La figura del medico esisteva a Roma già prima del III secolo a.C.; infatti i termini medicus, mederi (= curare) hanno un’origine antica, derivata da una radice italica med-1; per designare la figura del medico a Roma, dunque, non si usavano parole di origine greca2. Oltre all’onda della corrente innovatrice greca, generata dall’Ellenismo, che doveva apportare molte novità e trasformazioni a Roma, anche gli Etruschi diedero il loro contributo. Essi trasmisero importanti esperienze soprattutto erboristiche e capacità odontoiatriche, come ad esempio la pratica di legare i denti in oro, di fissare veri denti umani su perni e fare uso di vari tipi di protesi3.

La malattia era ritenuta dai romani come un castigo divino per colpa da espiare, mentre sulla salute venivano espresse differenti concezioni. Marziale ad esempio4, in relazione all'idea positiva e ottimistica ereditata dal mondo greco, affermava che la vera vita non è essere vivi ma stare bene. I Romani, infatti, dedicavano parte del tempo libero alla cura del corpo con esercizi fisici e amavano vivere all'aria aperta. Seneca5 ci restituisce un quadro catastrofico in antitesi a quello idilliaco dell’età primitiva, esprimendo il senso di decadenza dalla condizione di originaria sanità, in cui il romano era vittima e colpevole di questo stato. Inoltre, quanto espresso da quest’ultimo sui difetti e debolezze che ognuno ha e che lo predispongono verso una determinata patologia, trova accordo anche Galeno6, per cui gli individui hanno una particolare tendenza ad ammalarsi e chiama questa predisposizione diatesi. Questi aspetti, affiancati da terapie (inizialmente rudimentali) e farmaci contribuiscono a creare quell’immagine descritta dagli antichi sull’importanza che la medicina e la salute rivestivano in tempi più remoti.

Quanto alla pratica vera e propria, è noto che la figura del medico fosse ormai nota nel I a.C. e che la maggioranza di medici era costituita da schiavi. Essi erano talvolta ospitati presso le grandi aziende agricole del I secolo a.C. diventando un buon investimento per i padroni. Lo schiavo colto, in particolare uno schiavo medico, poteva trasmettere ad altri le nozioni di cui era a conoscenza creando una sorta di scuola interna alla domus. Accanto a medici schiavi, anche se in minoranza, c’erano medici greci liberi provenienti da scuole mediche famose, come quella di Efeso, Pergamo e Smirne; ciò permise di constatare come l'influsso della medicina greca fosse onnipresente e influenzò il modo di analizzare e agire sulla malattia con l’importanza di tre aspetti: la causa, i sintomi e la cura, cioè all'etiologia, alla diagnosi e alla terapia.

Il ruolo dei medici andò in crescendo a seguito di un decreto eseguito da Cesare, per poi raggiungere, con Augusto, una serie di privilegi e immunità. Nonostante, genericamente, la professione venisse inizialmente rivestita da pochi dato il piccolo salario e l’opinione comune spesso fosse ostile verso di essi si vennero a creare specializzazioni e si assistette così ad un progressivo fenomeno di frammentazione della competenza medica. Si ricorda il titolo di medicus auriculanius, (otoiatra), medicus dentium (odontoiatra), chirurgus ocularius, medicus ocularius (curante degli occhi), medicus clinicus (curante dei malati a letto), medicus circulatores (si spostavano nelle località periferiche fungendo sia da medici generici sia da specialisti), obstetrix (ostetrica) e iatralíptes (un medico specialista in unzioni e massaggi).

Esistevano inoltre, leggi legate a responsabilità giuridiche e sanzioni. Nonostante solo ai medici era garantita l’impunità assoluta per il fatto di avere ucciso un uomo, c’erano in vigore anche: la Lex Aquilia del 286 a.C., codificava la responsabilità civile per incapacità o colpa professionale cioè per damnum iniuria datum, e apprestava un’azione legale per il risarcimento dei danni subiti; Lex Cornelia de sicariis et veneficiis dell’81 a.C. con Silla, per cui erano penalmente responsabili non solo gli avvelenatori, ma anche i venditori e i semplici detentori di veleni.

Note

1 Gervais 1964, p. 204.
2 D’Amato 1993, pp. 23-24.
3 Corruccini, Pacciani 1991, p. 189.
4 Mart., Epigr. 6, 70, 15.
5 Sen., Nat. Quaest. 1, 4, 3, 30, 8.
6 Gal., Ars med. 1, 256-257.