Quest’anno, nel pieno delle attività celebrative in ricordo dei cento anni dalla nascita dello scrittore Italo Calvino, sono benevolmente sorpresa dall’uscita di un libro che forse aspettavo da molto tempo; mi sono sempre augurata che qualcuno si assumesse il compito di raccontare quello che avevo lasciato in sospeso nella mia immaginazione… e cioè il racconto della storia recente di una città di confine inghiottita dalla modernità: Sanremo. Dieci anni fa, nell’autunno 2013, quando Italo Calvino avrebbe compiuto novant’anni lo scrittore Paolo di Paolo mi invitò a redarre un contributo sulla madre, la scienziata Evelina Mameli in occasione di un numero monografico della rivista letteraria Orlando esplorazioni: Calvino Vivo!.

Questa digressione per dire che dopo aver praticato sia la letteratura che la poetica dello scrittore ligure, accidentalmente nato a Cuba nel 1923, fin da giovanissima non ho mai rinunciato a cercare di capire, sviscerare e interrogarmi sulla incapacità di un mondo, quello culturale e letterario, per non dire intellettuale del secondo dopoguerra, nel conservare un paesaggio straordinario di frontiera come quello del Ponente ligure. Se ci si avventura tra la scrittura delle innumerevoli penne che si sono cimentate nel racconto dei paesaggi calviniani ci si può davvero perdere, e approdare nel libro di Laura Guglielmi Italo Calvino e Sanremo alla ricerca di una città scomparsa (Il canneto editore, 2023) significa trovare finalmente delle coordinate e dei riferimenti certi che stabiliscono un tracciato chiaro sulla storia di una città e di uno scrittore. Laura Guglielmi, narratrice, critica letteraria e giornalista, l’ho incontrata molti anni fa sfogliando lo straordinario catalogo di una Mostra durante una delle mie incursioni alla Biblioteca Corradi di Sanremo: Dal Fondo dell’opaco io scrivo. Calvino da Sanremo a New York.

Guglielmi nel 1999 curò la Mostra fotografica che si tenne alla Casa Italiana Zerilli-Marimò di New York promossa dalla NY University e dalla Regione Liguria. Riconosco subito la copertina dell’ultimo libro di Guglielmi su Sanremo, una bella veduta della città da Levante tra le tante immagini esposte anche in quella mostra, sull’avanzare del cemento che dagli anni Cinquanta piombò nella città come una scure feroce e irreparabile. Eppure quel mostro cementizio e speculativo, tanto vituperato dallo scrittore ligure nei suoi romanzi, rappresentò per lui paradossalmente l’altrove su cui perdersi e confondersi per uscire da un contesto troppo stretto e irreggimentato: quello scientifico e strutturato dei suoi genitori, l’istrionico agronomo mazziniano Mario Calvino e la naturalista laica e pacifista Evelina Mameli: “…e a sporgermi dalle balaustre del nostro giardino ogni cosa che mi attraeva e sbigottiva era a portata di mano…”.

La strada di San Giovanni, il racconto calviniano definito testamento emotivo da Guglielmi, è la dialettica di due paesaggi: quello del padre e della madre e quello di Italo. Uno sguardo tende verso l’alto, la collina, il podere, una dimensione di cui ha bisogno lo stare, l’altro volge in basso verso la città con le luci sfavillanti ed intermittenti, è l’inclinazione verso l’oltre, verso un viaggio che poi necessita di un ritorno, che potrebbe essere tardivo: “ora… ora potrei ma è tardi ormai”.

Invece il viaggio dell’autrice tra i luoghi di Italo è iniziato quando era bambina e il suo libro è un saggio storico-narrativo con ispirazioni, divagazioni e fondamentali digressioni piacevolmente autobiografiche. Sanremo è una terra “padre”, che lei conosce negli anfratti, negli spigoli dei palazzoni che ha dovuto sopportare fuori e dentro le mura di casa quando, negli anni Sessanta e Settanta, il padre Gino Guglielmi lottava e si spendeva per mantenerne l’integrità a fianco dei Calvino, dello scrittore Francesco Biamonti; era quella città poi difesa dagli scritti del poeta e giornalista Nico Orengo e dal territorialista Massimo Quaini.

Del padre Gino Guglielmi riemergono i tratti somatici, la caparbietà nel custodire una terra fragile come quella ligure, la passione per la documentazione fotografica e storico-aneddotica della Sanremo descritta da Matilde Serao – dice bene Guglielmi - quando ancora «profumava di fiori d’arancio e di vaniglia, assopita nei suoi giardini di palme e immersa nei boschi di ulivi». Segretario della Famija Sanremasca Guglielmi racconta e si nutre di una cittadina che tra Ottocento e Novecento era crocevia di culture diverse, luogo cosmopolita, dove soggiornavano personaggi come Alfred Nobel o Edward Lear, l’imperatrice russa Maria Aleksandrovna o il Kaiser Federico III. Quella città raccontata dai grandi viaggiatori, amata da pittori impressionisti: “una Sanremo, un’Italia che non c’è più, di cui papà cercava di preservare le cose migliori. Ma io non lo capivo questo suo interesse”.

E un po’ come fece Italo Calvino, l’autrice scrive di suo padre: “Viveva nel passato, io il futuro lo stavo cercando altrove”. Così il voler fuggire, l’allontanarsi dalle proprie origini, dalla terra che ci ha nutrito e forbito nei caratteri più intimi, da pensiero diventa e prende forma. L’ho sperimentato sulla mia pelle. Per questo e altre molte ragioni trovo entusiasmante e ricco di significati sottesi il viaggio nella Sanremo scomparsa di Calvino. Lo trovo un opera fondamentale della critica letteraria e della storia del paesaggio italiani.

Non è didascalico, non è sentimentale e agiografico, non è ridondante, mai banale o superfluo. L’autrice, è consapevole, come dice nelle Istruzioni per l’uso – un originale alternativa alla classica premessa di un libro – della responsabilità e della sfida per avere in comune un paesaggio e una città con uno scrittore come Italo Calvino. Di lui dagli anni Ottanta ricerca rivelazioni, saltando come il Barone rampante tra rami, foglie e frutti della sua letteratura, confessa di aver combattuto contro la voce interiore sempre pronta a tornare fuori e a dire la sua. Ma poi deciderà di farci i conti, di fare spazio dirà a quella “me stessa”, quasi l’Qfwfq delle Cosmicomiche calviniane, e di far venir fuori nel libro, sotto il suo sguardo di ragazzina curiosa e geniale, memorie proprie, altrui e “destini diversi che si accavallano e si incrociano in tutte le direzioni”.

Tra passato e presente con le scarpe da trekking sempre pronte, si inerpica su luoghi impervi, le carrarecce, le mulattiere verso le colline del Ponente che un tempo mimose, orti, olivi e piantagioni di avocado, si infittivano appena usciti dalla città. Non perde un muretto a secco, né i gerbidi, o un torrente andato in secca, cammina con l’inseparabile macchina fotografica sotto i ponti dell’autostrada che da Genova passa incurante sopra Sanremo in quelle vie secondarie divenute oggi semisconosciute, tanto erano frequentate a piedi, con le carrozze e i muli un secolo fa. Cerca di carpire l’aura del passato senza toni nostalgici o demolitori del presente o del futuro, per restituirci un senso del luogo che sta svanendo se non si documenta o lo si racconta con dovizia di particolari storici e geografici come lei sa fare.

Sono undici capitoli densi di nomi, aneddoti, cultura locale, critica letteraria che abbracciano un territorio ampio e complesso, ormai difficilmente intelligibile se non con l’aiuto di uno sguardo approfondito della fine e sapiente ricercatrice. Questo suo tributo all’anima di Sanremo ancor più che a quella di Italo, a cui ha dedicato lo studio di un’intera vita, è superlativo in quanto si articola come una divertente partita a scacchi.

Guglielmi sposta i pezzi abilmente e il lettore, una sorta di sfidante mansueto, cerca di stare al passo con altrettanta attenzione alle sue mosse, c’è il gioco della Sanremo immaginaria di Italo giovane che combatte contro gli antagonismi della vita, quello della guerra che spunta con le incursioni dei fascisti contro i partigiani sulle colline di Baiardo, la vita familiare con l’alter ego di Italo, il giardiniere Libereso Guglielmi di Un pomeriggio Adamo, il comunismo e la vita dello scrittore maturo a fianco della sagace e forte Chichita, Esther Judith Singer, la moglie argentina che gli sopravvivrà per molti anni, custode gelosa e intransigente del suo lavoro letterario. La giovinezza sanremese del cinematografo e la vita newyorkese, una sorta di traguardo raggiunto in un mondo forse più sognato e amato che vissuto, il buen retiro di Castiglione della Pescaia, “surrogato” di quel mare ligure da cui scorgeva la Corsica, sebbene da un altro punto di vista, ormai lontano dal tempo delle fughe dai genitori, per godersi le luci attraenti della città.

Guglielmi torna più volte su questa eterna altalenante prospettiva del Calvino-osservatore del mondo: dall’ubago, dall’opaco verso l’aprico, il chiaro, il lucente, il cristallino. In fondo, nel libro, si riassume l’incessante e bulimica necessità di Calvino di fare chiarezza, di individuare cause ed effetti, di risolvere equazioni complesse, per spiegare la “forma del mondo” (Cap. 9), approdando dagli anfratti alle siepi, dalle rocce ai serbatoi di cemento, agli ombrelloni, “fronteggiando la ribalta del luminoso orizzonte” (Dall’Opaco, 1971), cercando di capire le coordinate spaziali e gli elementi visivi che condizionano il suo sguardo – chiosa Guglielmi. Il poeta Luca Alvino in un suo bell’articolo affermava che Italo era troppo intelligente per fare lo scrittore, credendo troppo con scetticismo scientifico solo a quello che nel mondo si può vedere ed analizzare, “preferì dare spiegazioni al mistero che indugiare di fronte ad esso” (Orlando esplorazioni, 2013, p.27).

Un saggio ben riuscito, come dicevo, perché generalmente un contributo critico e storico lo si può interrompere e lo si lascia anche per giorni sopra un tavolo per riprenderne poi la lettura, non scappa, invece qui le incursioni sulla vita dell’autrice, quella trasversalità biografica con Italo, la miriade di storie, molte delle quali inedite, credo anche per chi è un forte conoscitore della narrativa calviniana e del suo contesto, tengono ben incollati, capitolo dopo capitolo… Conclude il libro l’itinerario letterario su Calvino ideato da Guglielmi insieme a Veronica Pesce e realizzato con l’Università di Genova e la collaborazione del territorio, tra cui il noto Liceo Cassini che frequentò Italo Calvino, l’accademia di Belle Arti di Sanremo insieme agli studenti. Trentotto tappe che dal 2023 sono state evidenziate con pannelli descrittivi e fotografici tra le vie della città di Sanremo, a partire da Corso Cavallotti fino alla campagna terminando con l’Orto di San Giovanni icona del paesaggio dello scrittore. Un buon motivo quest’ultimo per intraprendere un bel viaggio di fine d’estate!