Don Gennaro aveva un bugigattolo in via di Porta Ventosa, ereditato dal padre. “Tutto si aggiusta” era scritto su una vecchia insegna di legno a bandiera che svettava lungo via di Porta Ventosa. Importanti studiosi di storia l'avevano fotografata e descritta in riviste specializzate, convinti che si trattasse di un rarissimo reperto di archeologia industriale. Alcuni urbanisti di grido sostenevano, in dotti articoli, che la bottega di Don Gennaro rappresentava un rarissimo esempio di sopravvivenza dell’ormai tramontata economia di quartiere.

Via di Porta Ventosa era nel cuore del centro storico, una stradina stretta e un po’ buia tra vecchie case dove tutti si conoscevano, si davano il buon giorno e il buona sera l'uno con l'altro e spesso si trattenevano davanti al suo piccolo laboratorio a chiacchierare del più e del meno. Don Gennaro era abilissimo nel riparare proprio tutto; non c'era per lui cosa che non potesse essere rimessa a nuovo e in condizioni di funzionare; creava i pezzi di ricambio introvabili per utensili ormai da decenni fuori produzione grazie alla sua fervidissima inventiva. Era capace di far funzionare persino quei vecchi e pesanti ferri da stiro che usavano le nostre nonne e di rigenerare affaticatissimi e decrepiti fornelli a gas da appoggio. Non solo i residenti di via di Porta Ventosa chiedevano continuamente il suo intervento di pronto soccorso di solito disperato. Siccome la sua fama di mago delle riparazioni si era diffusa ben oltre il quartiere, venivano da lui abitualmente anche quelli delle eleganti zone residenziali per farsi rimettere in sesto vecchi giocattoli di latta e antiche bambole, ormai da collezione.

Non erano, però, solo la sua abilità manuale e la sua creatività ad attirare tanta gente. Don Gennaro era un conversatore piacevolissimo e amabilissimo, che stupiva e affascinava per le sue conoscenze, la cultura e il trascinante eloquio. Nonostante avesse vissuto sempre in un quartiere popolare e povero, non si esprimeva quasi mai in dialetto, ma parlava un italiano particolarmente corretto e, all’occorrenza, forbito.
“Come farà a sapere tante cose, lui che non ha frequentato le scuole superiori e che è vissuto sempre a via di Porta Ventosa ” si chiedevano spesso i suoi affascinati ascoltatori. E quando elargiva le sue perle di saggezza i benestanti che venivano fin giù via Porta Ventosa con la scusa di una riparazione, commentavano con stupore il suo piacevole conversare. “Vedi – diceva la professoressa Rossi alla dottoressa Argentini – mi pare che stia citando, in maniera piana e discorsiva, addirittura Aristotele; quando e dove mai lo avrà letto?”. “Probabilmente leggerà di notte o ne avrà sentito parlare da uno dei suoi clienti” aveva commentato l'Argentini.

Un giorno a un anziano professore di latino e greco che gli aveva portato una vecchia sveglia Kienzle arrugginita aveva detto: “Vede professore, ai tempi in cui si usavano queste sveglie rumorosissime, eravamo tutti stanchi morti per la giornata passata a lavorare e dormivano insensibili al ticchettio fragoroso di questi grossi e rumorosi prodigi meccanici; oggi basta un nonnulla a farci saltare dal sonno e i produttori hanno messo in commercio queste cose elettroniche e silenziose che non hanno più la forma di orologio: oggi sono tutte digitali e quando non funzionano più bisogna solo buttarle”.

Insomma Don Gennaro s'era fatta la fama di filosofo che dispensava parole, proverbi e massime che naturalmente non procuravano guadagno, anzi rallentavano il lavoro. Così la moglie Carmelina si lamentava di questo marito chiacchierone e colto, apprezzato e stimato da tutti. E argomentava con le vicine di casa che quell'incosciente, con le mani d'oro che aveva avrebbe potuto fare soldi a palate, se non avesse avuto quella mania di parlare, parlare, parlare. Meno male che zia Teresa gli aveva lasciato in eredità la casa sopra alla bottega, senza la quale sarebbero sicuramente finiti davvero in mezzo a una strada. E per fortuna non avevano avuto figli, che sarebbero certamente diventati inconcludenti e scombinati come lui.

La fama dell’umanità, delle conoscenze filosofiche e della cultura, stupefacenti di un artigiano autodidatta, la cui unica fonte d’informazione erano la radio e le chiacchiere degli avventori, cominciò a diffondersi oltre il quartiere e oltre la città. Arrivarono famelici giornalisti incuriositi, arrivarono le televisioni, arrivarono professori universitari da altre città. Don Gennaro diventò un vero e proprio divo. Fu invitato a un talk show televisivo e la sua presenza fece lievitare vertiginosamente lo share della trasmissione. E giunse il gran momento. L'Università decise di conferirgli la laurea honoris causa in filosofia: gran cerimonia in ateneo, discorsi, strette di mano, abbracci, baci, interviste e tante fotografie. Nelle foto pubblicate sui quotidiani e nei servizi dei telegiornali delle emittenti private Don Gennaro appariva raggiante e felice, col suo sorriso un po’ sfinestrato, con la corona d'alloro posta sui capelli bianchi e il rotolo di pergamena sotto il braccio, accerchiato dai più fedeli amici di via di Porta Ventosa. E appariva finalmente felice e orgogliosa del marito anche la moglie Carmelina con il vestito buono e i capelli messi in piega dal parrucchiere.

E dopo la cerimonia tutti a pranzo al Ristorante del Mare con gli amici più fidati del quartiere e i docenti universitari con in testa il professore Occhitinti, che aveva patrocinato il conferimento della laurea. A fine pranzo tutti chiesero al neolaureato il discorso. Il professor Occhitinti, che aveva previsto questa richiesta e gli aveva preparato un bel discorso, gli consegnò di nascosto un paio di fogli dattiloscritti. Don Gennaro li tenne in mano senza degnarli di uno sguardo e parlò a braccio. Fu un successo clamoroso. Anche Occhitinti applaudì con calore, per nulla risentito che il neolaureato avesse ignorato il discorso che gli aveva preparato. La moglie del professore chiese a Carmelina che le sedeva accanto perché mai, secondo lei, Don Gennaro non avesse letto il discorso scrittogli dal marito. Carmelina rispose con estrema naturalezza: “Perché mio marito ha cominciato a lavorare da bambino; non ha mai avuto il tempo di imparare a leggere”. “E come fate – chiese la signora – a vivere così?” “Io, signò, da bambina sono stata dalle suore che mi hanno insegnato a leggere e a scrivere… E sapete bene com’è fatto mio marito! Ripete sempre che in famiglia basta uno solo che sappia leggere e scrivere”.

È tutta di fantasia, ovviamente, la storia della laurea honoris causa a Don Gennaro, dei luoghi, dei personaggi che si muovono intorno all’immaginaria bottega di via di Porta Ventosa. Però…