Anni fa, con un gruppo di amici, diedi vita all’associazione non profit “Progetto utopia” che aveva come fine dichiarato nel suo statuto la promozione del buon senso tra gli esseri umani. Misera ambizione, direte voi, a confronto di altre come cambiare il mondo, esportare la democrazia nei Paesi ostili all’Occidente, debellare la fame nel mondo, cambiare la Costituzione o altre ancora.

Eppure sembrerebbe che usare il buon senso non sia così facile come si può credere. Per esempio le leggi non lo prevedono: o ti attieni a ciò che stabiliscono o sei fuori legge e dato che viviamo in un mondo sempre più normato ne consegue che stiamo abbandonando il buon senso a favore del seguire le regole alla lettera, diventando così una sorta di “cittadini di Geova”.

In un mondo dai cambiamenti repentini non si parla più soltanto di leggi, parametri, discipline, codici o normative, oggi va alla grande il termine “protocolli”: un testo che ci dice come si fanno le cose, dall’assistere i malati al rinnovare un documento, come ho accennato in un mio precedente articolo1. Nessuno si permette di fare qualcosa non previsto dai protocolli. Siamo tutti figli di un manuale d’istruzioni.

Non che questa sia una novità, le leggi per regolare il vivere civile esistono da sempre, dal Codice di Hammurabi in poi. Quello che, mi sembra di poter dire, sta diventando imbarazzante è la quantità di queste regole e protocolli. Verso la fine degli anni ’70 mi piaceva leggere la rivista satirica “Il Male” che riportava, tra le altre cose, le leggi che il Parlamento italiano aveva approvato di volta in volta. In particolare ricordo che attirò la mia attenzione quella che stabiliva la definizione di “filetto di bovino”! Tutto è normato, tutto è, o dovrebbe essere, a norma di legge.

Ultimamente ho letto un articolo2 dove si parla di protocolli nella scuola d’infanzia che sembrerebbero stabilire i criteri per definire “normale” un bambino. Un bel protocollo per definire “normale” vostro figlio, scritto, sicuramente, da persone normali!

Nello stesso articolo si cita il nuovo codice deontologico degli Psicologi italiani. L’autrice punta il dito, in particolar modo, sull’articolo 31 del codice, dove si legge: “Nei casi di assenza in tutto o in parte del consenso informato di cui al primo comma (cioè da parte del minorenne o dei suoi genitori N.d.R.), ove la psicologa e lo psicologo ritengano invece che il trattamento sanitario sia necessario, la decisione è rimessa all’autorità giudiziaria.” Alcune associazioni stanno muovendosi per poter modificare questo articolo che sembrerebbe autorizzare un vero e proprio TSO per i minorenni.

Gli Stati Uniti sono da sempre all’avanguardia, in fatto d’idiozie e, anche nel caso delle normative, mantengono questo primato. Non sono rare le cause milionarie intentate da singoli cittadini per i motivi più bizzarri, come nel caso della signora Stella Liebeck che nel 1992, all’età di 79 anni, scivolò all’interno di un McDonalds a causa di un caffè bollente e si procurò diverse bruciature. La signora fece causa al colosso dei fast-food e ottenne la bellezza di quasi tre milioni di dollari di risarcimento. Da allora su ogni bicchiere McDonalds è indicato chiaramente che “il caffè bollente può causare ustioni”.

Ma esempi a parte è evidente il crescente numero di norme a cui il cittadino e le industrie si devono attenere. Va da sé che più norme ci sono e meno è possibile accertarsi del fatto che vengano rispettate. Quindi perché continuare a legiferare, normare, protocollare e altro? Perché tutti dobbiamo essere uguali. Organizzare una società composta da individui standardizzati è molto più semplice che avere a che fare con persone diverse nel comportamento, nel modo di pensare, nei loro obiettivi e nel modo da loro escogitato per raggiungerli o, addirittura, che hanno un’idea di società personale.

Mi sembra di poter dire che questa esigenza di avere tutti gli individui uguali è figlia dell’industrializzazione. Con la produzione di massa sono nate la standardizzazione, prima dei prodotti e poi dei compratori. Sette miliardi di persone con teste diverse, esigenze diverse significano prodotti diversi, quasi personalizzati, che era quello che il mercato proponeva fino a duecento anni fa. Ma questo oggi non è più possibile, ed è anche comprensibile. Perché era possibile quando eravamo in pochi, su questo pianeta, e quando le nostre esigenze non erano così legate alla produzione e, soprattutto, alla tecnologia. Oggi non è più possibile ragionare in questi parametri, appunto. Oggi tutto è livellato, a cominciare dalle nostre esigenze, fino ad arrivare alla standardizzazione dell’essere umano “creato” dall’apparato scolastico. Taglia unica per tutti, insomma.

Nel mio recente libro Scuola nuova vita nuova edito da Dissensi, il Professor Benedetto Vertecchi sottolinea:

Purtroppo, lo sviluppo economico-culturale che passa attraverso la cosiddetta globalizzazione sta livellando i canoni che originariamente erano diversi a seconda delle varie aree culturali.” E ancora: “Dagli otto anni il periodo adolescenziale si è prolungato fino ai 10, poi 12 anni ed è sempre andato ad aumentare, tanto che oggi alcuni psicologi sostengono che anche nei trentenni si continuano a vedere segni di tipo adolescenziale. Questi strati della popolazione sono incapaci di produrre, ma capacissimi di consumare e, anzi, sono ottimi consumatori, perché hanno una struttura biologica da adulti, con conseguenti bisogni e capacità da adulti, ma non hanno la capacità produttiva degli adulti e sono facilmente condizionabili ad aumentare i consumi.

Quindi i nostri studenti saranno dei pessimi pensatori, ma degli ottimi consumatori. Ne consegue che il paradigma “siamo tutti uguali” voluto dal mercato non ha nulla a che vedere con l’interpretazione cristiana di tale modello e mi permetto di dubitare che lo siamo anche davanti alla legge.

Direi, piuttosto, che mi fa venire alla mente la famosa poesia di Totò “A livella”, dove tutti siamo uguali davanti alla morte, perché qui si sta parlando della morte dell’individuo come attore sociale, interprete della propria vita, a favore dell’uomo cerebralmente livellato, appunto.

L’aspetto paradossale di tutto questo è che noi, uomini liberi e pensanti, abbiamo inventato il computer e i logaritmi che gli permettono di identificarci, classificarci e prevedere le nostre esigenze, meglio di quanto qualsiasi pubblicitario avesse mai sperato di poter fare. Noi, grandi geni pensatori, ci siamo creati la nostra stessa gabbia culturale, dove tutti siamo uguali e rispondiamo alle stesse caratteristiche e alle esigenze del mercato.

Dicono che accorgersi dei propri errori sia il primo passo per non commetterli più. Forse è vero, ma a giudicare da quello che vedo per le strade e alla televisione tutti i giorni, non mi sembra che questo grado di coscienza sia così diffuso.

Però una cosa è certa: chi se ne rende conto ha, secondo me, l’obbligo morale di far aprire gli occhi al suo prossimo. E l’unico modo per farlo, come dicono tutti i pedagogisti, è attraverso l’esempio. E a proposito di esempi, che dire di quelli dei protocolli internazionali non rispettati, come quello di Minsk o quelli violati ripetutamente e ovunque sui Diritti Umani, o il famoso Protocollo di Kyoto?

Perché possiamo parlare e scrivere quanto vogliamo, ma se siamo sempre gli stessi che predicano bene e razzolano male, come ci mostrano le nostre istituzioni, non solo non avremo aiutato nessuno a risvegliarsi, ma avremo messo un altro mattone nel muro mentale nostro e degli altri. “Another brick in the wall” come dicevano i Pink Floyd.

Note

1 Danilo D'Angelo, La città di Pokhara sulle rive del lago Phewa, Meer, agosto 2023.
2 Agata Iacono, Scuole dell'infanzia: i nuovi (folli) parametri per psichiatrizzare la crescita, L'Antidiplomatico, ottobre 2023.