L’arte è un “sentimento” soggettivo. Ognuno può vederla o interpretarla a modo proprio. C’è chi si appassiona all’arte medievale, ricca di immagini religiose. Chi preferisce l’arte moderna, quella figurativa, evocativa di tempi romantici e innovativi. Chi preferisce l’astrattismo o il concettualismo dell’arte contemporanea. Ma quando l’arte ha cominciato ad essere surreale e stravagante? Quando ha cominciato ad essere portatrice di idee provocatorie e controverse? Pensare di ricondurre tutto ai giorni nostri, o almeno agli inizi del secolo scorso, è un po’ riduttivo.

Il fatto che il panorama sociale contemporaneo si sia aperto alla concettualità artistica che si pone domande e impartisce provocazioni per scuotere l’opinione pubblica non vuol dire che gli artisti dell’età moderna non abbiano cominciato a provocare molto prima. Diciamo che oggi c’è solo più libertà di comunicazione, cosa che non avveniva un tempo. Un tempo passato, quando i libri “sconvenienti” venivano bruciati per non confondere le idee del popolo. Oppure libri con argomenti ritenuti scabrosi per l’epoca perché, in questo modo, venivano inculcate strane idee negli uomini e nelle donne.

Oggi, invece, siamo pronti ad accogliere tutto e tutti. Certo ci sono limitazioni che i media impongono ma, con l’avvento dei social, diciamo che quasi tutto è concesso. Ciò, ovviamente, non avveniva nell’epoca di Caravaggio. Il suo desiderio di dipingere giovani figure maschili, in pose seducenti e provocanti, era mal visto. Una proiezione della sua omosessualità e dei suoi clienti. Certo lo sarebbe anche oggi. Perché mai un pittore adulto dovrebbe dipingere giovani ragazzi? Lo si potrebbe accusare di un brutto reato. A Caravaggio, nella sua epoca, veniva contestato “solo” il reato di omosessualità, oggi sdoganato. Ai giorni nostri, gli verrebbe contestato tutt’altro. Ma si tratterebbe di una provocazione o di una denuncia sociale? Difficile dirlo.

Di sicuro, l’opinione pubblica si dividerebbe, dando vita a dibattiti social, conditi da ipotesi complottiste e insulti vari. Magari, sarebbe solo più facile pensare, ad una semplice espressione artistica fine a se stessa, a dipingere solo ciò che uno vede bello o considera degno di diventare un’opera d’arte.

Al centro delle controversie di un tempo, c’era l’ambiguità sessuale delle figure da lui dipinte. Giovani maschi effeminati che, oggi, non desterebbero nessun problema alla vista (a parte chi ancora pretende una differenziazione di genere all’omologazione).

La possibilità di esprimersi, attraverso le loro opere, è stata resa difficile anche ad altri artisti. Gli stessi Leonardo e Michelangelo non avevano la libertà di creare di loro iniziativa. Per lo più erano sempre sottoposti ad una rigida committenza, di stampo religioso.

In epoca contemporanea, un grande provocatore, è stato Salvador Dalì. Le sue provocazioni, però, sono state definite surrealiste, collocandolo nel movimento artistico di cui lui è uno degli esponenti per eccellenza. Un modo alternativo per accettare la genialità di un artista che non è mai sceso a compromessi.

Lo showman del Surrealismo che ha reso la sua vita un vero e proprio palcoscenico, dal quale sono partite riflessioni e provocazioni verso una società che lo aveva identificato solo attraverso la sua faccia riconoscibile per i suoi strani baffi e non per la sua arte. Troppo scomode da accettare, o da interpretare, le sue opere iconiche di un periodo artistico in fervente rivoluzione, suscitano, ancora oggi, l’attenzione del pubblico. Le sue sculture, le sue stampe i suoi dipinti pieni di oggetti stravaganti che facevano pensare ad una mente contorta, in continuo delirio, oggi sono evocativi e il simbolo riconoscibile di un genio artistico a lungo incompreso.

Oggi, per molti, è più facile accettare ciò che la società definisce “diverso”, o ciò che rompe gli schemi, proponendo valide alternative di lettura della realtà. Peccato solo che Dalì non abbia potuto vivere, nel suo tempo, questa tollerabilità. Ma credo, sia stato meglio così, lui l’avrebbe detestata e avrebbe trovato un modo controverso per continuare a farsi considerare un abile provocatore.

Dagli anni ’50 in poi, in Italia, abbiamo avuto artisti che si sono mostrati stilisticamente espliciti, nei confronti della società. Basti pensare a Piero Manzoni, diventato famoso per aver proposto, in un’esposizione la famosa opera “Merda d’Artista”. E poi, ancora, Lucio Fontana, con i tagli sulle tele. Per arrivare, ai giorni nostri, con le provocazioni di Maurizio Cattelan e di Jeff Koons, considerati più provocatori che artisti, mentre altri, li hanno definiti geni indiscussi.

Che abbiano provocato o prodotto capolavori artistici, hanno comunque creato dibattiti controversi e non poche polemiche. C’è chi ha affollato le file, per assistere a delle loro esposizioni e chi li ha profondamente snobbati. Quindi, vale anche per tutti loro la celebre affermazione di Dorian Grey, nel famoso romanzo di Oscar Wilde «nel bene o nel male purché se ne parli»? Se fa gridare allo scandalo è arte? Se desta solo stupore, è arte? Se ispira solo contemplazione e piacere, è arte? Se è provocazione, è arte?