Per voce creativa è un ciclo di interviste riservate alle donne del panorama artistico italiano contemporaneo. Per questa occasione Giovanna Lacedra incontra Julia Runggaldier (Bressanone, 1993).

Sembrano prigionieri del nostro sguardo da voyeur i soggetti dipinti da Julia Runggaldier, giovane talento della pittura contemporanea dalla cifra già inconfondibile. Sembrano anime inquiete dentro anatomie distorte. Si muovono nervose o giacciono passive nell’attesa che qualcosa cambi, che la paura passi, che il nostro sguardo si allontani. Stanno sulla tela come in una inquadratura ravvicinata che mal sopportano e alla quale sembrano, in alcuni casi, volersi sottrarre. Ma ad arrestarle maggiormente – nelle loro pose, a volte contorte altre paralizzate –c’è il colore. Un colore acido, morbido o stridente, che spesso le contorna. Un colore dato per ampie pennellate e qualche volta per colature. Un colore che le isola. I verdi e i rosa avvolgono in un tempo cristallizzato queste figure spesso indefinite, come a volerle fermare in un fugace fotogramma. A tratti emerge una indefinitezza che ricorda certe opere di Gerard Richter degli anni Sessanta o di Daniele Galliano dei primi anni Novanta. Indefinitezza che suggerisce dinamismo, e poi una stasi agghiacciante. Quasi come se i colori dello sfondo volessero rallentare l’agitazione di queste creature senza nome, schiave della loro stessa mente, mentre il segno, scuro, quasi sempre nero, definisce il confine tra il corpo e l’ignoto attorno a sé.

Julia vive e lavora a Ortisei di Val Gardena E questa è la sua voce creativa per voi.

Chi è Julia?

Una che quotidianamente interroga l'illusorietà della realtà.

Perché la pittura?

Perché mi è sempre venuto naturale, senza dover ricorrere a riflessioni o sforzi. Ho iniziato molto presto a scarabocchiare su ogni pezzo di carta che trovassi. Per me la pittura equivale a automatismi innati. Rappresenta anche il lavoro su me stessa, crescita e ostacolo da superare. Per citare Toni Morrison: “Anything dead coming back to life hurts”. Una materia dalle mille sfaccettature: libertà, dubbio, dolore, gioia, ma soprattutto vita. La pittura è il Tutto.

Qual è stata la tua formazione?

Ho frequentato le scuole superiori ad Ortisei, Val Gardena, la “Scola d’ert Cademia”. Qui la materia principale era proprio la pittura, seguita da grafica e scultura. Successivamente ho continuato a dipingere in modo autodidattico.

Dove vai quando vuoi ascoltarti?

Indubbiamente cerco rifugio in me stessa. Fisicamente amo gli ambienti frequentati, caotici, frenetici. Le città, ad esempio. Più l'ambiente è vivo e colmo di frastuono, più riesco a concentrarmi su me stessa.

Chi sono i soggetti dei tuoi dipinti?

Sono soggetti di cui non distinguo il sesso, ma solo l’Essere. Corpi che, come in un crescendo, si trasformano con me. Ma il midollo “sofferente” rimane. Sono soggetti di invenzione, inesistenti, in cui ognuno di noi potrebbe trovarsi. Esprimono malinconia, isolamento e silenzio, contrastati da una particolare profondità nello sguardo e da una imponente e centrale presenza nel quadro. Desidero rappresentarli come se volessero evaderne, come se volessero essere esclusivamente di passaggio di fronte al nostro sguardo. Il modo in cui li rappresento lascia una domanda aperta: cosa sta succedendo loro? Mi interessa rappresentarli come collocati in uno spazio sospeso, un luogo indefinito in cui tutto può succedere.

Esiste un luogo che ti ispira, che fa fiorire nuove idee e visioni nella tua mente?

Più che un luogo, sono gli oggetti e la luce ad ispirarmi. Ho una mente vagante, vedo e capto qualcosa di stimolante in tutto ciò che mi circonda.

Che ruolo ha la memoria nel tuo lavoro?

Fondamentale, da essa nascono forma e colore. La memoria mi permette di creare immagini a livello mentale, conscio e subconscio.

È vero che la scaturigine di un’opera è sempre autobiografica?

Lo è spesso, immagino.

Un lavoro tuo che ti sta maggiormente a cuore e perché?

Saturn, febbraio 2021, determina un grande passaggio emotivo. Una rinascita figurativa e psicologica: sto imparando a lasciare andare.

Ad ispirarti, influenzarti, illuminarti ci sono letture particolari?

Il mio nome è Venus Black di Heather Lloyd ha smosso qualcosa in me. Resilienza, perdono e rinascita.

Raccontati attraverso tre delle tue opere.

Tra quelle più recenti Milk could help, The overview effect e House of Roseberry, tutte 2021. Ho iniziato a coltivare un interesse per l’abbandono, per le notti insonni e tempestate di incubi, da lì i colori stridenti e brillanti affiancati ad un buio cupo. Figure che sembrano presenti quasi per caso, la fragilità e la paura sono palpabili. Emerge ciò che mi fa cadere nel sogno.

Un o una artista che avresti voluto esser tu.

Georgia O’Keeffe.

Un artista del passato dal quale vorresti essere stata a bottega.

Basquiat.

Un critico d’arte o curatore con il quale avresti voluto o vorresti collaborare?

Miuccia Prada e Sarah Cosulich.

Quale credi sia il compito di una donna-artista, oggi?

Tutto ha origine nell’esperienza soggettiva. Perchè continuare a dirigersi nella direzione opposta, quella oggettiva? Normalizzare la varietà di ogni individuo è un bel compito.

Tre aggettivi per definire il sistema dell’arte in Italia.

Ricco, fresco, leale.

La paura che sfidi ogni giorno.

Di non trovare mai la risposta.

Work in progress e progetti per il futuro.

Work in progress è la sensazione appena percepibile che qualcosa stia cambiando nel mio modo di dipingere. Fino ad ora è solo psicologico, devo ancora capire.

Il tuo motto in una citazione che ti sta a cuore.

Vivi e lascia vivere.

Grazie Julia!