Ho spesso cercato di definire l’architettura come la scultura del vuoto. Infatti, la materia che l’architettura crea è uno spazio vuoto penetrabile. Lo si può apprezzare dall’interno. Ma il vuoto in sé non è visibile. Qualcosa lo deve contenere. Lo spazio architettonico è generalmente contenuto all’interno di un contenitore. Il lavoro degli architetti è molto spesso concepire quel contenitore. Si può scolpire lo spazio anche creando spazio in negativo, per esempio lo spazio attorno agli oggetti, che indica lo spazio come “stampo” di quegli oggetti. Quel lavoro ricade anche nella sfera dell’architettura. Pertanto la tecnica degli architetti produce la scatola come strumento, ma l’architettura intesa come un’arte è anche strumento, lo spazio all’interno e attorno al contenitore. Il contenitore stesso è semplicemente una tipologia speciale di scultura comune, talvolta potenziata attraverso la pittura, come nel caso degli affreschi. Una mostra di qualsiasi genere si riferisce ad entrambe le tecniche dell’architetto, in aggiunta al tema della mostra: lo spazio. Possiamo chiamarla installazione, in gergo comune.

(Yona Friedman)

Le due mostre presentate nelle gallerie di Massimo Minini e Francesca Minini rappresentano un ulteriore passo nell’esplorazione nel complesso lavoro di Yona Friedman. Infatti, il suo lavoro è trasversale a diversi ambiti, dall’architettura all’arte, al design, alla biologia, alla filosofia, alla sociologia, solo per citarne alcune. Le mostre nelle gallerie Minini nascono dal recente libro di Friedman, “Untitled”, incentrato sul suo materiale di lavoro che può essere inteso come arte.

Friedman scrive nella prefazione: “Ho provato a riassumere le mie esplorazioni al di fuori dell’architettura in diversi libri precedenti. Alcuni riguardano l’ecologia, alcuni la sociologia e uno persino i cani. Questo tuttavia è il primo riguardante l’arte. Sono una persona visiva: un’immagine spiega, per me, molte cose. Sono conosciuto, nel mio lavoro professionale, per il mio uso di immagini semplici, cartoni animati o pittogrammi per sostituire testi.”

Infatti, all’interno della complessità del lavoro di Yona Friedman è importante comprendere come la sua produzione visiva sia parte di una più generale e che egli utilizza le immagini per visualizzare il suo pensiero. Questo significa che non dobbiamo considerare la sua produzione visiva come separata dal resto del suo lavoro, ma parte di esso. Così come Friedman evidenzia nella sua introduzione, molto spesso le immagini prendono il posto dei testi. Ciò implica che le immagini all’interno del suo lavoro ci mostrano il suo processo mentale che non si formalizza solo nei testi, ma anche nella sua produzione visiva. Il fatto che la complessa figura di Yona Friedman sia stata riportata all’attenzione pubblica negli ultimi 15 anni dal dibattito artistico internazionale, è dovuto al fatto che il suo lavoro di architetto, aperto all’esplorazione di altri campi, è finalmente apparso in tutta la sua complessità.

Alcune delle immagini presentate in queste due mostre provengono parzialmente dai due luoghi in cui Friedman ha sviluppato il suo lavoro: il vecchio studio-appartamento di Boulevard Pasteur e il suo ultimo appartamento in Boulevard Garibaldi, entrambi a Parigi. In queste due mostre vorremmo sottolineare il processo del pensiero di Friedman dispiegato in connessioni con il suo lavoro architettonico. Partendo dal titolo "Sculpting the Void. Une proposition de Yona Friedman et du Fonds de Dotation Denise et Yona Friedman”, queste mostre intendono presentare una specifica attenzione all’idea di comunità, che si è sviluppata nell’elaborazione di nuovi modelli di architettura, che in anni recenti si è focalizzata sui rifugi per migranti, in un intenso impegno a ripensare la nostra filosofia di vita. Infatti, alla base della ricca produzione di Friedman vi è un fondamentale ripensamento della relazione tra gli esseri viventi e il loro ambiente, mettendo al centro del suo pensiero radicale la produzione visiva.

Maurizio Bortolotti