Diana Vreeland la definì la sarta più importante del XX secolo. Sarta di quelle che sanno dare linea e superficie al vento. Una posizione fluida nel cuore del tema abito.

Lei che veniva da una umile famiglia di Aubervilliers e che a 12 anni si trova semianalfabeta e abbandonata dalla madre alle sole cure paterne, inizia a lavorare come apprendista in un “atelier de couture”.

Si sposa molto giovane, all'età di 18 anni e si separa dal marito a 23, dopo la morte prematura della sua unica figlia è in questo periodo che lascia Parigi per il Regno Unito. Nel Surrey lavora come lavandaia in un manicomio e apprende la lingua inglese.

Nel 1899 si trasferisce a Londra e lavora nella sartoria di Kate Reilly specializzata nella riproduzione di modelli originali francesi e sartoria ufficiale della corte inglese.

Nella capitale britannica assiste, a teatro, alle performance di danza di Isadora Duncan che dimostra con la sua potenza espressiva e la visionaria liberazione del corpo in motorietà ancestrale ed aerea possedendo la forza deificatrice di una vestale.

Nel 1902 torna a Parigi e comincia a lavorare come sarta presso l'atelier delle Sorelle Callot e ne diviene première.

Nel 1907 passa alla Maison Jacques Doucet come modellista e lì riesce a trovare il suo registro espressivo e a porlo in essere.

Nel 1912 apre il suo atelier al 222 di Rue de Rivoli e nel 1923 si sposta in Avenue Montaigne, al n. 50. Questa sarà la sua sede definitiva.

Il luogo comprendeva 20 atelier, una cucina, un refettorio, un asilo, una palestra, un'infermeria e uno studio dentistico. Come datrice di lavoro migliora i rapporti contrattuali, concede alle sue lavoranti malattia, congedi di maternità, e ferie pagate. Fa in modo che in azienda ci siano sempre a disposizione un medico, un dentista e un pediatra. Istituisce un asilo nido per accogliere i bambini delle sue ragazze e stabilisce per ogni nuovo nato, legittimo o illegittimo, una dote di 500 franchi.

Il segreto del suo successo sta nel creare abiti da sogno che avvolgono il corpo femminile come quello di una dea. Di fatto la stessa fabbrica dei sogni che è Hollywood ne trae beneficio per l'estetica delle sue divine protagoniste: le star del cinema.

Il tessuto viene tagliato e modellato su una diagonale di 45 gradi rispetto alla trama e all'ordito: “taglio sbieco”. Questa pratica è molto complessa e dispendiosa, in primo luogo per la quantità di materiale utilizzato nello sbieco e per lo scarto che ne consegue, ma anche perché interamente modellato sul corpo del manichino, o fisico della cliente. La tecnica del moulage è quella applicata per la realizzazione di taglio e drappeggiatura sul corpo.

Madeleine Vionnet sarà definita: “la maga dello sbieco”.

La complessità delle sue creazioni e la loro irriproducibilità sarà garantita dal primo approccio al copyright della storia della moda. Ogni creazione di Vionnet aveva un numero sequenziale alla precedente e su ogni etichetta Madeleine giustapponeva la sua personale impronta digitale. Oltre a questo veniva catalogato attraverso uno scatto fotografico fronte specchio che permetteva di coglierlo da tutte le angolazioni.

Allo scoppio della Grande Guerra Vionnet fa un tour dell'Europa che contempla anche l'Italia. Il rifarsi alla statuaria greca e più precisamente al tema del peplo ha portato Vionnet a legare il suo nome a questo indumento della storia del costume.

Il suo grande amico Ernesto Thayaht, conosciuto proprio in quel viaggio italiano, artista rappresentante del Futurismo che con lei collaborerà del 1918 al 1925 come suo illustratore e disegnatore ufficiale, realizzerà una declinazione grafica in movimento del peplo, che diverrà il simbolo della Maison Vionnet nel 1919.

Thayat interverrà sull'immagine di Vionnet dalla carta da imballo, agli inviti per le presentazioni, sino all'intestazione delle fatture e ovviamente, come già detto, al logo.

Fu antesignana del prêt-à-porter con due sperimentazioni negli Stati Uniti. Realizzò prima abiti dall'orlo non fatto, per poterli adattare alle proporzioni più diverse, nella collezione del 1924, intitolata “Made While You Wait” ed in seguito, nel 1926, realizzando quaranta capi che vennero venduti in tre taglie, con l'etichetta della maison riportante la scritta aggiuntiva di “Repeated Original”.

Entrambi gli esperimenti risultarono prematuri e non ebbero successo, ma dimostrarono la visionarietà di questa donna che realizzava, a differenza delle “Ford” di Chanel, delle “Rolls Royce”.

La sua progettazione parte dai piani geometrici (quadrato, triangolo...) dalla consistenza fluida, poggiati sul corpo, partendo da un modello umano d'artista, un manichino, da cui tutto inizia come base d'appoggio per tracciare aerei percorsi fisici.

Le superfici sono i limiti dei volumi e le linee i limiti delle superfici.

(Gleizes, Metzinger 1910)

Nell'agosto del 1939 presenta la sua ultima collezione e si ritira per sempre.

Nel 1952 dona il suo archivio all'UFAC (Unione Francese delle Arti del Costume).

Vionnet ha coltivato l'anatomia nella sua curvilinea natura e dalla curva ha toccato l'occhio donandogli la certezza della bellezza attraverso il corpo di colei che ne è avvolta, godendo di questa via di fuga nell'armonia più verticale attraverso una diagonale.