Quando entriamo in un supermercato, giunti al reparto riservato alla pasta secca, spesso siamo incuriositi dalle tante forme proposte. Alcune hanno una storia plurisecolare. Pensiamo ai fusilli napoletani, alle trenette liguri o ai rigatoni romani. La fama di queste paste secche, apprezzate e cucinate in tutta la Penisola, ha varcato i confini della regione d’origine.

Il destino non è stato così magnanimo con i corzetti. Le rivendite dove poter acquistare quest’antica varietà si contano sulle dita, mentre a proporli nei menù è rimasto uno sparuto nugolo di ristoratori, particolarmente attento alla cucina del territorio. Peccato, considerato che già alla fine del Quattrocento i corzetti erano apprezzati a tal punto da essere considerati una ghiottoneria. A provarlo è la prescrizione di alcuni medici che, inclini a proibire tutto ciò che era buono, invitavano a non esagerare con “lazanie, corseti, taglierini, turte et similia”. Talvolta neppure le raccolte di ricettari regionali ne indicano l’esistenza. Forse l’enciclopedia de La grande cucina regionale italiana di Fernanda Gosetti, edita nel 1989, è una delle ultime pubblicazioni a segnalarne la presenza.

L’autrice si sofferma sui corzetti alla polceverasca, sui corzetti stampati e sui corzetti “tirae co-e die”, indicando le tre qualità come originarie della Liguria. Un’evocativa filastrocca della nonna, velata di nostalgia e ormai impressa solo nei ricordi di alcuni buongustai liguri dai capelli grigi, recita: “Teresinn-a fa i curzetti, falli boin e falli netti…”. Saranno le piccole “solette” di pasta abilmente modellate a colpi di polpastrello, ossia i corzetti “tira eco-e die”, o i bellissimi dischetti arabescati in uso a Varese Ligure e nell’Oltregiogo novese, meglio noti come corzetti stampati…? Proviamo a fare un poco di chiarezza.

Considerati un arcaico patrimonio culinario da salvaguardare, i corzetti hanno una lunga storia, strettamente connessa all’uso della forchetta e alla diffusione della pasta nel bacino del Mediterraneo. Seguirne le vicende storico-culturali e metterle in rete è come compiere un avvincente, straordinario, viaggio nel tempo e nello spazio, dal Nord al Sud della penisola italica e oltre, penetrando all’interno di una società alimentare che cambia, evolvendosi nelle preferenze, negli utensili e nei modi di stare a tavola.

I corzetti, conosciuti a Napoli, alla corte di Carlo II d’Angiò (fine Duecento), compaiono dapprima nel Liber de coquina, Anonimo trecentesco della corte angioina, ove sono citati come una varietà di pasta da minestra. Siamo nel ‘300 e in un ambito geografico ben definito, quello dei territori subordinati all’influenza dei regnati francesi.

Dalla Campania ci spostiamo in Liguria e precisamente nel Genovesato, un comprensorio non subordinato agli angioini, ma direttamente confinante con la Francia e nello specifico con la Provenza. All’Archivio di Stato di Genova è conservato un documento, che indica i corzetti nella lista della spesa della Repubblica di Genova, in occasione di un pranzo ufficiale tenutosi in città nel 1362 per gli ambasciatori del Marocco.

A distanza di un secolo i corseti sono nuovamente citati nei Medicinalia quam plurima, una miscellanea di scritti di medicina, compilata in Liguria, forse proprio a Genova, tra la fine del XV e i primi del XVI secolo. A quell’epoca le abili cuciniere, molto probabilmente, preparavano i corzetti in casa o li comperavano dagli artigiani che li vendevano. Sappiamo che a Genova e dintorni se ne consumavano con frequenza elevata, che piacevano e che erano cari, e ciò li faceva piacere di più.

Nell’inventare i corzetti ne furono concepite due dimensioni: una piccola e una grossa. La minore si otteneva segnando la pasta con un taglio longitudinale di poco più di un centimetro. La maggiore preparando dischi di farina, uova e acqua del diametro di un centimetro (circa), incavati con la pressione del pollice, come certi cappelletti del Parmense. Commercializzati ben presto in quantità industriali, si prese a fabbricare i corzetti con uno stampo, sia i piccini che i grandicelli. I grandi, rotondi, erano impreziositi con stemmi araldici, arabeschi e ghirigori, impressi con uno stampo da cucina intagliato. I piccoli si facevano con un utensile che dava loro la forma di una minuscola suola, simile a un 8, allo scopo di renderli somiglianti a quelli fatti a mano, preparati pressando e stirando fra due dita contrapposte dei dischetti di pasta dando loro l’aspetto di un otto (corzetti della Valpolcevera, retroterra di Genova).

Il nostro viaggio prosegue in Piemonte, nell’estremo lembo occidentale del Cuneese. Prima però soffermiamoci un attimo su quanto riporta lo storico Giovanni Rebora, il qualche sostiene che nel Medioevo i corzetti si ricavavano da frammenti di pasta grandi come il polpastrello del pollice, incavati con la pressione del dito e poi, come le lasagne si cuocevano in brodo grasso e si condivano con molto formaggio e spezie. Che strano, guarda caso ancor oggi i crosets piemontesi dell’Alta Valle Stura (Cuneo) e i crosetz provenzali, parenti stretti dei corzetti genovesi, si preparano schiacciando pezzettini di pasta con il dito e imprimendo loro un movimento circolare.

Nel Comune di Argentera, al confine con la Francia, si tramanda anche un simpatico aneddoto: se una ragazza in età da marito riesce a preparare corzetti con diciotto pieghe, allora è da sposare. Ma c’è di più. Agli Angiò apparteneva la Contea di Provenza ed è risaputo quanto gli Angioini ebbero a cuore la Puglia. Nessuna meraviglia, dunque, se troviamo che i corzetti fatti all’antica in alcune località dell’entroterra ligure-piemontese sono identici ai crosets provenzali e alle orecchiette fatte a mano nei centri rurali della Puglia, dove si chiamano anche “strascinati”. Basta pensare che in Puglia sono rimasti due o tre paesi dove tuttora si parla il provenzale della fine del XIII secolo, ed ecco spiegato l’arcano. In Abruzzo tuttora si confezionano dei corzetti oblunghi e anche qui vengono denominati “strascinati”. In Sicilia il termine curzettu è ancora vivo; si vede che al momento dei Vespri Siciliani la popolazione ha cacciato via gli angioini, però si è tenuta i corzetti…

Che fine hanno fatto i corzetti stampati menzionati dalla Gosetti? Per comprenderlo concediamoci una gita fuoriporta a Varese Ligure, un grazioso borgo dall’impianto urbanistico medievale in provincia di La Spezia, insignito della Bandiera Arancione del Touring club italiano e incluso nella lista dei Borghi più belli d’Italia. Se stilassimo un’ipotetica classifica dei piatti tradizionali di Varese Ligure il podio sarebbe occupato proprio da loro, dai corzetti stampati.

A qualche decina di metri dal tondeggiante castello dei Fieschi, in piazza Vittorio Emanuele, c’è il laboratorio di Alessandra Picetti, una giovane donna che ha ereditato dal padre la passione per l’arte di creare gli stampi dei croxetti. Nella sua falegnameria Alessandra, unica custode di questa tradizione medievale, intaglia nel legno felci, fiori storici, rosoni, stemmi famigliari a decoro di stampini destinati al mercato internazionale. Non c’è nulla di ripetitivo, nulla di identico nel meticoloso lavoro dell’ebanista, intenta a incidere con estrema cura motivi ornamentali vecchi di secoli. Ogni pezzo, realizzato interamente a mano, è un unicum. Dal legno grezzo al prodotto finito l’abile artigiana impiega circa sette ore di lavoro.

È lei a raccontarci la storia dei corzetti stampati, sublime punto di incontro tra arte e gastronomia. A cominciare dall’etimologia del nome, che pare alludere alla croce stessa. “Inizio tutto con una croce - spiega Alessandra - comincio a crociare il legno, perché faccio il centro preciso per metterlo sul tornio, crocio il legno quando intaglio, perché devo trovare il centro preciso prima di fare il disegno. Quindi il nome crosetto potrebbe derivare da croce. Da noi, a Varese Ligure, i croxetti sono una pasta pressata, ottenuta per mezzo di uno stampino doppio con due disegni. Qui ne hanno fatto un cibo di pregio, di autorappresentazione e di comunicazione, perché un tempo i nobili mettevano in tavola una pasta che aveva il loro emblema araldico.

Una pasta cucinata tradizionalmente solo per eventi speciali: l’arrivo di un personaggio importante, una festa particolare. Si racconta che Maria Luigia d’Austria, in viaggio per raggiungere il futuro consorte Napoleone Bonaparte, sostò a Varese Ligure, ospite della famiglia Cesena. In quest’occasione a tavola, in onore della gran dama, furono serviti dei croxetti. In passato, quando una giovane si sposava, entrando a far parte di una nuova famiglia, riceveva in dote dal futuro suocero uno stampino con l’insegna gentilizia del casato. Il dono poteva voler dire: “Benvenuta a far parte della nostra casa, del nostro entourage.” “In generale - prosegue Alessandra - chi aveva i soldi per potersi pagare l’artigiano che gli faceva il lavoro più preciso, più ricercato, aveva i manufatti più belli. I meno abbienti tracciavano semplicemente delle righe sul medaglione di pasta, perché avevano capito che aldilà dell’estetica quello che serviva era trattenere il condimento.

Col tempo la ricetta dei croxetti stampati ha avuto delle variazioni. Il nostro è un territorio povero e i croxetti si preparavano con quello che era in esubero, in particolare i prodotti derivati dal latte. Di mucche ce n’erano e quindi burro e parmigiano arricchivano l’impasto, parco di uova. Corzetti simili si preparavano e si preparano ancora nell’Oltregiogo (Novi Ligure-Pasturana), ove è stata istituita l’Accademia del Corzetto. In questa zona, per secoli soggetta alla giurisdizione della Repubblica di Genova, ci sono e c’erano i vigneti e il vino non mancava mai; perciò, nell’impasto si aggiungeva anche il vino bianco.”