Metti una sera a cena con scampi freschissimi, avvolti in una gelatina di pomodoro giallo a cui è aggiunto del 'caviale' di frutto della passione. Il tutto adagiato su una crema di avocado e gazpacho di pomodoro. Et voilà, les jeux sont faits: la tartare di scampi è pronta per essere servita. Complicata? “Macché? Semplicissima. Solo idee messe in pratica”.

Niente è difficile ai fornelli per Mastro Leandro. L'importante è avere idee chiare e obiettivi certi. Poi è l'intuito a guidarlo. Infatti, lui la sua cucina la definisce personale e istintiva. “Una cucina del cuore che deve stupire per la sua semplicità”.

Oddio, architettare strati di vongole con patate e spuma di salsa in barca cotta nell'acqua delle vongole per poi chiudere con una sfoglia di patate croccante ottenuta friggendo una purea essiccata, non si può dire che sia proprio facile, neanche per una massaia esperta. Chi, invece, non ha problemi è il palato, che intercetta i diversi gusti e in bocca ne comprende facilmente il carattere.

“Se in un piatto ci sono quattro o cinque sapori, ma questi non si distinguono, allora è un piatto sbagliato. L'importante è orchestrare i sapori, dar loro un equilibrio: ogni nota si deve sentire nella giusta misura, per un insieme rotondo, proporzionato”. Lui, chef Leandro, di cognome Carotenuto, è un uomo grande ma in cucina si muove come una libellula agitando la sua bacchetta quasi fatata tra ingredienti insoliti, dalle alghe croccanti al gelato al basilico, dalle viole cornute alla spuma di bufala. Nato e vissuto all'Isola d'Elba, il giovanissimo Leandro sognava di diventare un Dj e orchestrare la musica. Invece Antonio, pizzaiolo di Porto Azzurro, gli insegnò a concertare pomodoro, basilico e mozzarella e lo istruì nell'arte della pizza. Poco dopo la signora Maria Pia, in un ristorante di Lido di Capoliveri, lo iniziò ai piatti della tradizione elbana. “In realtà mi è sempre piaciuto muovermi in cucina e sono sempre stato un gran mangiatore”, si giustifica. Ora, dopo oltre dieci anni di esperienza in un ristorante di Marciana Marina, ha deciso di mettere alla prova la sua passione.

Così è nato Umami, direttamente sulle scogliere del vecchio porticciolo di Marciana, con lo sguardo diretto verso il paese, da una parte, e verso la lontana Capraia, dall'altra. Gli chef nascono anche così, senza scuole, senza trasmissioni Tv, ma direttamente dall'amore e dall'esperienza. “Umami vuol dire saporito”, spiega chef Leandro traducendolo dal giapponese. Umami è il sesto gusto che si aggiunge a quelli ben più conosciuti di dolce, salato, amaro, aspro e grasso. Lo hanno scoperto, appunto, i giapponesi ed è un tono sapido che viene dal glutammato, tipico dei cibi proteici di tutto il mondo, dalla carne al pesce, dai pomodori al formaggio. Una qualità in più da esplorare in cucina, ma anche un nuovo comandamento che si aggiunge a quelli già rigorosi che Gault e Millau prescrissero nel 1973 per la Nouvelle Cousine. "Tu ne cuiras pas trop; tu utiliseras des produits frais e de qualité; tu seras inventif": recita, tra l'altro, il loro decalogo.

E di sicuro le 'invenzioni' non mancano nei piatti di chef Leandro. Ne crea cinque o sei all'anno utilizzando rigorosamente materia prima locale. “Senza i prodotti freschi che vengono dalla nostra terra e dal nostro mare non si possono fare piatti eccezionali”, sentenzia. Ma le 'contaminazioni' non mancano, sia quelle che vengono dal Sud o da altri Paesi, sia quelle della tradizione, o come le chiama lui, 'del tempo'.

Se poi gli chiedete qual è il piatto che ama di più vi risponderà che è quello che deve ancora inventare. “Mi sento un po' come uno sportivo che si pone sempre nuovi traguardi”, spiega. “Guai fossilizzarsi su una decina di pietanze e non andare più avanti. Non bisogna mai perdere la fantasia”. Fantasia che servirà anche per presentare il cibo ai commensali con disposizioni che abbiano garbo, ma anche eleganza. “Si mangia prima con gli occhi: ciò che è bello, sarà sicuramente anche buono”, commenta. “Una pietanza fantastica, ma impiattata male non potrà risultare così fantastica”.

Lui i piatti li disegna: a volte cerca forme geometriche, altre volte si lascia andare all'astrazione. Ma non si sente un artista. Semmai un artigiano che cerca sempre di migliorare perché la sua aspirazione è far star bene il suo pubblico, offrirgli nuovi sapori che lo dispongano alla rilassatezza, secondo il principio che negli alimenti naturali ci sta anche il buonumore. Certo, Mastro Leandro sa benissimo che per la sua cucina ci vogliono palati 'educati', ma sostiene di aver già 'convertito' tanta gente, arrivata nel suo locale con qualche 'sospetto' e poi diventata cliente abituale. E per 'convertire' anche noi ci regala una ricetta (quasi) facile, quella dei suoi fiori di zucca in tempura.

Fiori di zucca in tempura

Prima di tutto ci vuole un buon pesce fresco, dalla ricciola al dentice o altri pesci del nostro mare. Deve essere sfilettato e la testa messa a bollire e poi spolpata. Una volta che il pesce è pronto e diliscato ripassarlo in padella con olio, aglio, peperoncino e un poco di sale grosso. Lasciamo raffreddare questa base e dopo lavoriamola con ricotta di bufala (nella percentuale del 50 per cento rispetto al pesce), senza aggiunta di uova. A questo punto i fiori di zucca possono essere farciti.

Attenzione alla pastella: va fatta senza uovo, con acqua gassata ghiacciata, farina doppio zero, fecola di patate, amido di mais e farina di riso. Passare i fiori farciti nella pastella e friggere in padella con olio di semi a una temperatura di 160-170 gradi. Appena arrivano a colorazione sono pronti per essere serviti.

Lui li propone con una salsa di granceola, ma ci dà il permesso di accompagnarli ad una buona salsa di pomodoro fresco. E ci augura buon appetito!