La notte tra il 4 e il 5 agosto del 358 la Madonna apparve al patrizio romano Giovanni e a sua moglie, che da tempo pregavano affinché fossero illuminati sulla destinazione da dare ai loro averi, esprimendo il desiderio di vedere costruita una basilica nel sito in cui quella notte sarebbe caduta la neve. Il patrizio si precipitò da papa Liberio (352-366) per riferirgli dell'apparizione, ed apprese che la Vergine si era manifestata anche a lui. Giovanni e il pontefice si recarono immediatamente sull'Esquilino, dove la neve era caduta copiosamente, e dove quest'ultimo tracciò il perimetro della futura chiesa, la basilica della Madonna della Neve, ad Nives secondo l'antico Breviarium Romanum del 5 agosto, il notturno.

Il racconto, per quanto mirabile, deve considerarsi leggendario, tanto che non si ritrova prima dell'anno Mille e per iscritto soltanto nel 1288 nella Bolla di Niccolò IV (1288-1292). Proprio perché privo di fondamento storico, l'avvenimento avrebbe dovuto essere eliminato dal “sacro officio” nella riforma del breviario ordinata da Benedetto XIV (1740-1758), ma poiché innumerevoli chiese portavano il nome della "Madonna delle Nevi", si decise di mantenere sia le festività sia le letture.

Il miracolo della neve

Le origini della tradizione sono quindi incerte, potendo avere probabile fondamento nell'usanza di coprire il pavimento della chiesa con fiori bianchi in occasioni speciali, così come descritto da san Paolino di Nola. Ancora oggi, il 5 agosto di ogni anno, si celebra liturgicamente il miracolo della neve facendo cadere dall'alto nella navata centrale petali di rose e gelsomini, mentre sul sacrato viene fatta cadere neve artificiale. Nel Pantheon, consacrato alla Madonna sotto il titolo di Santa Maria ad Martyres, è documentata l'abitudine di cospargere il pavimento con petali o foglie. Un passo del Liber Politicus di Benedetto canonico (secolo XII) descrive, ad esempio, una caduta di petali di rose rosse dall'alto del foro centrale della cupola, in occasione della "dominica de rosa", quando il pontefice predicava l'avvento dello Spirito Santo.

Naturalmente si possono osare altre supposizioni. Santa Maria Maggiore potrebbe essere stata edificata sul colle Esquilino perché qui vi sorgeva il sacrario della dea invocata dalle donne romane nei parti, Giunone Lucina. La nostra basilica potrebbe essere stata eretta qui per opporre il parto virgineo dell'Immacolata al mito di Lucina e stroncare così il culto pagano. Alcuni studiosi avanzano ancora un'altra ipotesi, che “il nome della basilica di Santa Maria ad Nives potrebbe derivare dall'antichissima tradizione che vuole vicino alla basilica - nella regione urbana denominata fin dal tempo dei Re di Roma con il nome Vicus Patricius - la dimora del centurione Cornelio della coorte detta Italica. Quest'uomo religioso e timorato di Dio fu il primo romano battezzato da san Pietro, "le primizie dei gentili", le cui vesti lavate nel lavacro del battesimo divennero più bianche della neve. Nella devozione popolare, quindi, la Madonna, concepita senza peccato, sceglie la sua dimora a Roma nei pressi dell'abitazione del primo gentile, reso immacolato nel lavacro battesimale, quindi "ad Nives".1

Papa Liberio

Il Liber Pontificalis afferma esplicitamente che la storia della basilica inizia con papa Liberio (352-366): «Fecit basilicam nomini suo iuxta Macellum Liviae». Anche se scavi e studi recenti hanno dimostrato che il mercato di Livia non si trova sotto la basilica ma nelle vicinanze, alla morte di Liberio, il 1 ottobre 366, la basilica doveva essere edificata.

Nella chiesa di San Lorenzo in Lucina venne eletto legittimamente il nuovo pontefice, Damaso (366-384); ma contestualmente nella basilica Iulii venne eletto l'antipapa, l'anziano Ursino. Nella lotta per il riconoscimento di quest'ultimo, il 26 ottobre 366, i suoi seguaci si rifugiarono nella Basilica Liberiana. Damaso raccolse il popolino della città (imperitam multitudinem), gli scavatori delle catacombe (fossores), i lavoratori del circo (arenarios, quadrigarios) che assediarono la basilica per espugnarla. Ci fu una cruenta lotta e, alla fine, come ricorda san Girolamo, si ebbero centosessanta morti da ambo le parti.

Dopo questo triste episodio, le fonti tacciono per quarantotto anni. Forse papa Damaso si impegnò nel restauro della Basilica Liberiana utilizzando materiale di recupero? Quel che è certo è che Sisto III (432-440) edificò una nuova grande basilica, sia per dimenticare quel tragico avvenimento, sia per acclamare la Madonna Dei Genetrix Theotokos, cioè Madre di Dio, e non solo Madre di Gesù Cristo (titolo contestato dagli ariani), dopo il Concilio di Efeso del 431.

Architettura paleocristiana

Tipologicamente la basilica presentava una struttura paleocristiana, a tre navate ritmate da due file di venti colonne di marmo pario sormontate da capitello ionico, preceduta da nartece e atrio. Le dimensioni erano notevoli, misurando in lunghezza 86,54 metri e in larghezza 32,12 metri. La copertura a capriate e le finestre della navata centrale, in numero doppio dell'attuale, dovevano conferirle snellezza e luminosità. L'abside annoverava cinque finestre, con al centro del catino, dove ora sono i mosaici gotici, un mosaico con fogliame a spirale e la Madonna con il Bambino sopra una fila di santi; in alto la mano di Dio.

La basilica di Santa Maria Maggiore si discostava tuttavia dalla canonica basilica costantiniana in due fondamentali settori. Sui capitelli ionici delle colonne dove si impostava un'alta trabeazione ellenizzante capace di indirizzare l'occhio dell'osservatore verso l'abside; nelle pareti della navata principale dove, sopra l'architrave, si presentava una serie di semipilastri che includevano un doppio ordine di nicchie: alternativamente ad arco ed a timpano quelle inferiori con inseriti pannelli con mosaici, ad arco ed aperte da finestre quelle superiori.

L'ordito architettonico-pittorico-plastico delle due pareti è il responsabile primario della percezione di uno spazio antico che chi accede in basilica percepisce ancora oggi. Lungo le pareti ventisette pannelli illustrano Storie dell'Antico Testamento, pertinenti alle figure di Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè, Giosuè; sull'arco trionfale sono raffigurate Storie dell'Infanzia di Cristo. Questi cicli costituiscono anche un contraltare cristiano alla moda classicheggiante della Roma pagana della fine del IV-inizi V secolo.

In Santa Maria Maggiore si conservano i cicli più vasti, articolati e persino enigmatici dell'arte romana paleocristiana. Sono perduti i mosaici dell'abside e della controfacciata, così come di alcuni pannelli delle pareti sacrificati per l'apertura degli archi in corrispondenza delle cappelle Paolina e Sistina, ma l'intero rivestimento a mosaico, quale è oggi superstite, nell'arco trionfale e nella navata, rappresenta un organico insieme, pertinente al progetto sistino e immediatamente posteriore all'edificazione delle murature, e dunque databile tra il 432 e il 440.

Il Presepe

La Basilica Sistina doveva avere sin dalle origini anche una riproduzione della Grotta di Betlemme con incluse le reliquie portate dalla Palestina, in quanto nel VI secolo una benefattrice della chiesa, Xantippa, la definisce Santa Maria ad Praesepe, citata pure nel Liber Pontificalis nel periodo del pontificato di Teodoro I (642-649). La Grotta si trovava presumibilmente in un oratorio a parte, dove si conservavano pure le reliquie di san Gerolamo, attualmente custodite nella basilica. La raffigurazione di questo santo si trova nel mosaico della tomba eretta al cardinal Gonsalvo d'Albano nel 1299, opera di Giovanni di Cosma, che annovera l'epigrafe Recubo praesepis ad antrum (in riposo presso la grotta del presepe).

La basilica paleocristiana non subì sostanziali modifiche fino al pontificato di Pasquale I (817-824), allorquando la cattedra pontificale, troppo vicina al matroneo tanto che le matrone potevano facilmente ascoltare le parole che il pontefice rivolgeva ai suoi ministri, fu spostata in fondo all'abside in posizione centrale. Inoltre, si realizzò un nuovo altare, sopraelevato su otto gradini di porfido sormontate da una trabeazione in marmo bianco: nasceva così il presbiterio.

La Cappella del Presepio nella navata laterale in prossimità dell'attuale Cappella Sistina fu edificata da Marchionne Aretino per volere di Innocenzo III (1198-1216). Il Senato e il popolo romano offrirono un baldacchino d'altare collocato a sinistra dell'arco trionfale, benedetto il 21 luglio 1211, per l'icona Salus Populi Romani. Dopo il trasferimento dell'icona nella Cappella Paolina, vi furono sistemate le reliquie della Santa Culla. A destra dell'arco trionfale, nel 1256 venne eretto un tabernacolo donato da Jacopo di Janni Capocci, per le reliquie dei santi Simplicio, Faustino e Beatrice.

Il restauro della Cappella del Presepio iniziò sotto Onorio III (1216-1227) e si concluse durante il pontificato di Onorio IV (1285-1287). Arnolfo di Cambio vi scolpì il Presepio, del quale alcuni personaggi si conservano tuttora all’interno della basilica, il monumento di Onorio III ed un nuovo altare.

Il concetto della renovatio Romae che tanto aveva influito nel XII secolo sulle arti sviluppate nell'Urbe, al principio del secolo successivo aveva iniziato a limitarsi in completamenti e ristrutturazione di chiese e basiliche.

A Santa Maria Maggiore venne quasi contemporaneamente edificato ex novo un transetto sporgente su cui si innesta l'abside che, secondo antiche fonti, presentava esternamente andamento poligonale. Nel transetto sinistro fu iniziata una decorazione a fresco di cui rimane una larga bordura con inseriti grandi clipei con busti di profeti, che restano uno dei casi più problematici della pittura romana del tempo, tanto da avallare attribuzioni a Giotto, Maestro d'Isacco, Cavallini, Rusuti ed altri. La nuova abside fu ornata con un innovativo ciclo iconografico di glorificazione di Maria, tema desunto dal repertorio della scultura monumentale delle cattedrali gotiche.

La stessa diretta connessione la ritroviamo nella Dormitio e nelle scene della Vita della Vergine presenti nell'emiciclo absidale. Precisamente sotto e in asse con l'Incoronazione, troviamo la Dormitio che non solo interrompe la successiva cronologia degli episodi, ma occupa uno spazio doppio rispetto alle altre scene, occupando anche lo spazio della finestra centrale. La decorazione a girali mostra invece una discendenza da elementi paleocristiani e classici. La fabbrica divenne in quel tempo un attivo cantiere nel quale furono chiamati i più validi artisti del tempo. Il programma di Niccolò IV prevedeva ancora altre opere: la controfacciata reca infatti la frammentaria immagine di un Agnus Dei tra girali vegetali, probabilmente lacerto di una composizione raffigurante il Giudizio Universale.

La ridecorazione dell'antica basilica si avvalse anche dell'opera di Filippo Rusuti, che sul cavetto di facciata eseguì un importante mosaico raffigurante il Cristo Giudice entro un clipeo sul bordo del quale appose la propria firma. Sul lato destro appaiono il Battista, san Pietro, sant'Andrea e san Matteo; su quello sinistro sono raffigurati Maria, san Paolo, san Giacomo, san Girolamo. Le figure estreme sono quasi totalmente perdute nell'edificazione della nuova facciata settecentesca; distrutte anche le figure dei committenti, i cardinali Pietro e Jacopo Colonna, la cui presenza è documentata da un disegno seicentesco conservato nella National Gallery of Scotland di Edimburgo. Sotto la fascia descritta, vi sono raffigurate quattro scene relative alla leggendaria fondazione della Basilica Liberiana. Alcuni studiosi ritengono che le due fasce siano state eseguite in un'unica fase, prima del 1297, anno in cui la famiglia Colonna, alla quale era affidato il patronato della chiesa, venne messa al bando e privata di tutte le cariche; altri ipotizzano una esecuzione in distinti momenti.

Dopo il ritorno del pontefice a Roma da Avignone, sotto Gregorio XI (1370-1378), ma con il contributo economico del cardinale Elciario, fu edificato il campanile. Masolino da Panicale negli anni 1428-1431 dipinse per l'altare della basilica l'Assunzione della Vergine e il Miracolo della Neve, ora alla Galleria Nazionale di Capodimonte a Napoli. Le tavole con i Santi Pietro, Paolo, Giovanni Evangelista e Martino sono invece nella Collezione Johnson di Philadelphia, i Santi Girolamo, Giovanni Battista, Liberio e Mattia nella National Gallery di Londra, la Dormitio della Vergine e la Crocefissione nella Pinacoteca Vaticana.

Estremamente attivo fu il cardinale Guillaume d'Estouteville che, tra l'altro, nel 1450 commissionò la costruzione dell'arcata del transetto per coprire le due ali, con le volte delle navate laterali, mentre nel 1457 ordinò di aprire i nuovi ingressi delle navate laterali accanto all'abside. Il soffitto a cassettoni della navata centrale e il fregio in legno lungo le pareti della stessa furono eseguiti su progetto di Giuliano da Sangallo per volere di Alessandro VI (1492- 1503). Baccio Pontelli tra il 1503 e il 1513 curò la sopraelevazione del campanile terminante in cuspide.

La Cappella Cesi fu inaugurata nel 1550, mentre dal 1564 al 1573 si edificò la Cappella Sforza progettata da Michelangelo ma terminata da Giacomo della Porta. Nel 1575 venne aperta la via Merulana che metteva agevolmente in comunicazione Santa Maria Maggiore con il Laterano; nello stesso anno Martino Longhi il Vecchio restaurò l'atrio e realizzò il raddoppio delle colonne.

Le Cappelle, il prospetto posteriore e la nuova facciata

Il 14 gennaio 1585 iniziarono i lavori per la costruzione della Cappella Sistina, voluta da Sisto V (1585-1590) e progettata da Domenico Fontana. Nel luglio del 1605 Paolo V (1605-1621) decise di edificare la Cappella Paolina, incaricando dei lavori Flaminio Ponzio. Il prospetto posteriore fu oggetto di studio di Gian Lorenzo Bernini che progettò la demolizione della vecchia abside per spostarla in avanti al fine di creare un semicerchio con quattordici colonne che avrebbero dovuto stare intorno alle nicchie dell'altare. I lavori iniziati nel settembre 1669 furono sospesi per la morte di Clemente IX (1667-1669) oltre che per difficoltà tecniche. Il successore, Clemente X (1670-1676) commissionò a Carlo Rainaldi la sistemazione della facciata dell'abside. Su progetto di Ferdinando Fuga nel 1741 venne posta la prima pietra della nuova facciata con la Loggia delle benedizioni, che ebbe il merito di conservare quasi totalmente il mosaico altomedievale.

Terminata la facciata, nel 1743, iniziò il restauro generale dell'intera basilica, che venne regolarizzata accademicamente, perdendo molto della "patina" paleocristiana. Ulteriori interventi vennero promossi da Leone XII (1823-1829), con la consulenza di Giuseppe Valadier, e da Pio IX (1846-1878) che commissionò a Virgilio Vespignani i lavori di ampliamento della confessione.

Tra gli interventi recenti vanno segnalati gli scavi eseguiti dal 1967 al 1972, che hanno riportato alla luce, a circa sei metri sotto il piano di calpestio dell'attuale basilica, un grandioso edificio e il restauro totale della facciata nonché di vari ambienti della basilica e delle canoniche, realizzato a partire dal 1980 dai Servizi Tecnici del Governatorato Vaticano.

Note

1 J. Pustka, Santa Maria Maggiore, Edizioni d’Europa, Roma 1992, pp. 16-17.