanente quanto meno in termini scientifici, ogni suo segnale viene catalogato e anche il suo silenzio apparente viene monitorato e studiato, è in quella zona che sembra collinare a nord ovest del golfo, morfologicamente di incredibile varietà e insolita bellezza, con baie incantevoli, scorci di laghi, scogliere a picco, che si nasconde una minaccia se possibile assolutamente più grave e un rischio ancor più grave di quello del Vesuvio.

Gli scienziati sono ormai convinti a livello internazionale di trovarsi dinanzi a quelli che vengono definiti supervulcani, edifici di straordinaria e grande complessità, strutture vulcaniche immense per dimensioni e la cui attività può innescare mutamenti tali da modificare la stessa vita sulla Terra o su aree grandissime di essa, modificando la stessa presenza dell’uomo. Di queste preoccupanti realtà ne esistono almeno dodici sulla Terra, immense caldere che arrivano ad avere decine di chilometri di diametro. Tra i più conosciuti quelli di Yellowstone negli Stati Uniti, il Lago Toba in Indonesia e i Campi Flegrei in Italia.

Va precisato per onore di verità che il termine “supervulcano” si deve agli autori di un documentario mandato in onda dalla BBC nel 2000. Non è però un termine utilizzato in vulcanologia in quanto considerato “improprio”, perché le strutture che vengono indicate in quel modo sono al livello del sottosuolo e, quindi, non visibili in superficie.

Nel caso dei Campi Flegrei, come è possibile che sotto quelle acque marine o lacustri che attirano turisti, studiosi, subacquei da ogni parte, vi sia un mostro del genere? Che vi sia purtroppo è ormai assodato, quale sia la sua dinamica e i tempi di essa è tutto un altro affare. Le notizie di questi mesi tornano a porre le molte domande che nascono in questi casi: quando e come potrebbe avvenire e ancor prima che cosa potrebbe avvenire. Siamo allora di fronte a un allarme per catastrofe in tempi brevi, con conseguenze inimmaginabili? Come sempre la ricerca scientifica partendo da dati certi può sottolineare e identificare segnali e dati che indicano una possibile direzione e, tuttavia, come accade anche nel campo della sismologia, la conoscenza pur approfondita e in crescita dell’uomo non lo rende ancora capace di prevedere con certezza i fenomeni naturali, ma certamente di poterne delineare i probabili contorni.

Studi ormai “classici” e in continua evoluzione, si pensi a quello pubblicato negli anni passati sulla rivista Geology) e condotto dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), dalle università britanniche di Oxford, Durham, St Andrews, dal Cnrs francese e dall’Università di California, hanno indicato ed individuato quella che viene indicata come la terza misteriosa grande eruzione dei Campi Flegrei, detta di Masseria del Monte, un evento che 29 mila anni fa provocò una ricaduta di ceneri e materiale vulcanico capace di ricoprire tutta l’area del Mediterraneo centrale. Sin dagli anni ’70 un livello di ceneri datato a quella lontana è stato ritrovato nei sedimenti lacustri e marini di un’ampia area del Mediterraneo centrale, fornendo la prova indiretta di una grande eruzione avvenuta nella regione.

Nonostante questa considerevole evidenza regionale e la sua relativa giovane età, nessuna prova geologica di un simile evento era stata fino a oggi mai trovata nelle aree vulcaniche mediterranee. Indagini stratigrafiche, geochimiche e datazione di rocce vulcaniche nell’area dei Campi Flegrei, rinvenute nella periferia settentrionale di Napoli, hanno permesso di identificarne l’origine nell’eruzione che distribuì le sue ceneri nell’area.

Ed è stato possibile ottenere un modello simulato dell’eruzione di Masseria del Monte dei Campi Flegrei e la stima della sua magnitudo. I dati parlano di magnitudo 6.6, quindi molto simile a quella della più recente grande eruzione del Tufo Giallo Napoletano (circa 14mila anni fa, di 6.8) i cui depositi formano uno spesso banco di tufo nel sottosuolo della città di Napoli.

Proprio quella del Tufo Giallo Napoletano viene considerata dagli studiosi la seconda più grande eruzione della storia eruttiva dei Campi Flegrei, inferiore solo all’enorme eruzione dell’Ignimbrite Campana di circa 40mila anni fa che ricoprì la Campania e le cui ceneri sottili raggiunsero anche la Pianura Russa, a migliaia di km di distanza.

Con l’identificazione dell’eruzione di Masseria del Monte, si aggiunge quindi un terzo evento di grande magnitudo nella storia vulcanica flegrea, che dimezza il tempo di ricorrenza medio delle grandi eruzioni di questo vulcano. Ed è proprio questo dato che mette in evidenza come, nonostante la lunga storia di ricerca condotta nei Campi Flegrei, le testimonianze geologiche di questo vulcano possano essere frammentarie, difficili da cogliere e non pienamente rappresentative della storia e intensità degli eventi del passato.

La domanda ricorrente e che l’”agitazione” attuale fa porre oltre a che cosa e quando potrebbe accadere è a cosa ci troviamo di fronte. I Campi Flegrei sono un’area vulcanica complessa all’interno della quale, negli ultimi 39.000 anni, sono stati attivi numerosi centri eruttivi differenti. Tali eruzioni sono connesse a due episodi di sprofondamento che, sovrapponendosi, hanno generato una caldera complessa che rappresenta la struttura più evidente del distretto vulcanico Flegreo. Quest'ultimo comprende i Campi Flegrei, parte della città di Napoli, le isole vulcaniche di Procida e Ischia, e la parte nord-occidentale del Golfo di Napoli.

L’attività vulcanica è connessa agli eventi tettonici distensivi che hanno determinato la formazione della depressione, compresa tra il Monte Massico a Nord e la penisola sorrentina a Sud, che prende il nome di Graben della Piana Campana, come ricordano gli scienziati.

L’età di inizio del vulcanismo in questa zona non è tuttora precisamente individuata anche se sequenze di lave e piroclastiti ci parlano di eventi di circa 2 milioni di anni fa. Più chiaramente affioramenti di prodotti vulcanici identificati hanno un’età di circa 60.000 anni e sono costituiti principalmente da depositi piroclastici e da resti di duomi lavici ormai scomparsi. L'interpretazione di nuovi dati stratigrafici sia di superficie che provenienti da perforazioni, anche alla luce di tutti i dati geologici, geomorfologici, petrologici e geofisici disponibili in letteratura, ha permesso di ricostruire in modo più dettagliato la ricostruzione della storia vulcanica e deformativa della caldera flegrea.

L'Ignimbrite Campana, peraltro, viene considerata la maggiore eruzione esplosiva avvenuta nell'area mediterranea negli ultimi 200.000 anni. Durante l’eruzione si formò una caldera che determinò lo sprofondamento di una vasta area che comprende i Campi Flegrei, parte della città di Napoli e una parte delle baie di Napoli e Pozzuoli.

Venendo a tempi, per così dire, più recenti scopriamo che le rocce eruttate nel periodo di tempo compreso tra l'eruzione dell'Ignimbrite Campana e quella del Tufo Giallo Napoletano distanti oltre ventimila anni sono esposte lungo il bordo della caldera dell'Ignimbrite Campana, all'interno della città di Napoli e lungo i versanti nord-occidentale e sud-occidentale della collina di Posillipo.

L'eruzione del Tufo Giallo Napoletano è la seconda per importanza nell'area campana. Nel corso dell'eruzione furono emesse, nell’area dei Campi Flegrei, alcune decine di chilometri cubi di magma che ricoprirono un'area di circa 1.000 km quadrati. Questa eruzione fu accompagnata dalla formazione di una caldera che determinò lo sprofondamento di un’area che comprende parte dei Campi Flegrei e della baia di Pozzuoli. Nel suo insieme la zona è oggi considerata un unico “supervulcano”, inserito nel catalogo dei 10 vulcani più pericolosi del Pianeta.

La zona dei Campi Flegrei va considerata come un’unica grande caldera vulcanica ed è interessata da secoli da fenomeni di innalzamento e depressione, ossia dal bradisismo, e i dati che vengono raccolti mostrano che negli ultimi diecimila anni la zona eruttiva di 15 mila anni fa si stia innalzando.

È il momento, dunque, di preoccuparci di più e seriamente. Quanto sta accadendo è il prodromo di qualcosa di spaventoso e dal quale dobbiamo prepararci a sfuggire? Si parla di piani di evacuazione veloci dell’intera area come quello periodicamente aggiornato che riguarda le pendici del Vesuvio? Come sempre occorre affidarci alla scienza e al buon senso. Il pericolo di queste aree è immanente sempre in termini geologici. La stima sulla nostra esistenza umana è ovviamente diversa ma deve fare i conti con la realtà e con i rischi di psicosi collettive altrettanto pericolose quanto i fenomeni vulcanici. I Campi Flegrei sono considerati un rischio concreto e noto da tempo, su una scala di rischio, per la scienza siamo in allarme giallo, una situazione che necessita di grande attenzione e costante controllo.

Andando con l’immaginazione e con ricordi quasi mitologici tramandatici dai nostri antenati si può ricordare che per gli antichi quegli anfratti spettrali di antiche caldere crollate o quei laghi dalle acque scure e sinistre che punteggiano il territorio del supervulcano ed emettono spesso gas velenosi e materiali incandescenti dalle profondità, venivano considerati altrettanti possibili ingressi dell’Ade, quell’al di là misterioso e inquietante che agitava le riflessioni e le opere di scrittori e filosofi! Ma questa, ovviamente, è un’altra storia!