21 settembre 1990.

Un agente di commercio percorre la superstrada Canicattì-Agrigento per raggiungere il suo miglior venditore nella zona. Il paesaggio scorre lentamente fuori dai finestrini della sua Lancia Thema, poiché una gomma bucata lo costringe a viaggiare a soli 70 chilometri orari.

Durante il tragitto, una scena cattura la sua attenzione: una Fiesta rossa ferma a bordo strada, un uomo in camicia azzurra che scende rapidamente dall’auto, scavalca il guardrail e corre verso la campagna. Dietro di lui, due uomini: uno lo insegue con una pistola in mano, l'altro lo aspetta seduto su una moto da cross, una Enduro bianca e rossa, con la targa coperta da nastro adesivo. Di fronte alla Fiesta, c'è una Fiat Uno beige.

Continua a guidare impietrito e confuso, non sa cosa sia successo ma sa bene cosa ha visto.

Non esita un attimo, deve raggiungere il primo telefono e chiamare la polizia.

L’uomo in camicia azzurra era il giudice Rosario Livatino, ucciso a soli 37 anni. Gli assassini erano i membri della Stidda agrigentina, organizzazione criminale a stampo mafioso contro la quale il giudice combatteva quotidianamente. L'agente di commercio che ha assistito all’omicidio era Piero Nava, all’epoca 42 anni, il primo testimone di giustizia in Italia.

Quei pochi secondi avrebbero cambiato la sua vita e quella della sua famiglia per sempre. La sua testimonianza porterà all'arresto di 11 persone, ben 12 anni dopo.

La straordinarietà del gesto di Piero Nava, che rese incredulo e diffidente anche il giudice Giovanni Falcone, è la somma di più elementi: Piero Nava fu in grado di memorizzare in pochi secondi l’esatto modello della moto dei killer e di riconoscere successivamente l’uomo col casco, seduto sulla moto, solo dalla postura. Piero possedeva una memoria fotografica e un’attenzione eccezionale per i dettagli grazie al suo lavoro di direttore commerciale, capacità rese ancora più efficaci a causa dell’andatura lenta della sua automobile, dovuta alla gomma bucata.

I killer si accorsero subito della presenza di un testimone ma non pensarono minimamente di eliminarlo, nessuno in Sicilia avrebbe mai testimoniato contro la Stidda.

Piero Nava rilasciò la sua deposizione convinto di poter tornare immediatamente a svolgere il proprio lavoro, completamente ignaro di quello che sarebbe successo dopo: i continui cambi d’identità, gli anni chiusi in casa senza alcun contatto con l’esterno, la distruzione di qualsiasi testimonianza del proprio passato e di qualsiasi legame con la sua vita precedente.

Ci vollero ben sei anni per avere delle nuove e definitive identità, per poter ricominciare una nuova vita. Una moglie, due figli piccoli, un lavoro che amava perso per sempre e sei lunghissimi anni fatti di assenze, frustrazioni, errori burocratici e paura.

Piero Nava è un uomo che incarna il paradosso del nostro presente: un atto che dovrebbe essere dovuto e alla base di ogni società civile, ossia assistere a un atto criminale e denunciarlo alla polizia, diventa eroico e straordinario. Piero e la sua famiglia sono eroi e vittime di un sistema burocratico impreparato a proteggere un testimone.

Ai tempi non esisteva infatti un sistema, una legge, per proteggere i testimoni di giustizia, non era mai successo di raccogliere una testimonianza su un delitto di mafia.

Gli unici ascoltati fino a quel momento erano collaboratori di giustizia, uomini di mafia che decidevano di raccontare i propri delitti e quelli dei loro affiliati per un proprio tornaconto.

Evidenziare la differenza tra collaboratore e testimone di giustizia è fondamentale per garantire la giusta tutela e riconoscimento ai testimoni, ed è alla base della legge n.6 del 21 febbraio 2018, una legge che lo stesso Piero ha contribuito a scrivere, condividendo con la commissione parlamentare antimafia tutte le difficoltà affrontate nei lunghissimi anni senza identità.

La storia di Piero Nava è raccontata nel libro di Pietro Calderoni “L’avventura di un uomo tranquillo” del ’95 e nel film “Testimone a rischio” di Pasquale Pozzessere del ’97.

Recentemente i giornalisti lecchesi Lorenzo Bonini, Stefano Scaccabarozzi e Paolo Valsecchi, sono riusciti a rintracciare Piero dopo un lungo lavoro di ricerca, attraverso un membro delle forze dell'ordine che ha accettato di fare da tramite. Dall'incontro tra i giornalisti e il testimone è nato il libro “Io sono nessuno. Da quando sono diventato il testimone di giustizia del caso Livatino”(2020), un' autobiografia che racconta l'odissea incredibile che ha investito Piero e la sua famiglia.

Il libro è stato d'ispirazione per lo spettacolo teatrale “Sono stato anch’io - la mia vita in fuga dalla mafia”, scritto dagli stessi giornalisti in collaborazione con Alberto Bonacina e Roberta Corti dell’associazione culturale Lo Stato dell’arte.

Piero è stato inoltre intervistato da Pif nel suo programma “Caro Marziano”.

Ho avuto l’occasione di conoscere questa storia perché ho scritto le musiche per lo spettacolo teatrale e le ho eseguite dal vivo. Questo mi ha dato l’opportunità di ascoltare la voce di Piero Nava, alterata per sua sicurezza, durante i suoi frequenti interventi telefonici.

Al termine degli spettacoli riserviamo uno spazio alla sua voce, alle sue parole, pochi minuti che il testimone usa per ribadire un concetto che è l’epitome della sua persona: “Lo Stato siamo tutti noi, nessuno escluso.”

Piero racconta che il suo gesto, per quanto straordinario, è stato un atto dovuto di un cittadino comune, cresciuto con un profondo senso dello Stato e del dovere. Ribadisce che ognuno di noi ha l’obbligo morale di rendere il nostro paese un posto migliore, anche a costo di sacrificare la propria libertà.

Dopo aver ascoltato la testimonianza di Piero Nava, emerge un pensiero dominante, una verità scomoda ma lampante: abbiamo bisogno di considerare eroi persone come Piero Nava per sgravarci dalle nostre responsabilità come cittadini. Se Piero Nava è semplicemente un italiano che ha adempiuto al suo dovere, come possiamo competere con la sua statura morale?

È confortante rifugiarci dietro figure eroiche come Falcone o Borsellino le cui vite furono interamente dedicate alla lotta contro la mafia, è molto più difficile rapportarsi con un uomo che stava semplicemente vivendo la sua vita quando si è trovato, per casualità, ad assumersi una profonda responsabilità.

Siamo abituati a delegare il rispetto della legge a queste figure eroiche che tendiamo a disumanizzare, come se non fossero fatti di carne e ossa come noi, come se non avessero paura come noi.

Raccontare questa storia incredibile è un onore e un dovere civico, significa contribuire a dare il giusto riconoscimento a una persona che ha perso tutto per bisogno di verità e giustizia, "un eroe dimenticato del nostro paese" come lo definisce Rosy Bindi nella prefazione del già citato libro "Io sono nessuno".

L'ex presidente della commissione parlamentare antimafia incontrò Piero Nava il 21 settembre 2016, in sede parlamentare, da questo incontro nacque un rapporto umano molto profondo tra i due. Piero fu invitato in Vaticano dalla commissione parlamentare antimafia il 21 settembre 2017 per la commemorazione del ventisettesimo anniversario della morte del giudice Rosario Livatino, un momento commovente che gli permise di incontrare Don Giuseppe Livatino, cugino del giudice e promotore del processo di beatificazione di Rosario, avvenuto il 9 maggio 2021.

Quando portiamo in scena lo spettacolo su Piero nelle scuole, spesso ci viene chiesto dai ragazzi: voi cosa avreste fatto?

Noi ribattiamo sempre dicendo che è impossibile rispondere a questa domanda, abbiamo però chiesto a Piero Nava se, tornando indietro, rifarebbe lo stesso gesto: la sua risposta è ferma nel ribadire che testimoniare era l’unica cosa che avrebbe potuto fare, per continuare a sentirsi uomo, per potersi guardare allo specchio.

“Vi chiedete se lo rifarei? Certo, perché devo avere rispetto di me stesso, il primo ad avere rispetto di me stesso devo essere io, non gli altri."

Piero non era un giudice o un poliziotto, era un agente di commercio nel fiore degli anni che ha dovuto rinunciare a tutto perché ha seguito il proprio bisogno di verità e giustizia.

Un uomo, un marito, un padre, un lavoratore, uno come tanti, uno come noi.