Questa intervista si è svolta in due tempi: inizialmente le domande rivolte al Prof. Luisi, fondatore della Summer School “Cortona Week” dal lontano 1985 e Professore Emerito presso l’Istituto Statale Politecnico di Zurigo (ETHZ), hanno toccato il suo poliedrico percorso di scienziato, didatta e scrittore, fino a esprimere nella risposta alla penultima domanda l’auspicio che i lavori della Cortona Week possano proseguire in avvenire espandendo in nuovi contesti il programma di alta formazione umana ed etica coraggiosamente perseguito finora.

Ai primi di ottobre, durante l’incontro allestito da Radio Parlamentare nella Biblioteca del Senato della Repubblica, l’annuncio che il tuo auspicio si è rapidamente avverato a favore dello svolgimento della Cortona Week 2024 nella sede della Fraternità San Leonardo, fondata da Padre Guidalberto Bormolini col sostegno del Comune della Città di Prato, è stato il felice colpo di scena sul quale ti interrogo nell’ultima domanda, ringraziandoti di cuore a nome dell’intero gruppo di “Cortona Friends”.

Permettimi di risalire ai tuoi ricordi di bambino nella natia Isola d’Elba cui sei molto legato. La tua è stata un’infanzia serena? E che ruolo ha avuto la famiglia nella tua formazione e nell’orientamento dei tuoi studi?

É stata una infanzia caratterizzata dalla povertà, imperante nell'immediato dopoguerra. Ero bravo a scuola e i miei ne erano fieri e mi spingevano sempre di più, ma non avevo contatti veri con i genitori, in particolare non ho mai sentito un vero amore per la mamma. Ammiravo il padre, operaio, e ci volevamo bene di lontano, senza smancerie. Io mi rintanavo spesso nella camera da letto dei genitori quando loro non c'erano, e scrivevo storie di avventure su dei quaderni di scuola, che poi nascondevo gelosamente.

Il tuo campo preminente è la chimica e la biologia molecolare. Che cosa ti ha spinto a specializzarti in questo vasto settore, e quali sono state le fasi del tuo percorso di scienziato? Ci sono stati incontri determinanti che hanno segnato le tue ricerche? La tua carriera scientifica è stata lineare o irta di ostacoli?

Dopo la maturità, ho vinto un posto alla Scuola Normale di Pisa, dove vitto e alloggio erano pagati - altrimenti non sarei potuto arrivare all'università. Ho vinto il concorso per scienze, potevo scegliere tra fisica, matematica o geologia o chimica, ho scelto chimica (un po’ a caso) anche se i professori mi volevano a matematica. Penso che della chimica mi abbia attirato quel che sapevo di alchimia, che poi non era così lontana dalla magia, nel senso della trasformazione della materia. Ho sempre avuto il supporto del direttore dell'istituto di Chimica, prof. Piero Pino, in pratica per tutta la mia vita accademica, che si è poi svolta a Zurigo, al Politecnico Federale di Zurigo, dove il prof. Pino era stato invitato a trasferirsi. Tutto si è svolto linearmente, con qualche difficoltà burocratica di natura svizzera.

Accanto alla vocazione e alla militanza scientifica, hai coltivato la letteratura, scrivendo romanzi, costruendo personaggi che popolano le tue affascinanti storie d’invenzione. Alcune, come nel caso di All’ombra dei fichi d’India, sono ambientate nell’isola d’Elba. In altre, come Le cinque porte della felicità e Lampi tranquilli della mente affiora un’anima attratta dalla polarizzazione sull’eros femminile e la ricerca spirituale, come se la ‘donna’ e il ‘monaco’, il ‘mondo’ e il ‘chiostro’ ti chiamassero a inoltrarti in direzioni che appaiono divergenti. È così? Questo doppio richiamo ha favorito l’apertura mercurialmente creativa che caratterizza il tuo vissuto di uomo e scienziato?

Non ho mai avvertito problemi di sentirmi attirato in più direzioni. Quando dovevo scrivere sull'Elba, lo facevo per lo più all'Elba d'estate, ma spesso poi mi immedesimavo moltissimo nei problemi scientifici e dimenticavo la scrittura per molti mesi, poi ritornava da sé la fase di scrivano, e io l'accettavo. Soffrivo solo del fatto che i miei romanzi di letteratura non erano presi sul serio dai grossi editori. Non ho mai avuto un mentore per la mia parte letteraria. Il mio primo libro per ragazzi fu accettato subito dalla Giunti, e io allora mi illusi che scrivere e pubblicare romanzi fosse una cosa semplice. Invece, non è più successo che un mio libro di letteratura sia stato accettato da un editore serio.

Oltre alla narrativa, i tuoi interessi sono stati molteplici: dalla storia della scienza e la storia tout court al collezionismo antiquario e alla pratica artistica condivisa con Hong, la tua compagna pittrice, alle filosofie con una spiccata propensione al buddhismo indiano e tibetano, e tra i tuoi incontri c’è stato quello con il XIV Dalai Lama Tenzin Gyatso, con esponenti spirituali e maestri di meditazione europei ed extra-europei. Pensi che la visione sistemica e olistica che hai fatto tua, possa in qualche modo conciliarsi con la concezione di una realtà integrale e a suo modo olistica della tradizione Bön tibetana? E pensi che una possibile integrazione con le prospettive non teiste buddhiste possa contribuire a sviluppare nel XXI secolo una forma diffusa di religiosità planetaria fuori degli argini confessionali stratificati nei millenni?

Penso proprio di sì. Il Buddhismo è soprattutto una religione e sarebbe errato considerarlo solo una filosofia, d'altra parte il cammino buddhista è del tutto razionale e se ne può trarne insegnamenti di vita preziosi a prescindere dalla meta finale. Ho letto molto e discusso molto sul buddhismo, ma non mi dichiarerei un buddhista: il buddhista è quello che fa veramente il cammino con l'intenzione di raggiungere la meta, cioè la liberazione dall'ignoranza. Ma penso davvero che il buddhismo "ateo", diciamo quello che non accetta la reincarnazione e non crede nel satori finale, e rifiuta ovviamente un Dio creatore, possa rappresentare davvero una religiosità planetaria.

Quale membro dell’istituto internazionale di ricerca Mind§Life sei stato invitato anni fa a tenere un corso di due settimane sull’Origine della vita in un monastero buddhista in Bhutan. Puoi raccontarci in che modo le monache hanno reagito a insegnamenti del tutto estranei alla loro tradizione e le tue strette impressioni personali? Quali sono i fondamenti della scienza moderna che più sono risultati cozzare con le credenze inveterate buddhiste sul karma e il destino umano?

Il mio compito era quello di raccontare la visione della scienza contemporanea all'interno del corso che si chiamava "Dalle origini della vita alle origini della coscienza". Ci siamo trovati in disaccordo su una serie di cose, ma soprattutto quando entrava nel discorso la parola coscienza. Per loro non c'era posto, per esempio, per una intenzionalità senza coscienza, e quando dicevo loro che l'ameba mangia per ubbidire al proprio codice genetico, dicevano di no, se l'ameba aveva una intenzionalità, aveva coscienza. Quando io dicevo che l'intenzionalità era nella mente dell'investigatore, ed era una sua proiezione, non mi capivano, e lasciavamo allora le cose così, ognuno con il suo. Su alcune cose fondamentali, non ci siamo incontrati, per esempio, sul concetto di coscienza, sul concetto di re-incarnazione, quello del karma, e altre cose.

E io ho imparato molto da loro, anche per esempio a dubitare dei miei stessi assiomi scientifici. Racconto un solo particolare. L'ultima mia lezione era dedicata alla concezione, mostravo e discutevo l'azione degli spermatozoi e dell'ovulo, poi il genoma, il feto, la nascita. Grandi emozioni tra le monache quando si è giunti alla nascita, pianti e grida di gioia. E alla fine, quando io stavo rimettendo a posto le mie cose, viene una delle monache e mi chiede: «Ma professore, com'è che nasce un bambino?». Io per un momento pensai che avrei dovuto ripeterle tutta la lezione, dai cromosomi fino al feto, poi capii che non era questo che lei voleva, queste erano cose che lei, la monaca, aveva capito. Voleva sapere cosa è la vita. Non gli spermatozoi o i cromosomi. Ricordo che la guardai e dopo un po’, forse parlando a me stesso, dissi: «La vita è un mistero». E lei se ne andò con uno degli inchini di prammatica.

Nell’opera The Systems View of Life, co-firmata dal fisico Fritjof Capra (Cambridge University Press 2014, tr.it. Aboca 2016), descrivi l’ascesa del pensiero sistemico nello sfondo della visione meccanicista ‘classica’ di cui tu e Capra mostrate il superamento. Assumete l’autoorganizzazione (autopoiesi) del sistema vivente come il principio fondante su cui si innestano le indagini reticolari su ‘mente e coscienza’, ‘vita, mente e società’, ‘scienza e spiritualità’, sulla sostenibilità ecologica e il cambiamento climatico, e formulate soluzioni etiche adatte ad una società civile globale. Vedi oggi fattori ulteriori da mettere in luce sulla teoria della complessità enunciata in Vita e natura?

Il libro è stato scritto nei primissimi anni del 2012-14, e da allora sono successe molte cose nuove e importanti nella scienza e nella umanità - dai problemi climatici alla intelligenza artificiale, dal cloning alla sintesi di cyborg cellulari. E c'è una serie di concetti nuovi che si potrebbe discutere a questo proposito. Ma quello che abbiamo cercato di dire in generale nel "vecchio" libro è ancora valido: awareness, essere e rimanere consci della situazione e mantenere la propria dignità umana.

In The Emergence of Life. From Chemical Origins to Synthetic Biology (Cambridge University Press 2006-2016), convochi a un certo punto (c.6) uno strano personaggio chiamato Green Man, che mi suona tanto somigliante all’‘uomo selvatico’ delle saghe alpine di antica memoria. Tu però immagini che sia una creatura intelligente proveniente da un remoto sistema solare, disceso quaggiù per capire che cos’è la vita sul nostro pianeta. L’‘uomo verde’ porta con sé una lista di cose terrestri che i suoi mandanti siderali vogliono sapere se rientrano o no nel regime del vivente. E interroga allo scopo un semplice contadino che a sorpresa discrimina immediatamente ciò che è vivo da ciò che non lo è: ad esempio una mosca, un albero, un mulo, un bambino, un fungo, un corallo sono nella prima lista, mentre un apparecchio radio, un’automobile, un robot, un cristallo, la luna e il computer finiscono nella seconda lista. Sulla base dell’esperienza quotidiana e di quanto accade dentro se stesso, il contadino sa perfettamente che ciò che nasce, cresce, si rigenera e decade per forza propria dall’interno, ha vita, mentre un robot, un computer, una radio o la luna non hanno queste risorse e dunque vivi e coscienti non sono! Questo gustosissimo dialogo tra il Green Man piovuto sulla Terra e il contadino fa da prologo alle tue dotte spiegazioni sui processi dell’autopoiesis, il termine con cui i teorici della Scuola di Santiago del Cile Umberto Maturana e Francisco Varela in dialogo con te nel capitolo, hanno definito l’autoorganizzazione del sistema vivente e ciò che ne consegue. Il tuo L’emergere della vita non è un libro facile e le ripide questioni in cui ti addentri facendo intervenire specialisti in materia, con il sussidio di schemi, tavole esplicative, appendici e annotazioni conclusive in ogni capitolo, avviano complessivamente anche l’inesperto a intravedere la differenza tra il concetto notorio di conoscenza - dove c’è un conoscente e un conosciuto in tensione dualistica e il ben diversamente esteso significato di “cognizione”, ossia un processo intrinseco al vivente, dal più semplice al più complesso, che scavalca i vecchi concetti di creatore-creato-creatura. Puoi chiarire in sintesi in che consiste il salto autopoietico che sorpassa le credenze acquisite o piuttosto ‘tollerate’ dalle scienze fisiche fino ad oggi?

Da notare che l'autopoiesi non vuole essere in fondo una teoria, ma una semplice descrizione di quello che fa la cellula vivente: la quale è indaffarata soprattutto nel rimanere se stessa (self-maintaining) a dispetto delle migliaia di reazioni che svolge ogni secondo. Infatti, tutti i reagenti che vengono consumati nelle reazioni vengono rigenerati dal sistema stesso dal suo interno. Così che la cellula del fegato è sempre la cellula del fegato. In questo senso, la vita non è cambiata ed è ancora così. La vita su questa Terra è cellulare e solo cellulare, e sarà quindi sempre autopoietica. Non c'è bisogno di estensioni. La domanda semmai è un'altra: visto che l'autopoiesi è essenzialmente chimica, vale allora il discorso che la vita è solo chimica? O ci vuole qualcosa d'altro? La coscienza forse? Sì, ma da dove viene? Sono domande ancora aperte e affascinanti.

Nel luglio 2023 si sono svolti alla Certosa di Pontignano (Centro Congressi dell’Università di Siena), i lavori della Summer School internazionale “Cortona Week” da te fondata nel lontano 1985 e proseguita quasi ininterrottamente con la tua direzione fino ad oggi. All’attiva presenza di giovani ricercatori, borsisti, imprenditori e manager, il tema al centro quest’anno, Science and the Wholeness of Life (“La scienza e la totalità della vita”) è stato esplorato da decine di esperti in campi interdisciplinari: dalla fisiologia alla medicina, alla psichiatria, all’astrofisica, alla ‘nuova’ teoria della consapevolezza formulata dal fisico e inventore Federico Faggin, all’approccio pragmatico verso una spiritualità diffusa secondo il monaco e promotore di iniziative di fraternità e sostegno ai sofferenti Guidalberto Bormolini. Ognuno di loro ha mostrato di aderire in teoria e in pratica al Manifesto propositivo della Cortona Week diramato nel programma della Scuola. Quali ulteriori indicazioni e direttive ti senti di dare in vista del suo fecondo proseguimento negli anni avvenire?

Posso dire solo che una Cortona Week all'anno è troppo poco per il mondo. Ce ne vorrebbero cento o mille - una in ogni università del mondo - per operare qualche cambiamento possibile.

A seguito dell’incontro organizzato da Radio Parlamentare a cura di Cristina Del Tutto nella Biblioteca del Senato a Roma martedì 3 ottobre, nella lettera trasmessa ai soci il 6 c.m. hai dato la buona notizia che, grazie agli sforzi di Padre Guidalberto Bormolini, responsabile della Fraternità San Leonardo a Prato, il Comune di questa città ha accettato di sostenere finanziariamente l’allestimento della Summer School nella sede di questa Comunità nella settimana dal 12 al 19 maggio 2024. Ecco, dunque, che il tuo pronostico di espandere il progetto coinvolgendo gruppi di ricerca in altre sedi mostra di essersi felicemente avverato. Qual e il tuo ulteriore commento a fronte di questa provvida novità?

In effetti questo successo pratico è una delle cose in cui speravo di più. Sono sinceramente grato a padre Bormolini e al sindaco di Prato, Matteo Biffoni, per questa offerta generosa. Una volta che siamo liberi dal problema finanziario, possiamo dedicarci al problema di estendere l'idea della Cortona Week a livello europeo e internazionale. Cambiare il brutto mondo di oggi è difficile, ma immaginiamoci cento o mille Cortona Week cha avvengano ogni anno, come detto sopra, coinvolgendo un po’ tutto il mondo. Allora, forse, con una corrispondente fresca ondata di leader politici ed economici nel mondo, cambierebbe qualcosa.