Sono tanti gli interrogativi e i misteri che aleggiano attorno al grande William Shakespeare. Una delle tante tesi, parla della sua origine italiana, invece che inglese. E gli elementi a favore di questa o quella ipotesi si avvicendano attraverso i secoli, tanto da oscurare o quasi, l’opera, il valore, e le mille sfaccettature dei suoi capolavori.

I personaggi shakespeariani hanno caratteristiche diverse da altri, si sviluppano davanti ai nostri occhi, prendono forma nel dramma o sul palco. Non si rivelano, fanno un percorso, si ascoltano, si trasformano. Parlano con se stessi, si origliano, s’interrogano. Discutono di ciò che li tormenta. Insomma, somigliano a noi. Cambia con il drammaturgo inglese il rapporto che i personaggi hanno con se stessi, e forse, anche con il loro creatore. Spesso, superano i confini della mente umana, viaggiando oltre la letteratura e la realtà. Sono esseri reali, al di là del loro nome (Oh Romeo Romeo), della loro corona (Amleto), della loro condizione, del loro essere.

La critica letteraria si è sempre spaccata, e dà di Shakespeare una lettura giornalistica, talvolta accademica. Il suo pensiero è invece ampio, originale, universale. Amleto è un dio che parla alle coscienze; nessuno può sfuggire al suo enigma, proprio perché è nostro quel mistero. Amleto ci mette davanti a una scelta, ci apre a una visione:

Essere o non essere? questo è il dilemma:
se sia più nobile nella mente soffrire
colpi di fionda e dardi d'atroce fortuna
o prender armi contro un mare d'affanni
e, opponendosi, por loro fine? Morire, dormire…
nient'altro, e con un sonno dire che poniamo fine
al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali
di cui è erede la carne: è una conclusione
da desiderarsi devotamente. Morire, dormire.

Le sue storie parlano di vicende umane, egli si guarda intorno, trova ispirazione ovunque. Perfino, le imitazioni dell’accento napoletano riprese in alcune commedie, suscitarono il suo interesse. In quegli anni, infatti, nasce il termine - napolitanerie -, per indicare le parodie, lo stile, la burla tipici della cultura napoletana. Shakespeare nella commedia Tempesta, inserisce proprio due personaggi napoletani, due buffi ubriaconi, che rappresenteranno con il loro ruolo quel modo - napoletano - di essere.

Impossibile contenere il pensiero di Shakespeare in un luogo fisico; ci tocca portarlo con noi.

Per comprendere l'autore è necessario calarsi nei suoi personaggi, prendere in mano i loro drammi, farsi accompagnare nel labirinto della mente e uscire da noi stessi e dal nostro pensiero. Con quei drammi possiamo entrare ovunque, andarcene in giro per una metropoli, visitare un museo, girovagare in ogni contesto di vita, cambiare il mondo e trasformarci. Con Shakespeare in tasca possiamo essere chiunque e ovunque.

La sua opera è un po’ come il vangelo con le sue parabole antiche millenni, ma attuali all’occorrenza. Dante parlava dell’amore e della libertà cristiana, mentre Shakespeare è pagano, infatti, conosce i suoi momenti migliori quando descrive grandi anime imprigionate. Quelle catene ci riportano all’universalismo e ad Amleto, il più grande degli spiriti, che pensando si fa strada verso la verità, a causa della quale muore. Forse Shakespeare vuole insegnarci a raggiungere qualunque verità e a sopportarla senza morire. La verità vi farà liberi - recitano i vangeli. Shakespeare ci trasforma in attori, ci mette su un palco, ci lascia da soli con le nostre tragedie, anche se non abbiamo letto nessuna delle sue opere.

Certi autori non ci faranno mai conoscere il confine fra letteratura e vita. Forse, ci insegnano, proprio che fra le due non vi è alcuna differenza, come tra autore e personaggio.

Essere o non essere. Siamo personaggi shakespeariani proprio come in una commedia. Continuiamo a costruirci e distruggerci, a pensare, dialogando con noi stessi. Ci facciamo strada verso la verità, pur sapendo che potrà ucciderci. L’interrogativo però resta e si nutre dei nostri dubbi, aumenta con le nostre fragilità: Cosa, chi siamo? Cosa saremo? Come ci vuole il mondo? Quel mondo uno dove noi siamo centomila? Beh! Abbiamo bisogno proprio di una buona commedia, di ruoli e di qualche maschera.

Mi piacerebbe seguire il volo che fa un angelo prima di cadere sulla terra. E come osservare i gesti e i giochi di un bambino, vorrei sentire i suoi pensieri, accogliere quelle parole: essere o non essere? Guardare la scena di un attore, seguire quell’istante che lo separa dal palcoscenico.
Cosa dirà? Cosa farà? E soprattutto cosa sentirà? Ma attenzione! Shhh, ecco, il sipario si apre!