Il pittore romano Luigi Civerchia, nasce nel 1928 nel popolare rione di Trastevere, oggi ha compiuto 95 anni e dipinge ogni giorno per molte ore alla ricerca di nuove tecniche espressive con la stessa passione e creatività di quando, fin da piccolissimo, ha iniziato a intagliare il legno presso la bottega romana del Maestro Catullo Palmieri, noto a Roma per la sua grande abilità ed esperienza. Ha studiato presso l’Istituto Tecnico Industriale Galileo Galilei di Roma, dove ha avuto la fortuna d’incontrare e seguire gli insegnamenti del suo professore, il grande architetto Mario Ridolfi.

Nel 1955 sotto la guida del pittore Vittorio Grassi, suo Maestro d'arte e di vita, importante esponente del gruppo dei XXV della Campagna romana e del GRIA, il Gruppo Romano Incisori Artisti, Civerchia si avvicina alla "Scuola Romana" aderendo agli insegnamenti pittorici di Mafai, Pirandello e Quaglia. Nel suo studio di Via Margutta, luogo iconico d’incontro e crescita artistica per molti intellettuali e artisti dell’epoca, frequenterà tra gli altri, Rinaldo Geleng, Luigi Montanarini e, soprattutto Federico Fellini con il quale ha condiviso una profonda e duratura amicizia. La sua attività espositiva è iniziata a Roma nel 1959 con una serie di mostre personali e collettive ed è proseguita in Francia, in Germania e in America durante il corso della sua vita.

Nel 1975 inaugura la mostra personale a Roma a Palazzo Braschi, a Palazzo Valentini nel 1987 e nel 1992, al San Michele a Ripa nel 1993, al Complesso del Vittoriano nel 2003, a Castel Sant'Angelo nel 2008, a Cortina d’Ampezzo nel 2008, alla Camera dei Deputati nel 2011, in Francia a Parigi con tre personali concluse nell'Hotel Drouot nel 1995, cinque le esposizioni in Canada a Vancouver, Edmonton e Montréal, ventisette personali in Alto Adige dal 1988 al 2016 e moltissime altre esposizioni in grandi città italiane ed estere. La poetessa Rita Barbato gli ha dedicato questi versi per descrivere la forza della sua pittura: «Quando il tempo si arresta e induce al silenzio, un vuoto rimane sospeso e con l'arte tua lo riempio».

Le sue vedute di Roma sono veri capolavori di tessiture cromatiche, la città eterna svela le sue magnificenze a chi la conosce e la ama, una Roma sognata, segreta e silenziosa, lontana dal caos, avvolta dalla luce di straordinari bagliori che emergono dagli impasti luminosi. Il tempo dell’osservazione attenta è fondamentale nel suo lavoro artistico, l’osservazione deve prendersi il suo tempo per lasciarsi avvolgere dalla straordinaria bellezza delle sue luci, dalle sue atmosfere morbide e raffinate. Civerchia ci conduce con le sue tele lungo un viaggio sulle sponde del Tevere da Castel S. Angelo a S. Pietro, fino a Piazza Navona, una passeggiata nella storia colta da uno sguardo sapiente e appassionato, sui resti archeologici, sulle torri medievali, tra i palazzi rinascimentali e le splendide fontane barocche, tutto unito in un unico orizzonte poetico ricco di storia e bellezza avvolgente.

Scrive di lui Walter Angelici: «La pittura non già di cose ma di prevedibili atmosfere, indica in maniera sottile le cose che furono viste da coloro che seppero amarle, coralmente partecipi allo spettacolo della perdita del lento svanire irrevocabile che è di tutti e al contempo, reperti intrisi di una memoria che è solo di Roma. Una specie di silenzio luminoso. Una lamina di rame resa viola dal fuoco. Poco prima che il sole levighi quella corazza, asporti come un abrasivo le impronte della notte appena trascorsa, quel respiro reso opaco dal passaggio notturno delle ombre».

La Roma di Civerchia è quella delle Passeggiate Romane di Stendhal: «Questa mattina usciti per raggiungere un celebre monumento, siamo stati colpiti lungo la strada dalla vista di una rovina e poi di un palazzetto, dove siamo entrati. Abbiamo finito per girare alla ventura, gustando la felicità di essere a Roma completamente liberi e senza pensare al dovere di vedere. Un'impressione condivisa dalla maggior parte dei viaggiatori del Grand Tour, del quale Roma era una tappa imprescindibile».

La pittura di Civerchia è una ricerca continua di tecniche miste su vari supporti, disegno su carta, incisione, tecnica a olio, studi e approfondimenti sui colori e i suoi riflessi, attraverso i pigmenti, costruisce atmosfere rarefatte, senza contorni, o campiture nette. Nelle sue vedute romane c’è sempre una patina misteriosa, un velo tra la verità oggettiva e quella immaginata. Di fronte ai suoi quadri, si percepisce da un lato, la ricerca approfondita e lo studio dell’autore, e dall’altro si sperimenta la possibilità d’interpretare liberamente l’opera osservata. Come ci ricorda G. Selvaggi in Conversazione sulla pittura di Luigi Civerchia, 1991. Il quadro si ascolta oltre che si vede: riascoltarlo per scoprirci uno specchio di se stessi, com’è l’arte quando è poesia. L’artista comunque voglia cogliere la bellezza, la voglia ritrarre, la voglia cioè racchiudere nel suo brano, l’artista se ha in sé le capacità fondamentali di addizionare, tecnica, emozione e capacità di sintesi, raggiunge quello che è la nota fertile dell’opera d’arte.

Anche l’arte Sacra è stata oggetto di studio e sperimentazione in questi anni, una forza espressiva carica di spiritualità ha trovato nel carboncino su carta ruvida un terreno fertile per le sue composizioni. Non solo monocromi ma anche i colori irrompono nelle sue opere. Gli studi sulla pietà Rondanini scaturiti dalla splendida opera michelangiolesca custodita a Milano hanno scosso e completato i sentimenti ammirativi dei visitatori, conquistati dalla sublime ultima opera del grande scultore.

Maestro può descriverci le tecniche da Lei predilette?

Ho dipinto soprattutto a olio, lavorando sulla ricerca del colore. Piano piano, impari ad usare i colori che resistono nel tempo. Il colore industriale tende a modificarsi per un processo chimico e a scurire, quindi, come mi ha insegnato il mio maestro Vittorio Grassi, ho imparato da solo a creare i miei colori: prendendo un po' di blu, di rosso, di bianco e poco nero, ho creato il mio viola.

Il mio Maestro mi dava suggerimenti ma mi lasciava libero di sperimentare; la tecnica a olio mi permetteva di ottenere una materia, uno spessore sulla tela unendo un po' di acquaragia o olio di semi di lino. A differenza della tempera dove il colore tende a spianarsi, a coprire la carta senza dare corpo. Il segreto di un pittore è di usare solo colori che hanno resistenza nel tempo. De Chirico era un eccellente studioso della tecnica ed infatti i suoi quadri resistono nel tempo.

Lavorando, impari a non usare troppo il nero mischiato perché tende a dominare completamente la scena, al non mescolare troppo le terre, la terra di Siena, la terra d’ombra, il vero colorista deve mescolare solo i colori puri. Il colore è un Dio, il colore si muove. Ho usato anche acquerelli e inchiostri, lavorando su carte speciali da disegno, più spesse per assorbire meglio l'acqua; tecniche miste con matite, penne, acquerelli o inchiostri, sulla stessa tela; penne e matite di medio spessore, tratto morbido e sfumato per le ombreggiature.

Mi può riferire della sua attività di ritrattista, della sua biblioteca ricca di disegni?

Sì, certo, amo la mia biblioteca! In tutta la mia vita ho cercato l'arte a spasso per la città, guardando gli scorci, le chiese, i palazzi a naso all'insù visitando mostre eccetera ma soprattutto osservando e studiando i miei volumi. Ho lavorato intensamente di penna fino a riempire la mia biblioteca d'arte: una preziosa raccolta di libri creata nel tempo e piena di schizzi, segni, ritratti di migliaia di artisti, poeti, scrittori, scienziati, filosofi.

La libreria è un tesoro di sguardi, volti, occhi, espressioni, caratteri dei personaggi ritratti a penna nella loro unicità, cogliendo attimi della loro umanità. Mi dicevano che era un matto ma io credo di vivere insieme all'autore del libro e cerco di familiarizzare e far familiarizzare i vari personaggi che stanno dentro quel libro. In questo modo i libri si animano, quasi di umanità. Sono personaggi conosciuti nella vita reale o di fama mondiale come Borges, De Chirico, Picasso, Giacometti, Afro, Pirandello, Fellini, Moravia, Garcia Lorca, Guttuso.

Nello studio di via Margutta si lavorava pochissimo e chiacchierava moltissimo: ma sono stati un percorso pittorico e letterario. In quell'epoca, Federico Fellini stava girando Casanova e La Città delle Donne e si parlava dei suoi film, poi arrivavano attori che si lamentavano con lui, vedevamo una moltitudine di personaggi. Poeti, falsi poeti mi raccontavano cose che succedevano a volte irripetibili che coloravano la nostra vita. Tutto ciò è servito moltissimo alla pittura, perché ognuno lasciava qualche cosa di sé. Tutto il mio desiderio è di stare insieme ai personaggi che credo siano in assonanza con chi ha scritto il libro. I ritratti sono uno scrigno segreto e forse per questo stanno tutti dentro i libri, perché erano una cosa mia, un sogno ricorrente.

Grazie Maestro e buon lavoro!