Tutto ciò che l'uomo desidera invano quaggiù, è perfetto e reale in Dio. Tutti i nostri desideri impossibili sono il segno del nostro destino e diventano buoni per noi proprio nel momento in cui non speriamo più di realizzarli.

(Simone Weil, L’amore di Dio)

All’età di dieci anni, la nonna mi regalò un quaderno e un’oasi di benedizione scese nella mia vita. Mi disse: “Devi tenere un quaderno dove scrivere i tuoi desideri”. E da quel giorno, io e il mio quaderno dei desideri siamo inseparabili.

Si inizia con la letterina a Babbo Natale, aiuta fin da piccoli nella creatività, fantasia e immaginazione e aiuta gli adulti a scoprire lo stupore in un desiderio, a volte conosciuto, a volte mai confidato, perché i bambini ripongono completa fiducia in qualcuno che possa realizzarlo. Respirano un senso di libera purezza del cuore che si perderà pian piano, ma che comparirà puntuale, a ogni compleanno, nel soffiare le candeline, o nella notte di San Lorenzo, perché è una caccia al tesoro che ha a che fare con le stelle.

Dal latino de-siderare, il “de” inteso come privativo, è mancanza di stelle ma al contempo, “de” indica provenire dalle stelle, e qualunque sia l’etimologia, quel che interessa è quella luce inarrivabile e protettiva che vogliamo presente nella nostra esistenza. Non è un bisogno: è la nostra condizione umana di essere limitati e al contempo aspirare all’infinito. San Paolo scrive: “Occhio non vide, orecchio non intese, né mai in cuore entrò quel che Dio tiene in serbo per quanti a Lui si affidano” (1Cor 2,9).

Nella mia lista, nell’istante in cui cancello un desiderio esaudito, ne scrivo un altro e come in un rinnovo emozionale, si creano fragranze olfattive di testa e cuore. E sono felice. Ricomincia la caccia al tesoro. Bisogna iniziare con desideri piccoli, che possiamo raggiungere con un minimo sforzo anche se sembrano irraggiungibili. Ambivo a un voto alto in storia, una materia per me odiosa, non andavo oltre la sufficienza e iniziai a concepire il desiderio come un problema, un’equazione matematica, che ha sempre una soluzione, anche se a volte irrazionale. Avanti negli anni, raggiungere con costanza i miei desideri, dettati dal momento e dallo stato d’animo, per me, ma anche per i miei cari, ha creato un alone di serenità, una zona dove tutto può accadere.

Leggendo il libro La forza del desiderio (Edizione Quiqajon) di Massimo Recalcati, trovo una fascinosa etimologia che mi ha indotta ad approfondire. Il libro deriva da una conferenza che Recalcati ha tenuto alla Comunità di Bose il 17 marzo 2013 in cui afferma che l’etimologia di desiderare, la si trova nel De Bello Gallico di Giulio Cesare: “desiderio” viene da desiderantes, soldati sopravvissuti al campo di battaglia che sotto un cielo stellato, depongono le armi e attendono i propri compagni ancora impegnati nella battaglia, a rischio di morte.

Una scena potente, ma tra le note del libro non viene riportata la citazione esatta e incuriosita, vado alla ricerca, nel De bello gallico, del pezzo in questione. Nulla. Non c’è nessun desiderantes, nessuna notte stellata, niente armi deposte. Inizio le ricerche su internet.

Prima di Recalcati, un maestro filosofo usa l’etimologia del desiderare derivante da desiderantes durante il festival della filosofia del 2003 a Modena, il prof. Galimberti.

Non vi è nessun riscontro effettivo su questa fiabesca etimologia, ma ho lasciato la delusione confinata nell'etere. Il mio desiderio di verità ha preso il sopravvento, anche se questa era una bella origine paretimologica.

E continuo a desiderare.

Mi dispiace che non si vada a fondo nelle comunicazioni, per far comprendere. Esiste il giusto equilibrio tra sapere e diffondere ma la lentezza non esiste più. E purtroppo è una corsa, a ostacoli, nel massacro digitale delle fake news.

Desiderate, senza affidarvi ai desideri altrui, la soluzione è dentro di voi.

Temiamo tutto in quanto mortali, ma desideriamo tutto come se fossimo immortali.

(Lucio Anneo Seneca)