Per voce creativa è un ciclo di interviste riservate alle donne del panorama artistico italiano contemporaneo. Per questa occasione Giovanna Lacedra incontra Ilaria Gonnelli (Lalla), nata a Firenze nel 1975.

Ilaria è una pittrice dalla straordinaria manualità e dalla autentica capacità di fermare, dei suoi soggetti – quasi sempre persone con le quali ha un profondo legame affettivo – il carattere, il temperamento, la personalità. “Il moto et il fiato” per dirla alla Vasari! La tecnica pittorica che predilige è olio su masonite. Ilaria si dedica ad una figurazione di tradizione, erede di una profonda conoscenza della storia dell’arte, e predilige l’uso di una pennellata viva, giustapposta, che genera volumi e definisce dettagli realistici con assoluta freschezza, venendo poi racchiusa da una linea ferma, decisa, assolutamente fiorentina. La ritrattistica è ampia nella sua produzione: autoritratti intimisti, simbolisti, audaci e sensuali, e poi ci sono i ritratti dei suoi figli, sempre pregni di un amore luminoso e solenne. Ilaria è anche una docente di storia dell’arte animata dal desiderio di insegnare pienamente il valore storico della bellezza. E poi scrive. E scrive con grande sincerità. Scrive e trasporta. Lasciamoci accompagnare dalle sue parole, allora. Ed entriamo nel suo mondo ricchissimo di creatività, attraverso la generosità del suo racconto.

Ilaria vive e lavora a Firenze insieme a Lalla, la sua altra sé. Ma questo ve lo spiegherà lei durante l’intervista! Ecco la sua voce creativa per voi.

Chi è Ilaria?

Ilaria è soprattutto una persona a cui piacerebbe riuscire ad attraversare questo mondo senza rovinarlo, una che cerca di limitare i danni (a natura, persone e cose). Ilaria è una mamma, un’insegnante, una figlia, un’amica… e annaspa ogni giorno cercando di fare tutto e preoccupandosi per tutti (finanche gli sconosciuti) e, nonostante ciò, è comunque molto brava nel sentirsi in colpa. È una gran secchiona, lo è sempre stata, afflitta da ansia da prestazione perenne e da un ingombrantissimo senso del dovere. È sempre puntuale, gentile, accogliente, accomodante… ma che fatica! Per fortuna c’è Lalla. Lalla è la strega che adora infrangere le regole e non si accontenta mai di condurre una vita normale. È quella che progetta continuamente nuove avventure. Le prudono le mani se sta troppo tempo senza scrivere o dipingere, ruba spesso del tempo per sé. Si veste coloratissima, dice parolacce, sorride spesso, fischietta tutto il giorno e agisce in modo disturbante. Lalla è la vera me, quando trovo il coraggio e l’egoismo per concedermi di esserlo. Dico sempre che il tempo non mi basta e che vorrei avere tre vite, vedrò di farmene bastare due.

Dove vai quando hai bisogno di ritrovare i tuoi passi?

Dentro me stessa. Ma se stiamo parlando di un luogo fisico, allora torno alla meravigliosa colonica dove sono cresciuta, mi lascio accogliere da volti amici, respiro aria buona, prendo il sole sulla faccia. Sono meteoropatica e per vivere ho bisogno della luce come le piante (o le lucertole). Sono l’ombra e il buio a farmi perdere. L’autunno è la mia stagione più difficile.

Che libri legge Ilaria prima di addormentarsi?

Il mio rapporto con la lettura non è stato sempre facile, ho imparato a leggere fluentemente solo dopo i dieci anni. Da adolescente ero ancora messa male, mi spaventavano i tomi troppo lunghi, credevo di non potercela fare e preferivo il cinema (che adoro tutt’ora). Sui vent’anni mi sono avvicinata alla letteratura a piccoli passi con Alessandro Baricco e Isabella Allende. Poi la fantascienza di Isaac Asimov. Crescendo, ho iniziato ad alternare letture di ogni tipo, dal fantasy (mi sono sorbita tutti e undici i volumi de Le cronache del ghiaccio e del fuoco di G.R.R. Martin senza rimorsi) a Francesco Piccolo (mi piace molto e ne Il desiderio di essere come tutti ha addirittura reso possibile che io leggessi con piacere un libro di politica) e Michela Murgia (su tutti, Ave Mary). Da tre anni a questa parte confesso che sul mio comodino campeggia anche tanto, tantissimo rosa. Soprattutto a titolo di ricerca perché quella svitata di Lalla ha deciso di scrivere una storia d’amore. Mi piace lo stile ironico e leggero di Kristan Higgins e Anna Premoli, i loro libri mi fanno pensare a commedie romantiche cinematografiche e credo che anche il mio possa fare questo effetto.

Quando hai iniziato a dipingere?

Subito. Prima di tutto. Prima di scrivere, leggere e, di sicuro, prima di socializzare. Già in età prescolare disegnavo molto bene, soprattutto ritratti e donne. La mia mamma dice sempre: “Sei stata la bambina più facile del mondo, non c’era bisogno di guardarti o farti fare qualcosa, lo facevi da sola, passavi ore e ore in camera a disegnare.” Ecco, forse più che facile, direi asociale e problematica. Ho passato tutte le ricreazioni alle elementari seduta nel mio banchino a disegnare. Nel disegno mi sono sempre sentita al sicuro, è la mia casa. Invece le persone mi hanno spesso fatto del male con facilità. Ne avevo paura e un po’ ne ho ancora. Sono sempre pronta a ricaderci: quando vengo ferita torno a chiudermi nel mio mondo, torno a sedermi nel mio banchino. E torno dalla pittura, lei mi aiuta sempre.

L’emozione ultima, di fronte ad una tela o ad una tavola nuda, prima di iniziare un’opera?

Prima di partire, ho ovviamente una mia volontà, ma la pittura cercherà di condurmi verso direzioni nuove. So già che mi aspetta una sorta di battaglia, nella quale potrei anche soccombere, ma in ogni caso sarà un’avventura ed è questo che mi interessa. Quindi, prima di cominciare guardo la masonite (il mio supporto prediletto), e mi sento soprattutto curiosa. Curiosa di scoprire dove ci porteremo a vicenda.

Quando e come nasce un tuo dipinto?

Un mio dipinto nasce quando ne ho bisogno. Quando non potrei fare a meno di farlo. La pittura non è una scelta per me, ma un’esigenza. Uso spesso il modo di dire “mi prudono le mani”, ma la realtà è un’altra: è la mia testa a prudere e a cercare sollievo. A livello pratico, ho bisogno di passare qualche ora con il soggetto nel mio studio, gli giro intorno, ci parlo, lo osservo. Lo fotografo con la mia sacra Canon. Cerco di coglierne l’intenzione e percepirne lo spirito. Una volta rimasta sola, lavoro sulla composizione. Quando finalmente inizio a dipingere, mi concentro soprattutto sullo sguardo e sul restituire quello spirito.

È vero che la scaturigine di un’opera è sempre autobiografica?

Nel mio caso, sì. Magari non è sempre facile per tutti coglierlo nel quadro finito, ma quello che tiro fuori e quello che provo mentre lavoro, sono sensazioni mie. La realtà che dipingo è filtrata attraverso il mio sguardo. La vedo solo io. Sì, non c’è dubbio (che sia un astratto, un ritratto, un nudo, una natura morta): è sempre il mio modo di sentire e vedere a essere rappresentato. Quindi sono io.

Che ruolo ha la memoria nel tuo lavoro?

Ho sempre avuto una memoria (soprattutto visiva) impressionante e nel mio lavoro ha un ruolo importantissimo. La memoria dei fatti e delle piccole cose (che considero grandi), degli sguardi, degli atteggiamenti quasi impercettibili, delle sensazioni. In alcuni difficili frangenti della vita, mi sono sentita dire: “Devi imparare a lasciar correre, a dimenticare il passato, a vivere solo il presente.” Non la penso così, la nostra storia ci rende quello che siamo, non voglio dimenticare né rinnegare niente, per questo sono fiera di ritrarre le mie rughe e i miei capelli bianchi. Mi piacciono tutti i segni del tempo, mi piacciono le cicatrici. Analizzo, trattengo e colloco ogni ricordo al giusto posto, poi me ne prendo cura. Lo faccio attraverso la pittura e la scrittura. Sono una custode della memoria, le mie opere lo sono, anche per tutte le persone intorno a me.

Chi sono i protagonisti delle tue opere?

Sono quasi sempre donne perché la mia vita è sempre stata costellata di figure femminili e perché la metà femminile del mondo per adesso mi ha delusa un po’ di meno e interessata un po’ di più. In ogni caso, sono sempre persone con le quali avverto una forte connessione, preferibilmente persone che amo e quindi soprattutto me stessa (perché in effetti Lalla è molto affezionata a Ilaria e la aiuta sempre ad amarsi e accettarsi).

Quale credi sia il compito di una donna-artista, oggi?

Di fare quello che cavolo le pare, finalmente! Di farlo senza l’appoggio di un compagno o di una compagna, se lo desidera. Sono sempre stata una femminista convinta. Nel mio piccolo, raccontando la mia sfera personale, cerco di affrontare temi universali (come la perdita, la maternità, l’amore, il decadimento fisico, la dignità personale) e di veicolare un messaggio di accettazione, valore, libertà e bellezza (indipendente dai canoni classici e dalle pressioni della società patriarcale in cui ancora viviamo).

Un lavoro tuo che ti sta maggiormente a cuore e perché?

Io, 41 anni è un olio su masonite, 70,50 x 47,50 cm del 2016.
Il 2016 è stato il mio annus horribilis, ho subito due perdite enormi. A febbraio, dopo una lunga malattia, mio padre è mancato. Praticamente in contemporanea, quello che credevo essere l’amore della mia vita, mi ha voltato le spalle. Per moltissimi mesi ho pensato solo al bene dei miei figli e a non affondare. Mi ha aiutato molto la scrittura, ma non ero più in grado di dipingere. Quando a fine anno ho finalmente trovato la forza di prendere di nuovo in mano i pennelli, ho dipinto questo, lo considero il mio ritorno alla vita. Sono molto grata a questo quadro. Lo guardo e ancora adesso si percepisce la sofferenza, ma ero una sopravvissuta, c’è molto altro: dignità, pulizia e forza.

Scegli tre delle tue opere e raccontamele.

Le due gatte, olio su masonite, 50x60 cm, realizzato nel 2018.
Di solito fotografo i miei soggetti nel mio studio, qui eravamo altrove e la luce del sole entrava diretta creando ombre molto nette, la gatta fessurò gli occhi in modo quasi maligno e io chiesi alla mia modella/nipote di tenere la testa alta perché volevo dipingere la fierezza. È il primo quadro della mia serie (che continua ancora oggi) di persone con gatti.

2020. olio su masonite, 46x63 cm, realizzato alla fine del 2020.
Un altro anno terribile (stavolta per tutti), avevo bisogno di tirare fuori e dipingere la frustrazione che provavo (e che provo tutt’oggi) nel non poter più comunicare anche attraverso il sorriso e la mimica facciale. Nel non poter più leggere le espressioni complete. La pandemia ci ha tolto anche questo, ha amputato i nostri volti, sono rimasti solo gli sguardi.

Dittico della Bellezza, olio su masonite, due pannelli 50x35, realizzato nel 2021.
Durante lo scorso anno, in piena pandemia, mi sono resa conto di avvertire dentro di me un crescente desiderio di bellezza. In questo primo lavoro sul tema, mia figlia ha posato per me sul blu (il mio colore prediletto). Durante i vari lockdown, ho ritratto anche mio figlio e me stessa. Il mio posto sicuro, la mia bellezza (capace di darmi la forza per andare avanti) siamo stati noi tre.

L’opera d’arte che ti fa dire: “Questa avrei davvero voluto realizzarla io!”?

Ho una lista segreta di almeno dieci opere che, più che aver dipinto, vorrei rubare (ci scherzo sempre nelle mie classi). Tra queste, La battaglia di San Romano (il pannello di Londra) di Paolo Uccello, Riposo durante la fuga in Egitto di Caravaggio, Garofano, giglio, giglio, rosa di John Singer Sargent, La Orana Maria di Paul Gauguin… se le possedessi veramente, la mia vita sarebbe finita: passerei tutto il mio tempo solo a adorarle. Ma vorrei dire anche, con sincerità, che mi è capitato molte volte di rimanere folgorata davanti a un’opera d’arte (avverto quasi una sorta di sindrome di Stendhal) e di aver pensato proprio la frase che tu dici. L’ultima volta quest’estate a Trieste, al museo Revolterra, di fronte a un dipinto di cui non avevo mai sentito parlare prima: Dopo la Prima Comunione di Carl Frithjof Smith. La bambina al centro della composizione mi ha ammaliato e quasi spaventato, è terribilmente viva.

Tu, come me, insegni Storia dell’Arte in un liceo. Quale credi sia la chiave vincente per fare innamorare gli adolescenti del nostro straordinario patrimonio culturale?

Insegnare sarebbe uno dei mestieri più belli del mondo, la nostra materia poi… ma prima di tutto ci vogliono coerenza e rispetto reciproco. Gli studenti e le studentesse hanno bisogno di attenzione e vogliono essere visti/e. Ilaria è un’insegnante che chiede moltissimo impegno e proprio per questo è la prima a impegnarsi senza riserve. Non si può pretendere, senza dare. E Lalla pensa ad agganciarli/e facendoli/e divertire con aneddoti e sorprendendoli/e spesso, la noia è la più grande nemica dell’apprendimento. Penso che la chiave stia proprio nel verbo che hai scelto: far innamorare. Ovviamente un buon apparato conoscitivo è indispensabile (e anche l’aspetto nozionistico non va sottovalutato), ma le opere vanno fatte sentire, più che fatte conoscere. Cerco di prendere le mie classi per mano, di avvicinarle agli artisti e condurle dentro le opere, di fargliele leggere e comprendere. Poi va detto che anche io mi servo di una didattica multimediale, ma il virtuale distorce, falsa. La realtà andrebbe sempre annusata e toccata, l’ideale sarebbe portarli/e davanti alle opere, quelle vere, con le proprie dimensioni e materiali. Ma la pandemia ha condizionato terribilmente il nostro lavoro.

Non solo organizzare uscite didattiche è diventato impensabile, ma indossare una mascherina durante la spiegazione impedisce una comunicazione empatica vera e propria: loro non possono vedermi sorridere, io non posso leggere un feedback nelle loro espressioni. Non parliamo della Didattica a Distanza e di quella mista. Cerco di adattarmi e fare comunque del mio meglio, nonostante tutto, ma la fatica è triplicata e l’incertezza su quale sia la reale efficacia dei miei sforzi moltiplica all’infinito il senso di frustrazione.

Comprendo, sento e sottoscrivo ogni singola parola della tua risposta, e condivido anche la fatica e la frustrazione che la scuola in pandemia ha generato in me, in te, negli insegnanti che ci credono, insomma! Ora torniamo a fantasticare ancora un po’… Dimmi un o una artista che avresti voluto esser tu.

Ma sono troppi/e! Come faccio a sceglierne uno/a? Vediamo… amo il coraggio e la brutale concretezza di Masaccio (ma è morto di veleno a soli 27 anni…); amo il silenzio matematico di Piero della Francesca (ma è diventato cieco e per decenni ha fatto la fame…); amo l’eleganza neoplatonica di Botticelli (ma dopo la crisi mistica di mezza età si è ripiegato su se stesso…); amo il simbolismo cromatico di Gauguin (ma era un po’ debosciato ed è morto pure di sifilide…).

La lista sarebbe infinita, ma dirò Wassily Kandinskij, era davvero un genio e il suo lascito è immenso, mi sono innamorata di lui in una mostra a Barcellona nel 2003 e non mi è ancora passata. Poi era anche lui un insegnante e mi pare abbia vissuto piuttosto bene per tutta la vita, anche quello conta, dovendo scegliere.

Tre aggettivi per definire il sistema dell’arte in Italia.

Guarda, lasciamo perdere, non vorrei che Lalla tirasse fuori tre parolacce. Probabilmente è colpa mia che non sono in grado di rapportarmi nel modo giusto con i galleristi, evidentemente è una competenza che mi manca. O magari sono solo stata molto sfortunata. Di fatto, dopo essere stata largamente sfruttata e presa in giro, da quasi dieci anni mi rifiuto di pagare per esporre e preferisco non partecipare più alle mostre. Dipingo per me e ogni tanto su commissione grazie al passaparola e alla diffusione delle mie opere in rete. Mi va benissimo così, a me interessa solo andare avanti nella mia ricerca, produrre.

In quale altro ambito sfoderi la tua creatività?

Dal 2000 sono andata a bottega e ho imparato la tecnica ceramica a livello professionale. Le mie sculture rappresentano parti di corpi femminili che sembrano affiorare e affondare nella parete. Superfici curve, luoghi sicuri ed eterni. Sono sentimentalmente legata a loro, le considero quasi vive, talvolta le accarezzo (e ci parlo). Purtroppo dal 2010 ho dovuto smettere e la scultura mi manca in modo indescrivibile, ma pretenderebbe uno spazio apposito e delle tempistiche che attualmente non sono in grado di concederle. Averla abbandonata è un mio grande rimpianto e spero che la vita mi dia la possibilità di potervi tornare di nuovo. E scrivo da sempre (anche da piccola, nonostante gli orrori di ortografia). La scrittura è un grande aiuto per affrontare la vita, al pari della pittura. Dal 2008, con cadenza pressappoco mensile, racconto la mia visione della vita e dell’arte nel mio blog.

Work in progress e progetti per il futuro.

Ho da poco terminato il mio primo romanzo, Blu Maria, che parla d’amore e di rinascita, ma anche di grandi capolavori della storia dell’arte. Sto lavorando per farlo arrivare alla pubblicazione. Scriverlo è stata un’avventura incredibile. Mi sono svegliata nel cuore della notte per almeno due mesi, mi si creavano i dialoghi in testa e non c’era verso di riprendere sonno finché non scendevo a digitarli sul pc. Qualsiasi sarà il risultato finale, intanto mi ha regalato una lunga insonnia creativa!

Per la pittura: sto ultimando un ritratto su commissione (per me è sempre un grandissimo onore quando qualcuno si fida di me al punto da permettermi di guardarlo attraverso i miei occhi), si tratta di una giovanissima ragazza con la sua gatta, è stato molto bello iniziarlo durante la notte di Capodanno. Ero sola e temevo che la cosa avrebbe finito per rattristarmi; invece, mi sono messa a dipingere alle 18:00 e ho continuato fino a mezzanotte. Come al solito la pittura è stata una compagnia perfetta. In questi giorni stavo pensando che mi piacerebbe realizzare anche un’allegoria del nuovo anno. E poi concedermi un astratto, lo faccio raramente, ma è davvero appagante. Insomma, Lalla ha sempre molte idee che le frullano in testa, il tempo non sarà mai abbastanza, ma ogni tanto è il caso che Ilaria le dia la possibilità di tirarle fuori.

Il tuo motto in una citazione che ti sta a cuore.

Dato che sono un po’ doppia, posso due? Il primo è: “Conta quello che si fa, non quello che si dice” di Cesare Pavese. E l’altro: “Sii gentile e abbi coraggio” da Cenerentola.