Per tutta la vita ho cercato di combattere contro l'idea di morire e di essere dimenticati.

Christian Boltanski sceglie queste parole per condensare al meglio l’essenza del suo lavoro, frutto di una ricerca sui punti limite dell’esistenza che caratterizza la sua poetica da quasi mezzo secolo.

Al pluripremiato e poliedrico artista francese, alla soglia dei 73 anni, non deve risultare certo complicato tirare le somme di una carriera da sempre inquadrata nella cornice del ricordo, della memoria individuale e collettiva. Il mondo dell’arte italiano, col quale Boltanski ha sempre mantenuto un rapporto di collaborazione prolifico, sta cercando, in questi mesi, di fare altrettanto, attraverso una riflessione antologica sviluppata in un grande percorso che attraversa la città di Bologna

Il capoluogo emiliano è, infatti, la città italiana con la quale Boltanski si è maggiormente confrontato. Nel 1997, Villa delle Rose ospitò Pentimenti, la prima mostra italiana dell’artista, il quale realizzò, dieci anni dopo, il celebre memoriale della strage di Ustica, composto da un’installazione di luci e specchi (81, tanti quanti le vittime dell’incidente) giustapposta al relitto del Douglas DC-9 Itavia che nel giugno del 1980 precipitò nel Mar Tirreno.

Anime. Di luogo in luogo è percorso multiforme ospitato da svariate location cittadine che, attraverso installazioni, opere performative e audiovisive, dipana il filo rosso dell’opera di Boltanski. Il MAMbo – Museo d’Arte Moderna ospita, fino al 12 novembre, venticinque opere risalenti alle tappe salienti della carriera dell’artista dagli anni Ottanta ad oggi. Ad accogliere i visitatori nell’anticamera dello spazio espositivo temporaneo del MAMbo è Coeur, un’installazione fatta di specchi e lampadine dominata dal sonoro del battito cardiaco dell’artista, evocativo del suo rapporto emozionale con la città di Bologna. Una volta dentro, a dominare la hall principale è Volver, un’installazione inedita composta da coperte isotermiche e da una lampada industriale posizionate su un’impalcatura che vuole rappresentare una riflessione sui temi caldi delle migrazioni e delle morti in mare.

L’ultima sala in ordine di percorrenza ospita l’altra opera inedita dell’esposizione, una videoproiezione dal titolo Animitas (blanc), mentre diverse tra le opere risalenti agli anni Ottanta-Novanta si compongono di installazioni in cui a dominare è il mezzo fotografico, cifra stilistica ben nota dell’artista e strumento chiave nell’esplorazione delle tematiche connesse al senso della perdita, della memoria e dello scorrere del tempo. La morte, nell’opera di Boltanski, è un tema affrontato con ampi margini di consapevolezza e coscienza critica: la forma-memoriale ricorre tanto come tributo al ricordo di vittime di stragi e genocidi, quanto come considerazione sulla trascendenza della contingenza fisica dell’esistenza.

È un costante interrogarsi sullo scorrere del tempo ciò che spinge Boltanski a misurarsi con lo spettro della morte e, a volte, a farsene persino beffe. È il caso di The Life of C.B., una sorte di performance-scommessa che l’artista parigino ha intavolato con David Walsh, il direttore del Tasmania’s Museum of Old and New Art di Hobart (Australia), che rappresenta essenzialmente una riflessione dalle venature beffeggiatrici sulla notorietà post-mortem. The Life of C.B. consiste sostanzialmente in una parcella mensile che Walsh, giocatore d'azzardo, è tenuto a pagare all'artista fino alla sua morte. Nel 2009, l’australiano scommise che Boltanski sarebbe morto nel giro di otto anni, e la garanzia concessa dall’artista nel “monitoraggio” della sua vita consiste in una telecamera con collegamento streaming 24/7 installata nel suo studio di Malakoff (vicino Parigi). “Se muoio tra tre anni, avrà fatto un buon affare. Se dovessi, invece, morire tra dieci, sarà stata una catastrofe” disse, ai tempi, Boltanski riferendosi al fatto che Walsh avrebbe, oltre i tre anni, pagato una somma superiore all’effettivo valore stimato per la “performance”.

Questa partita a scacchi con la morte rappresenta l’attitudine canzonatoria ma mai arrogante che l’artista intrattiene con l’idea della morte. Boltanski non presume la superbia di dispensare risposte; al contrario, il punto di domanda sulla vita rappresenta il contrassegno concettuale di tutta la sua opera. Le venticinque installazioni del MAMbo sono, infatti, disposte in uno spazio espositivo che riproduce la struttura di una chiesa, luogo iconico degli interrogativi spirituali. Una navata centrale e due laterali compongono l’architettura di un ambiente che presuppone un’immersione totale nell’ambientazione, favorendo il coinvolgimento dello spettatore che ne diviene un fruitore attivo.

L’intero progetto Anime. Di luogo in luogo, curato da Danilo Eccher, vuol essere una sorta di esibizione pluriforme composta da check point sparsi per tutta la città di Bologna. Dal 27 al 30 giugno l’installazione performativa Ultima è stata ospitata dal Teatro Arena del Sole, mentre fino alla fine di agosto i Billboards (poster) con i primissimi piani di caduti partigiani saranno visibili sugli spazi pubblicitari cittadini. Per tutta la durata dell’antologica, fino al 12 novembre, l’installazione Réserve sarà visitabile all’ex polveriera bunker del Giardino Lunetta Gamberini, mentre per settembre è previsto un intervento di arte pubblica al parcheggio Giuriolo dal titolo Take me (I’m Yours) in cui sarà possibile portarsi a casa alcune opere dell’artista.

Condivisione materiale che fa eco alla condivisione spirituale che Boltanski ha promosso per tutto l’arco della sua carriera, muovendosi sul filo della dialettica vita-morte, e stimolando allo spettatore una riflessione sulla “democraticità” della morte, sull’anamnesi della perdita e delle ferite storiche e personali, sempre sommessamente e con l’umiltà di chi continua, anche dopo tanti anni di carriera, a porsi questioni come fonte di stimolo creativo.