La mia scrittura è capricciosa. Da un po' di tempo desidero parlare di Chistine de Pizan, (1365-1430 circa) "la prima donna che ha concepito se stessa come scrittrice di professione, si è guadagnata da vivere ed è diventata famosa scrivendo libri" ma la mia mente credo che ancora non abbia trovato il modo di onorarla. Non mi sento pronta a costruire una sacra conversazione tra noi due. E dire che tanti sono gli avvenimenti che ci accomunano. Così mi sono presa proprio una vacanza e riporto l'esperienza delle ultime analisi del sangue fatte al CUP il 17 novembre 2011. Da quel giorno infatti, quando il medico mi ordina esami clinici, chiamo un'infermiera a casa e mi fa lei i prelievi e porta anche a casa i risultati con le inevitabili stelline. Quelle ancora non sono riuscita a eliminarle. Però, se una volta le visite dai vari specialisti mi terrorizzavano, ora non ho proprio più la forza di prendere appuntamenti di tutti i tipi ma soprattutto quelli che dovrebbero controllare il mio stato di salute. Non ce la faccio più. In un certo senso mi lascio morire, la Svizzera è vicina. Sì. Devo essere un poco depressa.

Le analisi del sangue

Quando venerdì mi sono seduta qui volevo raccontare il personale scontro con le analisi del sangue, con le sale d'attesa stracolme e infine con le infermiere. Ma la mia scrittura ha preso altre vie. Ci riprovo oggi che deve essere il 20 o il 21 di novembre 2011. Dunque. Venerdì prossimo presento alla Casa Matha, il libro RAVENNA ravenna ed è il 25. È scritto qui negli inviti. Tolgo cinque giorni quindi oggi è il 20. Sono piena di numeri. Allora venerdì 17 dopo una notte insonne mi alzo all'alba, raccolgo l'urina nel contenitore lo chiudo bene e lo infilo in due sacchetti di plastica e penso di prendere precauzioni eccessive perché sono già in preda al panico. Ho bisogno di sostegno e come faccio sempre quando devo andare al massacro mi vesto da regina con gonna lunga, camicia di seta, giacca di velluto nero e piumino con collo da zarina.Così vestita da sera alle otto del mattino, esco di casa e prendo la bicicletta, non salgo e insieme andiamo al CUP. C'è chi porta a spasso il cane, io accompagno la bicicletta. Camminando faccio un ripasso. Mi sento in regola: ho la richiesta, ho pagato il ticket. Il giorno e l'ora sono quelli giusti. E così 'in regola' entro nell'inferno. Mi dirigo di fronte alla porta segnata con l'iniziale del mio cognome -B- prendo il biglietto e vedo che ci sono solo dieci persone prima di me. Un nonnulla. Fino a poco tempo fa avevo davanti a me anche settanta persone.

È un gran caldo, c'è tanta gente e l'ambiente è poco più grande di un lungo corridoio. Mi tolgo il piumino. Mi sento un po' impedita, prendo dalla borsa la busta con richieste e ricevute e ci infilo anche il contenitore facendo attenzione a non capovolgerlo. È arrivato il mio turno. Entro. Al di là del tavolo ci sono due infermiere dai volumi debordanti. Appendo piumino e borsa sull'attaccapanni e con la busta in mano vado dalla signora di sinistra. Le consegno la richiesta. E lei: "Guardi, deve ancora pagare, adesso esce e va alla macchinetta". Me lo dice con la voce alterata. Forse è innervosita per il mio abito regale. Attacco di panico. Sta smontando una preparazione a mio avviso perfetta. Cerco e trovo immediatamente le ricevute e con le ricevute consegno il contenitore della urina. Sento di nuovo la voce irritata dell'infermiera: "Non avrà mica messo il contenitore insieme alle richieste e alle ricevute? Ma non sa che poteva uscire il liquido e bagnare i documenti? Ma che cosa le è venuto in mente?". È così adirata che vedo un liquido paglierino debordare dal contenitore, allagare la stanza e diventare un fiume in piena che dalla stanza invade l'edificio intero e le vie e le piazze e le case fine al quarto piano. Ma è una visione. Mi riprendo. Il contenitore è lì sul tavolo ben chiuso anzi sigillato. Da terre lontane mi arriva la sua voce, "Per fortuna non è accaduto nulla, un'altra volta faccia più attenzione! Lo metta lì". "Oddio lì dove?". "Lì".

Lì ci sono due scatole, una è vuota e l'altra ha un coperchio. Alzo il coperchio e mentre vedo tubicini bianchi con ago finale sento un urlo, '"Ma che fa? È lì che lo deve mettere" e indica la scatola vuota. Sono in completo stato confusionale. Mi sento un verme strisciante: ecco la metamorfosi da regina a verme. Cosa posso fare? Potrei fare valere le mie ragioni ma mi conviene litigare con chi tra un momento mi infila un ago in vena? La guardo e le dico che quando mi prelevano il sangue, se non mi stendo sul lettino svengo. Nei momenti di pericolo la mia mente ha delle difese imprevedibili.

Tempo fa al ritorno dall'Isola D'Elba, sulla Freccia dell'Elba, un trenino che si fermava ogni cinque minuti, vengo pesantemente infastidita da un losco figuro. Proprio un pazzo che quando il treno si fermava, si aggrappava al finestrino e urlava: "Qui c'è una stronza che non vuole parlare con me". Naturalmente tra le persone presenti nessuno gli dice di lasciarmi in pace, così dopo qualche momento di panico capisco che me la devo cavare da sola e allora dalla mia bocca escono le seguenti parole "Mi vuole lasciare in pace? Torno dal funerale di mio padre". L'uomo si alza e sparisce. Finirò come quella vecchia signora che si svegliò con un ladro nella stanza e gli disse: "Scusi sa, ma deve avere sbagliato appartamento!". Non so se arriverò a tanto ma la mia mente in caso di necessità si sveglia e mi soccorre. È un'autentica guerriera. Così anche questa volta sono ritornata ad essere una regina. E l'infermiera "Oh scusi, adesso provvedo subito. Si sdrai qui. Va bene così? Più su, più giù? Oh che bella vena!".

Sono uscita indecisa se andare all'ufficio reclami - chissà se esiste e dove si trova - o al bar del Duomo e regalarmi una buona e abbondante colazione. Ho ripreso la bicicletta e camminando lentamente ci siamo dirette al bar del Duomo. Lei fuori e io dentro.