Fra gli album che maggiormente si sono lasciati ascoltare nel corso degli ultimi mesi c'è sicuramente Lucio Dove Vai?. Si tratta del quarto album di Costanza Alegiani che la musicista ha condiviso con il suo trio abituale Folkways (completato da Marcello Allulli al sax e Riccardo Gola al contrabbasso), pubblicato per la attivissima Parco Della Musica Records ed impreziosito da una foto di copertina del Maestro Luigi Ghirri. Si tratta di un omaggio originale e lontano dai cliché intorno a Dalla, perché la cantante e compositrice romana ha realizzato una ricerca sul primo periodo, scegliendo con estrema cura otto quadretti che sintetizzano il lato più sperimentale del geniale artista bolognese, per il cui esito ha coinvolto altri due ospiti eccellenti come Antonello Salis alla fisarmonica e Francesco Diodati alla chitarra.

Scelte dal repertorio degli anni ’60 e ’70, ecco che riprendono vita canzoni come Anidride Solforosa, canto popolare che racconta il cambiamento delle nostre città negli anni ’70; Il Coyote, una gara ideale tra questo animale scaltro e tutto terrestre e una stella splendente; La Canzone di Orlando, con un testo scritto con la materia dei sogni; Carmen Colon, l’anima e la forza di un blues suadente nel racconto di un dramma di cronaca nera; il racconto di vita e di speranza nei Due Ragazzi; la storia romantica che sa di sangue di Anna Bellanna; tutta la malinconia, il desiderio e la disperazione nell’immortale e struggente La casa in riva al mare impreziosita dal solo di un grande Antonello Salis. Infine, la stessa Lucio Dove Vai?, un monologo con se stesso in cui c’è tutto Dalla, fuori da ogni compromesso, imprendibile, se stesso.

Quando Valerio Corzani - sottolinea la Alegiani - mi ha proposto di realizzare un concerto radiofonico in omaggio a Lucio Dalla per Rai Radio3 (all’interno di una giornata radiofonica interamente dedicata a lui), sono rimasta molto colpita e incerta sul da farsi. Almeno in un primo momento; oggi quando canto questi brani mi sembra tutto naturale, come se li conoscessi da sempre. L’idea di Valerio e di Radio3 era di proporre al grande pubblico radiofonico un repertorio meno conosciuto di Lucio, ossia quello degli esordi musicali fino al 1976, anno in cui si concluse la collaborazione con il poeta Roberto Roversi. All’interno di questa discografia durata una decade, ho avuto carta bianca nella scelta dei brani e a partire da questi presupposti è iniziato un periodo di ascolto immersivo della musica di Dalla, di condivisione di ascolti e di idee con Marcello Allulli e Riccardo Gola con cui suono abitualmente in trio, coinvolgendo anche Francesco Diodati come ospite e collaboratore per questo primo concerto radiofonico.

Hai scoperto insieme a loro altre gemme di cui ti eri scordata o che proprio non conoscevi?

Sicuramente sono venuti fuori dei piccoli e grandi capolavori musicali all’interno di questa discografia e dopo alcune settimane ho scelto un nucleo di canzoni, dovendo necessariamente operare una scelta personale e musicale, in linea con il linguaggio musicale del gruppo e con il nostro modo di fare musica e di elaborare i brani. Dopo questa prima esperienza abbiamo deciso di continuare questo progetto live per poi proporre alla Fondazione Musica per Roma, con cui collaboro da alcuni anni, di registrare questo repertorio insieme al mio trio Folkways, e con la collaborazione di Antonello Salis alla fisarmonica e di Francesco Diodati alla chitarra. Tutto è successo in poco tempo, tutti noi abbiamo messo in campo le nostre energie e qualità migliori, dai musicisti alla produzione, e posso dire che il disco è stato realizzato ed è nato sotto una buona stella. Inoltre l’Archivio Ghirri e gli eredi di Luigi Ghirri ci hanno concesso l’utilizzo di una sua foto meravigliosa per la copertina del disco, e di questo gliene sarò sempre grata, per la loro disponibilità e gentilezza.

Con che stato d'animo ti sei posta nei confronti di omaggio a Lucio e chi era per te fino a quando era in vita? Quando lo hai scoperto? Dopo che ci ha lasciati, come eventualmente è cambiata la sua percezione?

Ho vissuto diversi stati d’animo, dalla prima chiamata alla registrazione in sala del disco Lucio dove vai?. Come dicevo, all’inizio ero titubante, perché la voce di Lucio è strabordante, riempie tutta la scena, ti sembra intoccabile e unica. Difatti lo è. Ma la mia conoscenza della musica di Lucio era molto superficiale fino a due anni fa, conoscevo i brani più famosi e popolari, ma non sono cresciuta con la sua musica in casa. Quindi il mio approccio si può dire sia stato vergine, senza pregiudizi o particolari affetti, e non conoscevo praticamente nulla della prima stagione musicale di Dalla. Questo mi ha permesso un ascolto puro e la possibilità di vivere l’esperienza di sentire una canzone per la prima volta, di innamorarsi. Da questa prima epifania, ho poi intrapreso la scelta di otto canzoni che ancora oggi mi fanno vivere attimi di estasi e di pura bellezza. Penso che Lucio abbia lasciato un grandissimo vuoto ma la sua assenza e la sua mancanza hanno amplificato la sua grandezza e unicità, la sua anarchia e libertà; è il contrappeso della morte.

Il giornalista Vincenzo Mollica una volta ha ribadito che Dalla era "il multiplo di se stesso", questo per la molteplicità delle sue anime artistiche: quale ritieni possa essere il suo più grande lascito artistico?

Lucio aveva un genio creativo che si rivelava nella vita come nella musica: la sua invenzione melodica e compositiva è strettamente legata alla cantabilità, alla voce umana, scelta come tramite espressivo necessario per raccontare una storia, i sentimenti, i desideri, e renderli universali attraverso la forma canzone, di cui era un maestro. Grazie anche all’esperienza con il poeta Roversi, ha trovato un suo modo di fare poesia attraverso la canzone, fatta di storie e personaggi che ormai fanno parte del nostro immaginario collettivo, della nostra cultura e della lingua italiana. E poi credo che la sua figura di uomo e artista sia ancora uno stimolo a vivere la vita secondo la propria natura, le proprie idee, in linea con noi stessi e con i nostri desideri, senza compromessi.

Lucio è stato anche un grande cantore dell'Italia e dei suoi costumi, la sua attenzione su cosa si sarebbe posata adesso secondo te?

Credo che avrebbe continuato a raccontare la vita, le storie della gente, i sentimenti più intimi. Nei dischi con Roversi, troviamo canzoni visionarie e oniriche ma anche manifesti di un’epoca (come Anidride Solforosa e ovviamente tutto il disco Automobili): l’energia e il canto di Lucio nell’interpretare questi brani oppure canzoni d’amore come La casa in riva al mare o Anna e Marco è la stessa. L’importante è cantare una storia, restituire una visione, un sentimento, attingendo alla parte più irriducibile e anarchica di se stessi.

Quale ritieni essere stata la maggiore soddisfazione artistica della tua carriera?

Difficile dirlo. Posso dire che ogni volta che entro in studio e mi trovo a lavorare sul mix di un nuovo disco, sento di essere parte della musica stessa, e sorrido, perché ho sempre voluto vivere con la musica accanto, vicino a me, conoscerla e comprenderla.

Il jazz ha sempre avuto una forte connotazione emancipatrice: in questa fase in cui i confini fra i vari generi si stanno assottigliando sempre di più, verso dove si sta evolvendo?

Ormai non possiamo più pensare il jazz contemporaneo come un linguaggio comune, ma piuttosto una modalità di suonare, di scrivere e di pensare la musica, che lo differenzia dalle produzioni pop. Abbiamo musicisti che provengono anche da culture musicali differenti (con esperienze in ambito elettronico, piuttosto che rock) ma uniti dall’intento di lavorare su forme, contenuti e sviluppi della musica che includono sempre discorsi e sentieri aperti, non chiusi. È un modo di pensare e di immaginare la musica: il jazz c’insegna l’estemporaneità, la creazione musicale che si determina nel momento in cui la stai suonando, insieme agli altri. Credo che questi siano alcuni presupposti per parlare di una nuova frontiera del jazz contemporaneo.

Nella comunità jazzistica contemporanea, trovi che una musicista goda di pari riconoscimento del proprio valore e del proprio talento rispetto ai colleghi uomini?

Faccio molta fatica a discutere di questo argomento, perché vorrei semplicemente che si parlasse di musicisti e di musica e non del genere sessuale a cui appartengono e in cui si determinano. Come musicista lavoro sempre con gli uomini e mi relaziono con datori di lavoro, direttori, organizzatori quasi sempre uomini. Nel mio caso non ho mai sentito mancanze di rispetto o pregiudizi come donna, ma non voglio assolutamente che sia scelto il mio nome solo perché sono una donna, vorrei che il mio lavoro musicale fosse rispettato e valutato per il suo valore, che non ha genere sessuale. Ho sempre avuto rispetto e stima da parte dei miei colleghi, ma so che è un mondo duro per molte di noi, anche al di là della musica. Inoltre il nostro Paese, l’Italia, deve ancora emanciparsi da un certo maschilismo che ormai trovo desueto, sinceramente noioso, e che perde il suo potere necessariamente perché è un potere millenario basato su principi totalmente sbagliati, inutili e nocivi alla vita e alla comunità. Con tutto questo non vorrei che fossi considerata come una femminista, però lo sanno tutti che “le donne hanno una marcia in più”.

Cosa ti aspetta nei prossimi mesi e quale potrebbe essere un prossimo grande obiettivo da centrare?

Saremo in tour in Italia per presentare questo nostro disco, letteralmente tra mari, isole e monti, e saremo anche in diverse città. Sto riprendendo brani lasciati a riposare, e scrivendo nuova musica, pensando ad un nuovo disco con il mio gruppo Folkways, tornando a ovest, nelle terre e musiche americane.

Cosa è rimasto fuori da questa intervista?

Rimane sempre fuori qualcosa, decidiamo di scrivere o di dire qualcosa che in quel momento ci sembra opportuno e importante. E lasciamo da parte altre cose, altre parole e pensieri, ma va bene così. Grazie, alla prossima.