Il coraggio di essere sempre se stessa, la tenacia nel guardare il cinema con gli occhi di chi lo ha amato sin da bambina, un intuito che ha saputo portarla dritta all’Oscar, quasi inconsapevolmente.

Marina Cicogna, produttrice cinematografica, icona di stile, aristocratica per nascita e donna libera per istinto, è stata ritratta in una biografia che non è una biografia ma un vero e proprio romanzo.

Sara D’Ascenzo, firma delle pagine culturali del Corriere del Veneto, dorso regionale del Corriere della Sera, in “Ancora spero. Una storia di vita e di cinema”, edito da Marsilio Specchi, restituisce il racconto in prima persona della contessa che ha fatto la storia del cinema italiano, regalandoci capolavori come “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” per la regia di Elio Petri, “Metti una sera a cena”, “Uomini contro” e tantissimi altre pietre miliari che hanno fatto onore al nostro Paese in tutto il mondo.

D’Ascenzo, che da anni segue per il suo giornale la Mostra del Cinema di Venezia, ha avuto la capacità di entrare in empatia con una personalità non certo facile come quella di Cicogna. L’intelligenza di due donne ha saputo dialogare in modo superbo in una biografia che si legge tutta d’un fiato. L’idea di scrivere un libro sulla contessa del cinema è arrivata da un documentario che Sara D’Ascenzo aveva avuto occasione di vedere.

Nel docufilm, Cicogna, nipote del famoso Conte Giuseppe Volpi di Misurata, raccontava la sua storia ma anche la recente malattia contro cui stava combattendo. Sempre indomita e rivolta al futuro, quando D’Ascenzo la contatta per proporle il progetto del libro, Marina Cicogna prende informazioni e grazie all’amicizia comune con Paolo Mereghetti, apre le porte della sua splendida magione alla giornalista.

“Con Marina Cicogna è stata un’esperienza incredibile - racconta Sara D’Ascenzo, incontrata in una pausa dai suoi mille impegni giornalistici - sono almeno vent’anni che la ritrovo al festival di Venezia e che la intervisto, eppure lei non si ricordava di me. Tuttavia, quando finalmente decise di ricevermi nella sua bellissima casa a Roma, tra di noi si instaurò una simpatia che nei mesi divenne un’amicizia sincera. Devo ammettere che mi sentivo intimidita dalla sua casa, dagli arredi e dalla nobiltà che traspariva da ogni singolo dettaglio.

La contessa Cicogna, oltre ad essere sempre una donna bellissima ed elegante, aveva i modi e tic tipici di un mondo che non esiste più. Le abitudini, l’etichetta, i cerimoniali dell’aristocrazia continuavano ad essere vivi, sebbene Cicogna fosse una donna molto diretta che non usava troppi preamboli”. Sara D’Ascenzo, inizialmente, è convinta che il lavoro sul libro sarà fatto di lunghe telefonate, video call, insomma un lavoro da remoto che molti giornalisti compiono quando un intervistato si trova lontano. Un’ipotesi che si rivela immediatamente impossibile con la contessa.

“Proprio così, ho dovuto trasferirmi armi e bagagli al piano terra del suo attico affacciato su Villa Borghese. Un pied- a-terre meraviglioso che la contessa, però, chiamava ‘il buco’. Ho ancora negli occhi il ricordo di quando le feci visita per la prima volta. Ero partita da Treviso con una splendida orchidea e il libriccino che avevo scritto su Carlo Mazzacurati; mi giocai l’amicizia comune con Mereghetti, che lei verificò, e da lì partimmo per il viaggio nella sua vita. Nella sua casa vivevano Benedetta, la sua compagna e figlia adottiva, la filippina che l’accudiva e due volpini Pomerania che si inseguivano senza sosta”.

D’Ascenzo inizia a lavorare al libro nel giugno del 2022, 2-3 giorni al mese a Roma nella casa di Marina Cicogna per raccogliere il materiale della biografia-romanzo. Sono giornate dense di lavoro in cui Sara ha pochissimo tempo per visitare la città eterna. “Gli orari erano scanditi dalle abitudini di Marina, io potevo accedere al piano superiore tassativamente dalle 12. Lavoravamo fino alle 14, ci si fermava per la colazione che era molto parca, la contessa andava poi a riposare e, dalle 17 si lavorava ancora fino alle 20. Io, chiaramente nelle ore libere dovevo lavorare per il mio giornale, quindi lo svago era davvero poco.

È inutile dire che la contessa alle 17 era vispa come un grillo, mentre io ero già esausta, ma era talmente grande l’entusiasmo di ascoltare i suoi racconti, che anche la stanchezza passava in un istante. Era affascinante ascoltarla, un fiume in piena affollato di ricordi: la sua infanzia al Lido di Venezia all’Excelsior dove c’era la buganvillea, nella casa a Cortina, località che ha amato moltissimo e in cui i Cicogna erano pionieri; oppure nell’imponente villa di Maser della zia Marina da cui la contessa ha preso il nome, i giochi col fratello Bino, tragicamente scomparso suicida in Brasile. E poi gli amori, i protagonisti di una dolce vita fatta di feste, viaggi, Dado Ruspoli, Helmut Berger, Luchino Visconti, Farley Granger con cui Marina ebbe un flirt. Un altro flirt illustre fu con Alain Delon, e poi l’amore, quello più duraturo, con Florinda Bolkan. Insomma, una vita davvero vissuta pienamente senza un attimo di respiro”.

Ore e ore di registrato, pagine e pagine di appunti, una mole di materiale per cui la giornalista del Corriere del Veneto, potrebbe scrivere altri tre libri, non solo su Cicogna ma sul cinema italiano. Perché Marina Cicogna con la sua Euro, la società di distribuzione di proprietà di sua madre ha fatto la storia del cinema italiano anche se non è mai stata davvero resa partecipe della società di famiglia. Eppure, le sue scelte erano sempre quelle giuste, a cominciare da “Indagine” per la regia di Elio Petri, protagonista un immenso Gian Maria Volonté, che prese un Oscar che nessuno della produzione fu presente a ritirare. “In primis - spiega D’Ascenzo - perché Marina era terrorizzata dal prendere l’aereo, in secondo luogo davvero nessuno si aspettava potesse vincere.

Fu un fulmine a ciel sereno”. Una folgore che cadde in un momento drammatico per l’Italia stretta nella strategia della tensione, dopo la strage di Piazza Fontana e col crescere del terrorismo di matrice politica. Cicogna di politica non si occupa, a lei interessa il cinema di qualità. Anche se negli anni ’70 molti registi e attori sono engagé, proprio come la squadra con cui lavora meglio, quella composta da Volonté, Petri e Ugo Pirro, lo sceneggiatore. Questi ultimi due sul set di “La classe operaia va in paradiso”, bisticciavano per frastagliate ragioni di appartenenza, pur essendo entrambi comunisti. Sono tanti gli episodi che costellano la vita di Cicogna e Sara D’Ascenzo ha avuto la capacità di inanellarli attraverso un fil rouge adamantino e una penna ispirata. “La vita di Marina è tutta da narrare.

A cominciare dalla lavorazione di ‘Metti una sera a cena’ di Giuseppe Patroni Griffi con Florinda Bolkan, Jean-Louis Trintignant e un quasi esordiente Tony Musante. Se Elio Petri era un regista mattiniero, Patroni Griffi iniziava a girare nel pomeriggio e andava avanti a notte inoltrata, cosa che la contessa detestava. Arrivò in ritardo alla prima proiezione del film per gli addetti ai lavori e la contessa lo mise alla porta, volarono insulti e c’è ancora chi se ne ricorda. Il regista il giorno dopo tornò sul set come se niente fosse e il film fu un grande successo”. Musante fu, poi, reclutato per ‘Anonimo veneziano’ per la regia di Enrico Maria Salerno, insieme a Florinda Bolkan. Il film fu interamente girato a Venezia con l’indimenticabile tema musicale di Stelvio Cipriani.

Anche qui la Euro non lo aveva preso in considerazione e, malgrado le insistenze di Marina convinta della bontà del film, la società di distribuzione non ne volle sapere. Fu un enorme successo di botteghino e ricevette molti premi e fu uno dei rimpianti della contessa. Un aneddoto interessante che emerge dal libro riguarda una concomitanza singolare. Nello stesso periodo in cui si girava ‘Anonimo veneziano’ nella città lagunare c’era anche Luchino Visconti con il set del suo "Morte a Venezia”, e per agevolare chi lavorava in entrambe le produzioni si affittò una sala del Gritti che si trasformò in quartiere generale unificato per trucco e parrucco di entrambi i film. Felice economia di scala.

Ma quale era il dono che faceva di Marina Cicogna una grande produttrice? “Marina Cicogna era in grado di capire il talento quando se lo trovava davanti e soprattutto non temeva di rischiare. Ha sempre anteposto la qualità dei film a qualsiasi interesse economico, produsse ‘Teorema’ di Pier Paolo Pasolini, un film non facile che sapeva avrebbe suscitato dibattito e critiche. Impose l’attore inglese Terence Stamp al regista di ‘Mamma Roma’ che avrebbe voluto uno dei suoi ‘ragazzi di vita’. Ed ebbe ragione anche in quel caso”. L’attore britannico incarnò perfettamente il giovane etereo e misterioso che suscitava i desideri di tutti i componenti di una famiglia dell’alta borghesia. Sara D’Ascenzo delle lunghe giornate con Marina Cicogna conserva dei ricordi speciali; malgrado la malattia, la contessa riusciva sempre a strappare un sorriso.

“Della contessa Cicogna ho amato lo stile, l’incontro con un mondo che esiste solo nelle favole e che per un po’ ho conosciuto di persona. Marina mi ha insegnato molte cose, ad esempio a sparigliare le carte che per una come me, che ha l’etica del lavoro e che cerca di tenere le cose sotto controllo, sembra impensabile. Ebbene, lei invece mi ha sospinto a fare anche cose inaspettate, cose che spalancavano finestre di incredibile creatività. Mi ha insegnato a guardare l’inatteso e a farlo entrare nella mia vita, a mettermi in gioco, a sopportare la tensione di essere in primo piano. Una cosa che fino a qualche anno fa non mi apparteneva”.

Marina Cicogna è scomparsa il 4 novembre del 2023, ma la giornalista è riuscita a salutarla un’ ultima volta all’inizio di ottobre. “Ci sentivamo anche al telefono spesso, ero entrata in qualche modo nel suo orizzonte emotivo, sebbene i nostri siano sempre stati mondi lontanissimi. Il 6 ottobre sono andata a Roma a trovarla ed è stata l’ultima volta che l’ho vista. Siamo rimaste da sole, abbiamo parlato e ancora una volta guardando fuori dalla finestra mi ha detto che la libertà è la cosa più importante nella vita. Credo proprio avesse ragione”.