10 piani di 7.500 mq. 12.210 mq dedicati alle collezioni del Museo Nazionale d’Arte Moderna. 2.900 mq dedicati alle mostre temporanee. 100.000 opere 2 sale cinema (315 e 144 posti). Una sala spettacoli (384 posti) e una sala conferenze (158 posti). Una biblioteca pubblica di 10.400 mq che può ospitare 2.200 lettori.

Un centro di documentazione e ricerca, la Biblioteca Kandinsky, 2.600 mq,riservata agli studiosi. Oltre 300.000 opere.

Tutto questo in un unico edificio, nel cuore di Parigi. Costruito per volontà dell'allora Presidente della Repubblica Georges Pompidour (in carica dal 1969 al 1974), che nel 1971 indisse un concorso internazionale con l'intento di dare un centro culturale che potesse diventare il motore per riqualificare un quartiere centrale ad impianto medievale della capitale francese. Esperimento riuscito. Oggi il Centro Pompidour o Beaubourg, come lo chiamano i parigini, è un edificio al centro della vita culturale della città, meta imperdibile per i numerosi turisti che affollano la capitale francese e importante hub per i numerosi studiosi che ne affollano le biblioteche.

Il bando di gara suggeriva di uscire dalle frontiere tipiche della biblioteca e del museo. Parlava di cultura, di multifunzionalità, di arte, di informazione, di musica, ma anche di design industriale. Pompidour dichiarò “Mi piacerebbe che Parigi avesse un centro culturale come già hanno cercato di proporre gli Stati Uniti con un successo finora discontinuo, che sia museo e centro di creazione, dove le arti visive si accompagnino alla musica, al cinema, ai libri, alla ricerca audio-visiva e così via. Il museo non può essere che di arte moderna, dal momento che abbiamo il Louvre. La biblioteca attirerà migliaia di lettori che a loro volta saranno messi in contatto con le arti.” In questo progetto dunque dovevano confluire due diverse idee che avevano animato il panorama culturale della città: dare un “museo del XX secolo” di Arte Moderna e una grande biblioteca a supporto dell'affollata Bibliotheque Nationale de France.

Fra i 681 progetti presentati la giuria internazionale scelse all'unanimità la soluzione presentata dall'architetto italiano Renzo Piano, dall'architetto inglese Richard Rogers e dall'architetto Gianfranco Franchini (che poi non parteciperà allo sviluppo del progetto). Dei perfetti outsiders, poco più che trentenni, “ragazzacci disubbidienti e maleducati” come dirà in seguito Piano. Un edificio particolare dalle molte definizioni, date dai suoi stessi progettisti. “Una fabbrica culturale nel centro di Parigi” o “un villaggio sviluppato in verticale con piazze una sopra l'altra e vie trasversali” o ancora “un luogo di incontro e di contatto: il luogo del passaggio, dell'incontro inatteso, della sorpresa e della curiosità”.

Sicuramente realizzare questo edificio ha rappresentato un gesto forte e iconico. Lo si vede da Montmartre ma anche dalla terrazza dei magazzini Lafayette (solo per citare due punti) e fa da sfondo anche al Forum des Halles.

Anche nel mondo dell'architettura ha rappresentato una forte innovazione, il New York Times nel 2007 scrisse che “aveva rovesciato l'architettura mondiale”. Direi che non ha solo cambiato l'architettura, diventando uno dei primi esempi di architettura High Tech, ma anche rappresentato un valido esempio di riforma della concezione museale.

Questo non è un museo classico, non doveva e non voleva essere un esempio di sacralità museale. E questo lo si nota dal primo sguardo. La struttura portante e gli elementi di collegamento tra i vari piani dell’edificio sono posti all’esterno, lasciando, all’interno un ampio spazio versatile. Il risultato è che in facciata si trovano scale mobili e grossi tubi colorati, elementi di solito nascosti all'interno di un edificio. I colori usati sono il rosso, il blu, il giallo e il verde, ciascuno dei quali rivela un diverso uso: il blu per l’aria, il verde per il liquidi, il giallo per i cavi elettrici e il rosso per le vie di comunicazione.

Che il centro Pompidour sia un museo anticonvenzionale lo si capisce già dalla hall, anzi ancora prima: dalla piazza antistante la porta. Vedere i visitatori camminare lungo il serpentone rosso che si staglia sulla facciata incuriosisce ad entrare (così iconico da entrare anche nel logo del centro). Entrati nella hall a doppia altezza non ci si sente intimoriti dalla conoscenza, al contrario ci si trova in un ambiente friendly, con grandi sedute colorate e spazi per bambini perchè il museo è di tutti e per tutti. L'approccio utilizzato all'esterno viene riproposto anche all'interno. Nella hall infatti vediamo i tubi blu dell' aereazione che decorano il soffitto e tutti gli elementi di distribuzione (scale e ascensori) messi a nudo. La hall a doppia altezza in realtà è pensata come una piazza da cui partono e arrivano tutti i percorsi, che sono indicati da sfavillanti insegne al neon.

Non resta che avventurarsi. La prima scelta che si è chiamati a fare è se ascendere o discendere. Se si decide di scendere si arriva ad una seconda piazza sotterranea su cui si aprono le porte delle salette cinematografiche e della sale spettacoli e conferenze. Un piano interamente dedicato all'arte recitata, ma anche un modo per rispondere alla volontà di avere un edificio aperto alla città e non solo agli interessati d'arte pittorica.

Se invece si decide di salire si può scegliere se visitare la collezione permanente o avventurarsi negli spazi che ospitano le esposizioni temporanee. Se si opta per la prima, prendendo delle scale mobili si arriva al secondo livello della piazza dove si trovano “La galerie des enfantes” e un caffè colorato e singolare, con divertenti soluzioni di tavolini. Una grande vetrata si apre sulla biblioteca: una vetrina sulla cultura, non uno spazio chiuso. Da questo secondo livello si può infine salire sulla scala mobile che fiancheggia esternamente il fronte principale. Si passa da spettatori ad attori, rendendo vivo l'edificio. Diciamo la verità, essendo la scala incapsulata da vetri si è preda del tempo atmosferico circostante: con il sole si ha l'impressione di stare in una serra, al contrario se piove, ci si perde a vedere l'acqua scorrere lungo i vetri bombati.

Salendo, oltre a vedere uno skyline differente di Parigi, si incontrano anche gli ingressi alla biblioteca pubblica, al centro di documentazione e ricerca e alla Biblioteca Kandinsky. Fino a giungere a un ristorante all'ultimo piano, con terrazza all'aperto. Al penultimo piano si trova uno degli spazi riservati alle mostre temporanee. Solitamente in questo spazio vengono ospitate delle mostre monografiche. Durante la mia ultima visita era presente una mostra su Norman Foster: visitare una mostra su un architetto in uno spazio che ha lanciato due grandi architetti dà un valore aggiunto all'esposizione.

Il vero pezzo forte è la collezione di Arte Contemporanea. L'aver portato la struttura in facciata permette di avere una pianta libera e funzionale all'esposizione. Il museo inteso come struttura sparisce e lascia il posto all'arte. Nelle sale neutre, intonacate di bianco e illuminate da una luce diffusa che non crea ombre sugli elementi esposti, si susseguono le opere dei grandi maestri: Chagall, Miró, Matisse e Kandinsky. Ma non ci sono solo grandi autori, è interessante anche indugiare su autori minori e scoprire opere al quanto singolari come la Duche, un quadro rappresentante un paesaggio con un telefono della doccia installato nella cornice. Nel museo trovano spazio anche pezzi di arredamento di design che fanno parte giustamente della collezione.

La cosa che colpisce di questo museo è l'informalità. Se si decide di prendersi una pausa dall'arte, ogni tanto si può aprire una porta e ritrovarsi in una piazza esterna che si apre sulla città. Le piazze ospitano cuscini giganti, sedie a sdraio, panchine o lastre d'acqua. Ambienti informali e vissuti, su cui i visitatori oltre a riposarsi discutono su quanto appena visto o si godono squarci sulla città incorniciati dalla struttura stessa del museo, di cui ci si era dimenticati nel turbinio delle sale.

Dal museo di Arte Contemporanea scendendo le scale si giunge al museo di Arte Moderna. In questa sezione viene davvero dato il giusto spazio alle opere, tanto che ci sono diverse sale dedicate a una singola opera d'arte. Personalmente ho trovato molto interessante un'intera stanza rivestita di foglie di alloro; su una parete si stagliavano due polmoni dorati tridimensionali. Ho trovato questa sala emblematica: prendersi dello spazio per respirare le emozioni è una boccata d'aria vitale per le nostre menti (Respirare l'ombra, Giuseppe Penone, 1999-2000). Ci sono numerose altre opere molto interessanti, ma dato che ritengo che l'impatto e la sorpresa che colpiscono entrando in una sala siano parte stessa delle opere esposte, non farò altri spoiler. Andateci e fatevi sorprendere.

Dopo essersi persi fra le opere, si può ritornare alla hall principale dove, dopo tanto vagare, un caffè nel bar vista hall è d'obbligo. Si può tranquillamente stare mezz'ora a guardare i flussi e le varie persone che abitano questa città prima di affrontare le sale delle altre esposizioni temporanee. Piccole chicche che si propongono di affrontare temi importanti. Lenti d'ingrandimento in continua evoluzione. Breve passaggio allo shop prima di uscire da questa piccola città per rigettarsi nella metropoli parigina e scoprire con stupore che sono trascorse quattro ore.